Spesso il diritto dei disabili ad uscire di casa per incontrare amici o amiche, recarsi a fare la spesa, raggiungere un luogo comunque desiderato è impedito dalla presenza (o assenza) di barriere architettoniche poste nella propria residenza, in quella altrui o nel luogo che si vuole raggiungere.
La questione delle barriere architettoniche e la loro eliminazione è stata da sempre spunto di riflessione e oggetto di ampie discussioni.
Nel corso del tempo ha creato non pochi problemi, i quali sono stati, (si spera definitivamente), risolti da numerose pronunce giurisprudenziali.
I disabili hanno diritto a rimuovere gli ostacoli che possono impedire l’accesso o il normale utilizzo di un immobile. Anche se l’assemblea condominiale non è d’accordo. Ecco perché.
1. Accessibilità e barriere architettoniche
Che cosa si intende per accessibilità?
L’Accessibilità è la possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
La questione delle barriere architettoniche e la loro eliminazione è stata da sempre spunto di riflessione e oggetto di ampie discussioni.
Nel corso del tempo ha creato non pochi problemi, i quali sono stati, (si spera definitivamente), risolti da numerose pronunce giurisprudenziali.
Già con la legge 13 del 1989, difatti, il legislatore aveva favorito l’eliminazione delle barriere architettoniche e, più in generale, l’esecuzione di lavori per favorire la fruibilità degli spazi condominiali da parte di persone con disabilità.
In particolare, con la previsione della necessità della presenza di un solo disabile per far approvare una delibera assembleare con maggioranza speciale.
O, in mancanza di una delibera favorevole, la possibilità dell’esecuzione dei lavori anche senza il consenso del condominio.
Legge, questa, applicabile a una ristretta tipologia di lavori minuziosamente indicati dal decreto ministeriale 236 del 14 giugno 1989.
2. Spazi interessati
Il provvedimento comprende le nuove costruzioni, l’edilizia residenziale pubblica, la ristrutturazione di edifici già esistenti e, infine, gli spazi esterni di pertinenza degli edifici che rientrano nelle tipologie dei punti precedenti.
Come già accennato, ai sensi della legge 13 del 1989 le delibere assembleari riguardanti queste tipologie di interventi sono adottate con una maggioranza speciale.
L’articolo 2 della medesima legge, infatti, dispone che «le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27 primo comma della Legge n. 384 del 30/03/1971 nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l'installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità di ciechi all’interno di edifici privati sono approvate dall’assemblea del condominio in prima o in seconda convocazione con le maggioranze previste dal secondo e terzo comma dell’art. 1136 c.c.».
3. Percorso più facile
In parole più semplici, il legislatore in deroga alla previsione ordinaria di cui all’articolo 1120 del Codice civile ha previsto una disciplina semplificata e meno rigorosa, in virtù della quale per l’adozione delle delibere assembleari per l’abbattimento della barriere architettoniche, ovvero la realizzazione di opere quali percorsi attrezzati per non vedenti, è previsto, in prima convocazione, un quorum pari alla maggioranza degli intervenuti nell’assemblea che rappresenti almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.
In seconda convocazione, invece, è previsto un quorum di un terzo dei partecipanti, che rappresenti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio.
In ordine, poi, all’applicazione della previsione di cui all’articolo 2 della legge 13 del 1989, di primaria importanza risultano essere le sentenze del Tribunale di Milano (19/09/1991 e 22/03/1993), con le quali il giudice di merito, investito di una questione analoga a quella in esame, si era pronunciato sostenendo che per l ’attuazione delle disposizioni di cui alla legge 13 del 1989 non è necessario che il portatore di handicap abiti stabilmente nel condominio: è sufficiente che lo stesso si debba recare nell’edificio per ragioni di famiglia, di lavoro, di cura o altre motivazioni di primaria importanza.
4. E se dice no?
Aspetto da non sottovalutare, per il quale comunque il legislatore ha previsto un importante rimedio, è il rifiuto del condominio nella deliberazione di lavori o interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche.
Il secondo comma dell’articolo 2 della legge citata, infatti, prevede espressamente che «nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, ovvero non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma primo, i portatori di handicap ovvero chi esercita la tutela o la potestà possono installare a proprie spese servoscala, nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori ed alle rampe dei garage».
All’atto pratico quindi, l’interessato avrà la possibilità di intimare al condominio l’adozione di una delibera favorevole entro e non oltre il termine di tre mesi, oltrepassato il quale lo stesso potrà provvedere in maniera autonoma e senza necessità di una delibera assembleare all’eliminazione delle barriere e alla installazione delle strutture mobili ritenute più opportune.
5. Sentenze a supporto
La più recente giurisprudenza ha favorito ancor di più l’adozione di delibere favorevoli a tali interventi.
Ci si riferisce, specificatamente, alla sentenza della Corte di Cassazione (numero 18334 del 25 ottobre 2012) per mezzo della quale i giudici di legittimità hanno legittimato il diritto alla realizzazione di un ascensore per disabili, in tutti i condomini abitati o frequentati da persone con disabilità motorie, anche nel caso in cui la richiesta portata a votazione non raggiunga la maggioranza semplificata già prevista anzitempo dall’articolo 2 della legge 13 del 1989.
Secondo tale pronuncia, pertanto, al singolo condomino ovvero all’intero condominio non sarà più concessa l’impugnazione della delibera assembleare con l’intento di annullare la realizzazione di opere in favore dell’agibilità di alcuni condomini, né sulla base del mancato raggiungimento del quorum, né tantomeno su eccezioni riguardanti la deturpazione estetica o architettonica dello stabile, ritenuti sicuramente meno rilevanti rispetto alla tutela dei diritto di persone affette da disabilità fisiche.
Ma non solo: sono moltissime difatti le pronunce giurisprudenziali sia di merito che di legittimità che nel corso degli anni hanno integrato una disciplina già di per sé abbastanza precisa rendendola sempre più completa e pronta a rispondere ad ogni singola vicenda o esigenza.
Non pochi problemi, infatti, si erano creati con riguardo ai casi in cui la rimozione delle barriere architettoniche, l’installazione di nuove strutture o la modificazione delle strutture
già esistenti andasse a modificare l’utilizzabilità degli spazi condominiali da parte degli altri condomini.
Tali questioni, però, sono state puntualmente risolte dalla Corte di Cassazione la quale, per esempio, con la sentenza 2156 del 2012 ha stabilito che "nel caso in cui un condomino disabile abiti a un pianto alto e a causa della mancanza dell’ascensore sia impossibilitato a raggiungere la propria abitazione se non con evidenti difficoltà, costui potrà far installare a sue spese un ascensore, anche se ciò crei la restrizione della scala e vada pertanto a incidere sul grado di fruibilità da parte degli altri condomini".
Secondo la Corte, difatti, "l’installazione dell’ascensore dovrà essere consentita anche nel caso in cui tale innovazione determini un disagio per gli altri condomini nell’utilizzo delle scale e degli ulteriori spazi condominiali".
Altra pronuncia importante è la numero 14096 del 2012 delle medesima Corte, in cui i giudici, riguardo a una questione attinente l’installazione di un ascensore esterno, che avrebbe occupato una parte del cortile andandosi a trovare a una distanza inferiore ai 3 metri rispetto alla finestre di alcuni appartamenti, hanno stabilito che "essendo un’opera finalizzata all’abbattimento delle barriere architettoniche, nonché un mezzo necessario per garantire l ’abitabilità di un appartamento, poteva avvenire anche senza il rispetto delle distanze legali tra immobili".