La lettura è un processo articolato che coinvolge diverse funzioni del nostro cervello come per esempio la visione e il linguaggio.
Oggi sappiamo che la dislessia è una difficoltà che riguarda la capacità di leggere in modo corretto e veloce anche se spesso fatichiamo a comprendere le difficoltà che possono incontrare gli studenti che ne sono affetti.
In ogni caso si tratta di un disturbo che interessa un’abilità specifica, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale.
L’eziologia della dislessia è di origine neurobiologica e, come è stato messo in evidenza da numerosi autori, l’ipotesi più accreditata è che il principale deficit sia sul piano fonologico.
È tuttavia importante sottolineare che l’espressività di questo disturbo è mediata da specifici fattori ambientali. Lo studente con dislessia è capace di leggere, ma riesce a farlo solamente impegnando tutte le sue energie.
Insegnanti e genitori spesso parlano dei loro figli e dei loro studenti come di persone che sembrano sempre “in un altro mondo”, si stancano subito, commettono errori banali come se non pensassero a quello che stanno leggendo (o scrivendo).
La dislessia può manifestarsi con una lettura lenta, affaticata e con numerosi errori (inversione o sostituzione di lettere); i ragazzi possono avere delle difficoltà di comprensione del testo che hanno appena letto.
Inoltre si accompagna spesso a problemi nella scrittura e nel calcolo. Nonostante queste difficoltà, gli studenti con dislessia imparano e acquisiscono informazioni, pur avendo un diverso modo di imparare.
Oggi parleremo di dislessia ed in particolare sul come riconoscerla, sul quando può essere fatta la diagnosi, su alcuni interventi riabilitativi e tante altre cose molto interessanti da sapere. Buona lettura!
1. Come si riconosce la dislessia?
Già a partire dalla scuola dell’infanzia (4-5 anni) è possibile individuare alcuni indicatori precoci nei bambini a rischio di dislessia.
In questo periodo sarebbe importante accertare se il bambino ha difficoltà con le filastrocche e le frasi in rima, com’è la sua capacità di disegno e manualità (sia fine che globale).
Infine si potrebbe indagare se ci sono difficoltà nel ripetere e individuare i suoni, com’è la sua organizzazione nei giochi di manipolazione/labirinti e se ha difficoltà nel ritagliare o nel costruire.
Quando ci sarà il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria, bisognerà prestare attenzione ad altri indicatori importanti.
Se alla fine della prima elementare sono presenti difficoltà nell’associazione grafema-fonema e/o fonema-grafema, un mancato raggiungimento del controllo sillabico in lettura ed eccessiva lentezza nella lettura sarà necessario tenere sotto controllo questi fattori e, più avanti, approfondire se è presente un disturbo specifico dell’apprendimento.
Gli studenti con dislessia sono solitamente descritti come socievoli e svegli. Possono avere difficoltà nel memorizzare nell’ordine corretto i giorni della settimana e i mesi; spesso non ricordano la loro data di nascita e le stagioni.
A volte confondono la destra con la sinistra; possono avere difficoltà nell’organizzazione del tempo; possono manifestare difficoltà nel leggere l’orologio.
Fanno fatica a imparare l’ordine alfabetico. Possono mostrare alcune difficoltà motorie fini, come allacciarsi le scarpe o i bottoni e evidenziare problemi di attenzione e di concentrazione.
2. Quando può essere fatta la diagnosi
La diagnosi di dislessia può essere fatta solo dopo la fine della seconda elementare da parte di specialisti attraverso test standardizzati, in linea con le indicazioni della Consensus Conference (Istituto di Sanità, 2010), del Panel di Aggiornamento e Revisione della Consensus Conference e dell’Istituto superiore di Sanità.
È possibile rivolgersi all’Unità operativa di Neuropsichiatria Infantile della propria Azienda Sanitaria Locale di riferimento o a specialisti privati.
La diagnosi è l’unico strumento che ci permette di capire che cosa sta succedendo per evitare di commettere gli errori più comuni come per esempio colpevolizzare il bambino («non impara perché non si impegna, non ha voglia di studiare, non scrive mai i compiti sul diario, il suo materiale di scuola è un gran casino»), rischiando di generare sofferenze e frustrazioni.
Fare una diagnosi è importante perché solo così è possibile attivare strumenti specifici di aiuto e provvedimenti di modifica didattica.
Tutto ciò è contenuto nelle Direttive Ministeriali della Legge 170/2010: per esempio, la concessione di tempi più lunghi per lo svolgimento di compiti oppure l’uso della calcolatrice e/o del computer.
Tali provvedimenti devono poter essere utilizzati anche nei momenti di valutazione, compresi gli Esami di Stato.
Maggiore è la precocità della diagnosi e maggiore sarà la precocità dell’intervento per ridurre le difficoltà riscontrate.
È importante iniziare le procedure di potenziamento delle abilità di base già ai primi segnali di difficoltà.
D’altra parte la necessità di una diagnosi deriva anche dagli anni che un ragazzo deve dedicare obbligatoriamente alla scuola: infatti, poiché in media si frequenta la scuola fino ai 16-18 anni circa, chi ha un disturbo di lettura sarà costretto a confrontarsi con i testi per circa 12 anni.
3. Interventi riabilitativi
Per un intervento riabilitativo non è necessario che ci sia un documento diagnostico, è sufficiente che siano rilevate delle difficoltà profonde.
Di fronte a queste, si può intervenire con dei programmi riabilitativi gestiti da professionisti o centri specializzati.
Sul piano educativo le informazioni sull’efficacia di un trattamento sono molto importanti: ogni famiglia di studenti con dislessia dovrebbe poter scegliere l’intervento che permetta di ottenere il miglioramento più significativo.
In termini di correttezza, per poter parlare di miglioramento, è necessario che ci sia una riduzione del numero di errori di almeno il 50%.
Per quanto riguarda la velocità di lettura, ovvero le sillabe lette al secondo, si può parlare di miglioramento quando questo è superiore a quello atteso per evoluzione naturale in un anno, in seguito all’esercizio spontaneo nella lettura legato alla frequenza scolastica e all’uso personale.
Quando si verificano dei cambiamenti è importante considerare anche alcuni aspetti più qualitativi legati al sentire un miglioramento, alla percezione del miglioramento da parte degli insegnanti e ad un uso della lettura più autonomo, senza la necessità che sia sempre presente la figura di un tutor.
4. La dislessia esiste davvero?
Attualmente, grazie a una maggiore sensibilizzazione, gli studenti con dislessia possono essere individuati con una certa precocità.
Si possono ancora incontrare casi di diagnosi tardive ma il loro numero sta gradualmente diminuendo.
La causa dei ritardi può essere l’abitudine ad attribuire sintomi che derivano da un accumulo di problemi didattici a caratteristiche di personalità dell’allievo (“provoca”, “è svogliato”, “non si impegna”) oppure a deficit intellettivi (“non capisce”).
Ecco perché è importante individuare precocemente gli studenti a rischio di dislessia attraverso strumenti d’indagine come per esempio lo screening: da utilizzare all’inizio dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia attraverso la consulenza di professionisti sanitari e sulla cui base programmare attività volte a potenziare le abilità deficitarie.
Se alla fine dell’anno, nonostante le attività di potenziamento, fossero ancora presenti segnali di rischio, sarà opportuno fare la segnalazione ai servizi sanitari per l’età evolutiva.
La diagnosi precoce può aiutare a proteggere gli studenti con dislessia dallo sviluppare problemi psicologici di natura emotiva.
Spesso, infatti, i ragazzi tendono ad avere un più basso concetto di sé, perdono la motivazione nello studio e si sentono responsabili del proprio andamento scolastico, provando ansia e rabbia.
Di fronte all’attenzione rivolta negli ultimi anni al problema, c’è anche chi parla di un eccessivo numero di diagnosi di dislessia, chiedendosi se questa esista davvero o se sia solo un’altra fonte di guadagno per psicologi e neuropsichiatri.
Chi sostiene tale idea fa spesso riferimento ai cosiddetti casi di falsi positivi: studenti ritenuti a rischio di dislessia le cui difficoltà sarebbero meglio spiegabili in funzione di altre motivazioni.
Può infatti accadere che un basso livello di alfabetizzazione venga confuso con un disturbo di lettura.
Dall’altra parte non dobbiamo dimenticare la presenza di quei casi clinici chiamati falsi negativi: studenti ai quali, in virtù della loro condizione per esempio etnico-culturale, non viene diagnosticato nessun disturbo, ma che invece ne possiedono le caratteristiche.
I falsi negativi possono essere considerati di solito come casi più gravi perché una loro alta incidenza porta a trascurare i casi critici, comportando conseguenze negative per tutti coloro ai quali è negata l’attenzione di cui hanno bisogno.
Ogni professionista ha pertanto il dovere di indagare, durante l’indagine anamnestica, il livello di scolarizzazione dei genitori o la presenza di particolari condizioni di svantaggio socio-culturale.
Si calcola che la percentuale di studenti con dislessia in Italia oscilli tra il 2.5 e il 3.5% della popolazione in età evolutiva (Istituto Superiore della Sanità, 2010).
Al di là della veridicità di questo dato e delle difficoltà che gli insegnanti possono incontrare nell’applicazione delle linee guida esistenti e nel cercare di non trascurare altri studenti che avrebbero bisogno di piani individualizzati differenti, oggi possiamo dire che la dislessia è stata comunque riconosciuta a tutti gli effetti da un punto di vista normativo.
Ciò è stato possibile grazie alle ricerche condotte negli ultimi anni che, attraverso strumenti di indagine specifici, hanno portato in luce l’origine neurobiologica e genetica del disturbo.
5. I programmi più efficaci
Diverse ricerche condotte in Italia hanno permesso di individuare i programmi riabilitativi più efficaci (anche se sarebbe più opportuno parlare di abilitazione, dal momento che lo scopo di questi programmi è quello di potenziare una competenza non ancora “automatizzata” piuttosto che reintegrare un’abilità perduta).
I dati raccolti mettono in evidenza che gli interventi con maggiore efficacia sono quelli di tipo sublessicale e lessicale.
Il trattamento sublessicale prevede lo svolgimento di esercizi con lo scopo di rendere più veloce e automatico il processo di lettura.
Più specificatamente ha lo scopo di facilitare il riconoscimento rapido di sillabe o altri gruppi di lettere che formano le parole. Il trattamento lessicale prevede invece una serie di attività che hanno lo scopo di favorire il riconoscimento globale della parola.
Le attività possono essere svolte anche attraverso programmi in versione software.
Un’altra metodologia di intervento che negli anni ha riscontrato molti successi è la didattica basata sulla fluenza che può essere applicata a qualsiasi abilità scolastica (scrittura, matematica, studio, ecc.).
Quando si parla di fluenza si intende la combinazione di accuratezza e velocità. Questa modalità di insegnamento vuole favorire l’acquisizione di prestazioni fluenti, cioè accurate e veloci, attraverso l’utilizzo dei cosiddetti “sprint di pratica”.
Nel caso di problemi legati alla dislessia, gli sprint consistono in esercizi di lettura in un tempo predefinito (in genere 15 secondi).
L’allievo viene invitato dall’insegnante a leggere una serie di parole, elencate in fogli di lavoro appositamente predisposti, il più velocemente possibile fino al suono di un timer.
La durata media degli sprint può essere modificata a seconda della necessità, rispettando i ritmi di apprendimento di ciascun studente. Al termine di ogni sprint si contano il numero di parole corrette ed errate e i risultati vengono riportati su un foglio di registrazione e su grafici.
Questo permette di avere una rappresentazione precisa dell’apprendimento dell’allievo e di costruire un percorso educativo individualizzato. Una volta acquisita un’abilità in modo fluente, tale abilità rimane appresa in modo stabile nel tempo e “resistente” ad ogni forma di distrazione.
Non solo, uno studente accurato e veloce nello svolgimento di esercizi che richiedono delle abilità di base, risulterà ancora più competente quando dovrà svolgere esercizi più complessi.