I nanofarmaci sono micromacchine in grado di penetrare nel nostro organismo, individuare eventuali patologie e curarle ancora prima di accorgerci di essere malati.
Il film fantascientifico degli anni Ottanta “Salto nel Buio” raccontava di un sommergibile e del suo pilota, miniaturizzati fino a diventare invisibili, caricati in una siringa e poi iniettati per errore in un timido commesso, con vari risvolti comici.
A sua volta, la trama era stata ispirata da un altro classico degli anni Sessanta, “Viaggio Allucinante“, nel quale a essere rimpicciolita e iniettata nel corpo umano era un’intera équipe, allo scopo di raggiungere il cervello di uno scienziato agonizzante, rimuovendone un coagulo.
All’epoca, i fatti raccontati in entrambe le pellicole vennero accolti come improbabili vaneggiamenti: oggi, invece, quelle idee non sembrano più così assurde. Ora, infatti, è possibile inghiottire microscopiche telecamere o inserire elettrodi all’interno della materia cerebrale.
Inoltre, dispositivi nanotecnologici talmente minuscoli da poter essere iniettati nel flusso ematico sono al centro di rivoluzionarie terapie antitumorali.
Si prevede che essi rivoluzioneranno la medicina entro i prossimi dieci anni: pur essendo abbastanza piccoli da essere veicolati all’interno dei capillari, i nanovettori farmacologici sono veri e propri concentrati di tecnologia, in grado di localizzare e trattare all’origine le cause scatenanti delle malattie.
Ma scopriamo come ci cureranno i nanofarmaci (e tanto altro ancora)!
1. Scienza tascabile
Nella loro versione più semplice, i nanofarmaci sono particelle sferiche che trasportano un carico farmacologico (in gergo medico, payload).
Più piccole di una cellula umana o batterica, ma più grandi di singole molecole, queste “palline” sono di dimensioni tanto minuscole da poter attraversare la membrana cellulare.
Il termine “nano” viene utilizzato per descrivere oggetti di dimensioni inferiori a 100 nanometri (un nanometro è pari a un miliardesimo di metro); particelle simili hanno proprietà diverse rispetto ad altre più grandi.
La massa dei nanofarmaci somministrati è tale da persistere più a lungo, a livello circolatorio, rispetto anormali molecole farmacologiche, ma non tanto da ostruire i vasi.
Gli scienziati possono anche fissare molecole biologiche all’esterno delle nanoparticelle per favorirne, per esempio, la deviazione verso specifiche molecole dell'organismo (come quelle tumorali).
Oppure, possono creare nanoparticelle con forme più complesse, realizzando vere e proprie “mini-macchine” che sfruttano specifiche reazioni chimiche per trasformarsi in motori o emettitori luminosi incredibilmente piccoli.
Alcune nanomacchine possono arrivare a perforare le membrane cellulari, proprio come virus che, iniettando il proprio DNA, riescono a infettare le cellule ospiti.
Combinando tutti questi elementi (veicolazione di payload, riconoscimento molecolare e penetrazione dei pori) gli scienziati possono creare dispositivi in grado di raggiungere, per esempio, la sede di un tumore per trattarlo direttamente (nella foto una scena tratta dal film di fantascienza Salto nel Buio).
2. Prove in corso
Soltanto una dozzina di nanovettori farmacologici sono già stati approvati per l’uso: diverse centinaia, invece, sono in fase di sviluppo o di sperimentazione clinica.
Immaginiamo ora di poter controllare il rilascio di farmaci semplicemente illuminandoci una zona del braccio con una torcia, invece di ricorrere a iniezioni.
Alcuni ricercatori dell’Università della California, a San Diego, sono appena riusciti in questa impresa: hanno creato delle nanoparticelle sferiche, costituite da uno speciale polimero che si disintegra sotto l'effetto della luce.
Grazie a questo semplice espediente, le nanoparticelle rilasciano il proprio carico farmacologico ogniqualvolta una parte del corpo viene esposta a luce mirata.
Gli studiosi prevedono che, in futuro, anche i diabetici potranno assumere insulina semplicemente dirigendo un fascio luminoso su una zona cutanea.
Nel frattempo, utilizzando un microscopico generatore iniettabile di nanoparticelle, sono già stati ottenuti “risultati straordinari” per il trattamento di carcinomi polmonari ed epatici nei topi.
Questi involucri di sostanze farmacologiche possono recapitare dosi più elevate direttamente alle cellule, invece di disperdere i farmaci nel flusso ematico: in tal modo, ai tessuti sani vengono risparmiati gli effetti tossici di alti dosaggi. Testi clinici sui primi pazienti umani potrebbero iniziare già il prossimo anno.
La nanomedicina non è semplicemente il trasporto mirato di farmaci attraverso il flusso ematico. Le nanotecnologie sono in grado di centrare importanti obiettivi clinici in tanti altri modi.
Ne è convinto Kostas Kostarelos, direttore del Dipartimento di Nanomedicina dell'University College di Londra, che sulla parete sta coadiuvando lo sviluppo di “nano-aghi” per potenziare la strumentazione chirurgica fino a livelli di precisione inimmaginabili.
“Le nuove scoperte potrebbero rappresentare l'evoluzione della siringa o del bisturi chirurgico su scala nanometrica, per indirizzare la terapia verso cellule bersaglio specifiche, o addirittura manipolare singoli componenti cellulari”, spiega Kostarelos.
“Sfruttando il principio del riconoscimento molecolare, le punte dei nuovi strumenti chirurgici si modellano su strutture specifiche”.
Gli scienziati ritengono, inoltre, che i nanovettori farmacologici potranno essere utilizzati per inviare segnali relativi a patologie in corso nell'organismo. Per esempio, nanoparticelle note come “punti quantici” sono dotate di anima metallica e guscio protettivo.
Questa struttura conferisce loro proprietà ottiche assolutamente uniche, consentendo alle particelle modificate di emettere luce fluorescente per segnalare la presenza di determinate malattie, poi evidenziate tramite scansioni (nella foto una visualizzazione di punti quantici che si fissano su una proliferazione neoplastica sulla parete di un vaso).
3. Il mondo dei nanomateriali
I nanovettori possono essere genericamente suddivisi in “rigidi” e “morbidi”, a seconda delle sostanze utilizzate per realizzarli.
I nanoveicoli farmacologici rigidi spesso sono fatti di grafene, un carbonio speciale lavorabile in fogli dello spessore di appena un atomo.
Queste lamine possono essere utilizzate per creare dispositivi in scala atomica, quali tubicini e sferette cave, con materiale metallico incorporato dotato di particolari proprietà.
Gli scienziati, però, si stanno dedicando sempre più ai nanovettori “morbidi”: particelle di materiali biologici come le proteine, i lipidi e lo stesso DNA. La ricerca è stata ispirata dalle molecole complesse intracellulari, che svolgono funzioni altamente specifiche e, dunque, potrebbero essere considerate esse stesse delle “nanomacchine naturali”.
“I nanobot metallici appartengono a un futuro ancora molto lontano, e in realtà, non saprei dire quali siano le loro reali prospettive”, ammette Hendrik Dietz, direttore del Laboratorio di Nanotecnologia Molecolare di Monaco, in Germania.
“Per ora, adattiamo o riproduciamo i metodi utilizzati in natura dalle molecole funzionali per autoassemblarsi. Stiamo lavorando per replicare i processi chimici che già avvengono all’interno del nostro organismo, sintetizzando enzimi o vettori farmacologici più intelligenti rispetto agli attuali sistemi terapeutici”.
Il DNA, in particolare, si è rivelato il materiale perfetto per gli scienziati impegnati nella realizzazione di oggetti funzionali in nanoscala. Invece di tentare di costruire nuovi componenti, i ricercatori si sono dedicati alla creazione di frammenti di DNA con una particolare sequenza genica.
Le modalità con le quali i sottogruppi compresi nel filamento interagiscono tra loro ne causano il ripiegamento in forme bidimensionali e tridimensionali altamente prevedibili. Più lunghi sono i frammenti di DNA, più complesse saranno le forme ottenibili.
Queste particolari manipolazioni sono note come “origami di DNA” e sono state impiegate per creare oggetti che vanno da minimacchine semoventi, a microscatole con movimento di apertura e chiusura, fino a nanovettori farmacologici in grado di autodistruggersi.
Queste tecnologie non saranno immediatamente utilizzabili per la sperimentazione umana, ma i nanodispositivi a base di DNA hanno già raggiunto livelli di complessità impressionanti.
Gli scienziati hanno addirittura realizzato un microscopico alfabeto di materiale genetico, al solo scopo di dimostrare le straordinarie competenze già acquisite nella manipolazione plastica di questa sostanza.
"La precisione del DNA e la sua capacità di autoassemblarsi sono inarrivabili”, spiega Dietz. “Questo materiale è in grado di riprodurre esattamente le forme richieste in base alla sequenza di coppie di basi che programmiamo, utilizzando tecniche di autoassemblaggio molto più raffinate rispetto alla tradizionale progettazione topdown”.
Altri ricercatori, invece, usano interi virus come base per le loro nanomacchine. Solitamente, li immaginiamo come nefasti agenti infettivi: invece, essi possono essere visti come vere e proprie nanomacchine naturali, miracoli dell’evoluzione in grado di viaggiare in profondità nell’organismo ospite per iniettare un “payload virale” nelle sue cellule, infettandole.
I biologi ricorrono sempre più frequentemente a virus non letali per “infettare” cellule umane con nuovi geni, in grado di rimpiazzare quelli responsabili di malattie genetiche.
I virus vengono protetti dal sistema immunitario dell’ospite alterandone il rivestimento esterno che, proprio come nelle nanoparticelle di laboratorio, può essere modificato per intercettare cellule bersaglio specifiche.
Il numero delle potenziali applicazioni delle nanotecnologie in medicina è stupefacente: oltre a dispositivi microscopici, gli scienziati hanno messo a punto gel in grado di auto-organizzarsi, sempre in scala nanometrica, in strutture capaci di arrestare in pochi secondi emorragie in corso.
Un equipe della Corea del Sud, poi, ha progettato un “nanobendaggio” contenente wafer nanotecnologici estensibili per monitorare l’attività muscolare o la condizione cutanea del paziente e applicare di conseguenza la medicazione richiesta.
4. Quali sviluppi per il futuro?
Questo potenziale apparentemente infinito ha spinto alcuni a ipotizzare che la nanomedicina, nel giro di pochi decenni, potrebbe rendere gli umani virtualmente immortali.
Il celebre futurologo Ray Kurzweil ha dichiarato che, entro il prossimo secolo, i nanobot di DNA faranno parte integrante del nostro flusso ematico e scansi olieranno ogni singola cellula del nostro corpo, alla ricerca di danni da riparare.
A breve termine, invece, ricercatori come Dietz ritengono che l’integrazione tra le nanotecnologie su base biologica e l’ingegneria tradizionale potrebbe rivoluzionare la potenza e l’efficienza di tantissimi sistemi, anche in campi lontani dalla medicina.
“Più elevato è il numero di transistor collocabili in un certo spazio, maggiore sarà la capacità di calcolo al secondo”, dice lo scienziato.
“L’associazione tra nanostrutture superfini in DNA autoassemblante e la tecnologia già esistente potrebbe consentirci di raggiungere livelli di efficienza informatica senza precedenti”.
Per il momento, l'obiettivo resta quello di dimostrare che le nanotecnologie sono sicure ed efficaci se utilizzate in campo medico. Poiché i nanofarmaci persistono nell'organismo più a lungo dei farmaci tradizionali, il rischio di effetti collaterali a lungo termine è maggiore.
Alcuni nano vettori contengono metalli e presentano i maggiori rischi di accumulo. Se questi e altri ostacoli saranno superati, comincerà una nuova era di terapie “intelligenti”, su misura per aree specifiche dell’organismo. Queste cure mirate faranno sembrare “primitivi” gli attuali trattamenti applicati indistintamente a tutto il corpo.
Il valore del mercato globale dei nanovettori farmacologici attualmente è stimato tra i 150 e i 250 miliardi di dollari (dai 130 ai 220 miliardi di euro circa), ed è destinato a crescere a mano a mano che vengono approvate nuove soluzioni terapeutiche. Oggi, la nanomedicina appare enormemente più sofisticata rispetto al sommergibile di Salto nel Buio.
I nanoveicoli di DNA, in grado di autocostruirsi e dotati di biomolecole a fare da navigatore, non rischiano di smarrire la strada né di sbagliare obiettivo: questa stupefacente tecnologia in miniatura sarà presto a disposizione di tutti gli esseri umani (nella foto singola cellula umana su un letto di nano-aghi).
5. Il nano-toolkit, tutti gli strumenti della nanotecnologia e i dottori del futuro
IL NANO-TOOLKIT: TUTTI GLI STRUMENTI DELLA NANOTECNOLOGIA
Come si realizza una macchina sufficientemente microscopica e intelligente da viaggiare all’interno del corpo umano e attaccare un tumore?
- POLIMERI
I polimeri sono materiali utilizzati per formare sferette cave da riempire con micro dosi di sostanze chimiche utili.
- GRAFENE
Tipo di carbonio lavorabile in fogli di spessore pari ad appena un atomo. E' un materiale resistente e altamente non-reattivo, utilizzabile per creare tanti minuscoli oggetti.
- NANOTUBI DI CARBONIO
Fogli di grafene arrotolati a formare minuscoli tubi (nanotubi), ormai da anni elementi chiave delle nanotecnologie. Tali tubi possono essere fissati all’estremità di ‘nano-aghi' per iniettare sostanze in aree specifiche di una singola cellula.
- PUNTI QUANTICI
I punti quantici sono nanosfere talmente piccole da poter accedere liberamente alle cellule. Sono dotati di un'anima metallica e di un rivestimento esterno; alcuni possono emettere segnalazioni luminose in presenza di una patologia.
- DNA
La capacità del DNA di auto-assemblarsi in forme complesse lo rende un materiale ideale per la realizzazione di micro dispositivi. Gli scienziati hanno già creato oggetti di DNA in grado di comportarsi come micro scatole o micromotori.
- PROTEINE
Come il DNA, anche le proteine sono in grado di aggregarsi in forme di grandi dimensioni, complesse e altamente prevedibili. È possibile progettare nuove forme e funzioni alterando la sequenza dei sottogruppi che costituiscono le proteine.
- VIRUS
I virus sono nanomacchine naturali. Al confine tra organismi viventi e non, spesso sono costituiti soltanto da poche proteine e filamenti di DNA. Eppure, sono in grado di infettare le cellule dell'ospite inducendole a replicare copie virali.
L'innesto di funzioni mediche virtuose su virus preesistenti è un promettente campo nano medicale attualmente in via di sviluppo.
I DOTTORI DEL FUTURO
Come faranno, entro 50 anni, le nanoparticelle a mantenerci in salute per tutta la vita?
- Alla nascita, nanobot in grado di rilevare segnali di comuni patologie in atto vengono iniettati nel flusso sanguigno.
- Vengono rilevati segni di fibrosi cistica. Un virus modificato “infetta" le cellule con una tecnologia di alterazione genica mirata alla riparazione dei geni all'origine della malattia.
- A 30 anni, ai primi segnali di diabete, punti quantici fotosensibili, produttori di insulina, vengono iniettati nell'organismo. Per la regolazione dell'insulinemia nel corso della giornata, basterà dirigere il fascio luminoso di un’apposita torcia verso i vasi superficiali del polso, dove la pelle è particolarmente sottile.
- A 60 anni, un'ecografia evidenzia l'emissione di luce fluorescente da parte di linfonodi profondi. Sono i nanobot che, reagendo con molecole tumorali appena rilevate, segnalano la presenza della malattia.
- Per combattere la neoplasia, vengono iniettati nell'organismo altri nanobot. Questi si concentrano nell'area colpita, rendendo fluorescente il tessuto tumorale. I chirurghi possono così rimuovere il tessuto malato senza intaccare parti sane.
Vengono successivamente rilasciati altri nanobot che trasportano potenti farmaci antitumorali direttamente all'interno delle cellule neoplastiche. - All’età di 90 anni, nanobot derivati dal DNA riparano continuamente i danni da invecchiamento delle cellule cerebrali che potrebbero causare patologie degenerative.
Altri, invece, scansionano il DNA di ogni cellula per accertarne l’efficienza: tutto deve funzionare come quando l'organismo era giovane.