Le autorità di Atene, Parigi, Madrid e Città del Messico di recente hanno annunciato che la circolazione dei veicoli diesel sarà proibita in queste città a partire dal 2025, a causa del loro potenziale inquinante.
Quali effetti hanno sulla nostra salute le emissioni di motori a gasolio?
Abbiamo davvero motivo di preoccuparci? Scopriamolo insieme.
1. C'è qualcosa nell'aria
Guardiamo fuori: è una bella giornata, fredda e tersa, e decidiamo di andare in centro con la bicicletta. Siamo sicuri che sia la decisione giusta?
Forse stiamo per mettere a repentaglio la nostra salute esponendoci a livelli elevati di sostanze nocive, attualmente al centro di un animato dibattito pubblico su un tema “caldo”: l’inquinamento atmosferico.
La contaminazione dell’aria è stata considerata a lungo una minaccia ormai svanita, insieme alle fumose ciminiere degli anni Cinquanta.
Invece, se il famigerato “smog” denso come nebbia è un cimelio del passato, potrebbe però essere stato sostituito da forme di inquinamento più subdole, particolarmente pericolose proprio quando il cielo è sereno, soprattutto nei mesi più freddi.
Le modalità con le quali questi nuovi contaminanti potrebbero farci ammalare è oggetto di nuove ricerche, ma il timore è che essi rappresentino, a tutti gli effetti, una grave minaccia.
In Europa, l’inquinamento atmosferico è tornato in cima alla lista delle preoccupazioni per la salute pubblica e sembra responsabile della morte di decine di migliaia di persone ogni anno.
Secondo Dame Sally Davies, a capo del servizio sanitario britannico, se è già noto che gli anziani e le persone con patologie cardiache o polmonari sono particolarmente a rischio, “i ricercatori stanno individuando associazioni tra la presenza di contaminanti aerodispersi e un ventaglio di patologie molto più ampio”, che comprende diabete e disturbi neurologici, fino ad alterazioni dello sviluppo fetale.
Davies è una dei tanti, autorevoli esperti in campo sanitario che chiede a gran voce interventi immediati.
Nella foto Londra. Negli anni ’50, il famigerato smog londinese era provocato dalla combustione del carbone. Oggi, l’aria della capitale britannica appare certamente più pulita, ma è ancora satura di contaminanti, questa volta provenienti dai gas di scarico degli autoveicoli.
2. Le conseguenze dell'inquinamento
Il risvegliarsi, presso l’opinione pubblica, delle preoccupazioni relative all’inquinamento atmosferico ha coinciso con lo scandalo relativo ai modelli diesel prodotti da Volkswagen.
Nel 2015, l’AEA (Agenzia Europea dell’Ambiente) ha rivelato che la casa costruttrice tedesca aveva dotato i suoi veicoli di una tecnologia in grado di rilevare test sulle emissioni in corso di esecuzione, modificando di conseguenza le prestazioni per garantire l’omologazione.
Una volta su strada, però, l’auto tornava a funzionare in maniera standard, con emissione di quantità molto superiori di ossidi di azoto (NOx), una delle categorie di inquinanti oggi sotto accusa.
Gli esperti di qualità dell’aria non sono rimasti affatto sorpresi: secondo Alastair Lewis, docente dell’Università di York, gli scienziati avevano previsto una contrazione dei livelli di NOx negli ambienti urbani, che doveva andare di pari passo con la sostituzione dei vecchi veicoli con modelli più recenti, dichiaratamente meno inquinanti.
Tale diminuzione, però, non è mai avvenuta. “I nostri dati si basavano sulle emissioni di ossidi azotati indicate nei test effettuati dagli stessi costruttori”, spiega Lewis. Dopo la denuncia dell’AEA, agli studiosi è finalmente apparso chiaro perché non si fosse verificata alcuna riduzione dei contaminanti.
Peraltro, i NOx non sono i soli agenti inquinanti emessi dai motori diesel – né i più pericolosi. I veicoli a gasolio rilasciano, infatti, anche la cosiddetta materia particolata (PM), minuscoli frammenti di carbonio legato a composti organici quali solfati e metalli.
A breve termine, l’esposizione ai particolati può causare irritazione delle mucose oculari e nasali, della gola e dei polmoni, mentre persone già sofferenti di patologie quali l’asma riferiscono sintomi ancora più gravi.
A lungo termine, il rischio aumenta: Anthony Frew, esperto di patologie respiratorie del Royal Sussex County Hospital di Brighton, ha avvertito che “i dati suggeriscono che il particolato emesso dai motori diesel aggrava la risposta allergica dei pazienti e causa infiammazione delle vie aeree”.
Alcuni studi indicano che le particelle contaminanti rappresentano una minaccia particolarmente seria per gli anziani e i cardiopatici. Possono provocare aritmie, anche se non sappiamo ancora se l’effetto sia immediato, dopo l’esposizione, o ritardato nel tempo.
Anche le conseguenze a distanza di tempo non sono ancora state chiarite: nel quadro di uno studio su oltre 360mila persone, un’équipe diretta da Anna Hansell dell’Imperial College di Londra ha scoperto che gli effetti dell’esposizione a inquinamento risalente agli anni Settanta erano ancora evidenti sulle condizioni di salute dei soggetti esaminati dopo quasi quarant’anni.
Gli scienziati, inoltre, hanno osservato che se i contaminanti atmosferici oggi sono meno concentrati rispetto a quattro decenni fa, essi sembrano però più tossici.
La motivazione non è chiara, e alcuni esperti hanno contestato il risultato; in ogni caso, appare sempre più ovvio che l’inquinamento atmosferico mette in grave pericolo la salute umana.
In una relazione resa pubblica poco prima dell’emergere dello scandalo Volkswagen, il Defra, il ministero britannico per l’ambiente, l’alimentazione e gli affari rurali, ha calcolato che il numero di decessi nel Regno Unito dovuto a particolati e ossidi di azoto è stimabile in 45mila all’anno.
È una statistica che crea sconcerto, perché la cifra supera di oltre 25 volte quella relativa alle vittime annuali per incidenti stradali.
Eppure, è stata confermata dal Royal College of Physicians di Londra e dal Royal College of Paediatrics and Child Health: il loro documento congiunto, pubblicato lo scorso anno, ha evidenziato che il rischio derivante da sostanze aerodisperse si è evoluto nel corso degli ultimi decenni.
3. Rivoluzione in città
Non sorprende che si pretendano misure drastiche per frenare la circolazione dei veicoli diesel nelle grandi città.
Lo scorso novembre, il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha approvato un programma di rottamazione e nuove imposte per incoraggiare il passaggio a forme di trasporto più pulite.
A partire dal 2020, nella metropoli britannica sarà previsto un pedaggio per l’accesso alla zona a emissioni ultra-ridotte (Ultra Low Emissions Zone) da parte di veicoli non conformi a severe norme sulle emissioni.
Inoltre, sono stati predisposti tabelloni luminosi per diffondere allarmi sulla qualità dell’aria lungo i principali percorsi degli autobus, linee di metropolitana e arterie stradali londinesi.
Altre città si spingono ancora oltre: gli automezzi con motore diesel saranno infatti vietati a Parigi, Madrid, Atene e Città del Messico entro il 2025, secondo quanto annunciato a un meeting delle autorità metropolitane lo scorso dicembre.
L’efficacia di tali divieti, però, viene già messa in discussione: uno studio condotto sull’impatto della zona a emissioni ridotte già esistente a Londra ha evidenziato che, a tre anni dal suo allestimento, essa non ha fatto registrare alcun miglioramento della qualità dell’aria.
Ulteriori preoccupazioni riguardano un aspetto che da lungo tempo frena i tentativi di risoluzione di problematiche ambientali: quello delle conseguenze impreviste.
Secondo alcuni esperti vietare la circolazione dei veicoli nei centri cittadini può semplicemente spostare il problema altrove, per esempio nelle zone residenziali, dove gli abitanti trascorrono gran parte del tempo e dove vanno a scuola i bambini.
Altre strategie anti-inquinamento si sono scontrate proprio con difficoltà dovute alle conseguenze impreviste: per esempio, piantare alberi è stata vista a lungo come una soluzione ideale per ripulire l’aria ai bordi di strade trafficate.
Le ricerche confermano che le piante assorbono ossidi di azoto, e una relazione pubblicata di recente dall’organismo The Nature Conservancy ha concluso che la vegetazione è in grado di rimuovere dall’atmosfera circostante addirittura il 24 per cento del particolato (PM).
Altri studi, tuttavia, hanno indicato che anche gli alberi rilasciano sostanze inquinanti, sotto forma di composti organici volatili, i famigerati COV.
Questi possono incrementare la concentrazione di ozono e associarsi ad altre sostanze nocive, colpendo le persone più vulnerabili, come i pazienti asmatici.
In una sua recente pubblicazione, l’organismo NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence) ha affermato inoltre che le piante ostacolerebbero il libero flusso dell’aria ambientale, facendo ristagnare i contaminanti:
“Non è sempre vero che la vegetazione riduce l’inquinamento atmosferico. Gli effetti dipendono da vari fattori tra cui specie, densità della chioma, periodo dell’anno e direzione del vento”, si chiarisce nella relazione.
I giornali hanno inoltre dato grande risonanza alla dichiarazione, sempre di NICE, che misure di regolamentazione del traffico come i dissuasori di velocità potrebbero influire negativamente sulla qualità dell’aria, perché i veicoli, dopo averli superati, accelerano, scaricando nubi di inquinanti.
Anche incoraggiare chi è disposto a lasciare a casa l’auto potrebbe implicare conseguenze indesiderate:
“Andare al lavoro in bicicletta comporterà senz’altro una riduzione delle emissioni globali, ma anche una maggior esposizione del singolo ciclista all’inquinamento urbano”, spiega Richard Skeffington, esperto di contaminazione atmosferica dell’Università di Reading.
4. Auto più pulite
Molti ritengono che l’unica risposta efficace sia mettere al bando i motori diesel a favore di tecnologie pulite, come i veicoli elettrici.
Gli attivisti di Greenpeace, per esempio, stanno facendo campagne per indurre i governi a vietare le auto a gasolio.
Eppure, gli esperti sostengono che neppure questa soluzione sia una panacea: secondo un documento del Royal College, ricerche recenti hanno individuato una nuova fonte di inquinamento ambientale: il particolato, ricco di metalli tossici, derivante dai residui di pneumatici, pastiglie dei freni e dallo stesso manto stradale.
“Anche i veicoli a propulsione alternativa, come quelli elettrici, non saranno mai a emissioni zero”, conclude l’autore della relazione.
Il problema dell’inquinamento atmosferico, dunque, potrebbe diventare un caso da manuale per illustrare i rischi insiti nel proporre soluzioni semplici a problemi complessi.
Ironicamente, poi, erano state proprio le preoccupazioni ambientali a determinare la diffusione dei motori diesel: poiché utilizzano il carburante in maniera più efficiente, infatti, essi rilasciano anidride carbonica in quantità inferiore rispetto ai modelli a benzina.
I politici, desiderosi di limitare le emissioni di gas serra, avevano pertanto varato incentivi fiscali per incoraggiare l’acquisto di veicoli a gasolio, le cui immatricolazioni in Europa, infatti, passarono da un automezzo su 12 nel 1990 a oltre il 50 per cento del totale nel 2010.
La diffusione delle auto diesel non ha avuto un impatto misurabile sul riscaldamento globale, ma la qualità dell’aria, nelle metropoli europee, è precipitata. Questi motori non sono uguali a 20 anni fa, probabilmente sono migliori.
Ma dopo ogni azione si verificano, sempre, conseguenze impreviste: e ciò che non è prevedibile, resta un’incognita. Per risolvere il problema dell’inquinamento dell’aria la strada da fare è ancora lunga.
5. Come proteggersi dall'inquinamento atmosferico
Per molti di noi è impossibile evitare l’esposizione all’aria delle nostre città, ma possiamo adottare strategie che limitano i rischi per la salute.
- CONTROLLARE LE PREVISIONI METEO
Diversi siti internet specializzati forniscono non soltanto le previsioni del tempo ma anche dati relativi alla qualità dell’aria e ai livelli di inquinamento atmosferico, classificati secondo indici numerici da 1 (basso) a 10 (elevato).
Secondo gli esperti sanitari, la maggioranza di noi può affrontare senza particolari pericoli l’esposizione regolare a livelli anche moderati di contaminazione (fino a 6), ma chi soffre di patologie respiratorie o cardiache dovrebbe invece ridurre gli sforzi quando si manifestano segni di sofferenza. - RALLENTARE I RITMI
Ai livelli da 7 a 9, le persone a e e da queste patologie e gli anziani dovrebbero limitare drasticamente l’attività fisica; lo stesso vale per chi presenta sintomi quali bruciore agli occhi, tosse o mal di gola.
A concentrazioni estremamente alte, poi, i gruppi a rischio devono evitare qualsiasi sforzo, e a tutti è consigliato astenersi dalle forme di esercizio più faticose, come andare in bicicletta. - PIANIFICARE IL TRAGITTO
I livelli di inquinamento variano a seconda dei percorsi scelti: programmare il tragitto da seguire può dunque aiutare a ridurre l’esposizione a contaminanti aerodispersi.
I londinesi possono perfino contare su un apposito sito web messo a disposizione dal servizio sanitario nazionale. Anche in Italia le cose si stanno muovendo.
Per esempio sul sito di Arpa Lombardia è presente una mappa nella quale è possibile visualizzare l’indice della qualità dell’aria aggiornato quotidianamente delle diverse zone della Regione.