Erba storna alpestre (Noccaea caerulescens): la pianta che si mangia l’inquinamento

Quando il maestrale soffia a Saint-Laurent-le-Minier, un paese nel Sud della Francia, i suoi abitanti sono preoccupati.

Sanno di vivere in una zona dove la concentrazione di zinco, cadmio, piombo e altri metalli pesanti nel terreno è da 600 a 850 volte superiore ai limiti di legge europei.

Il villaggio è stato un sito minerario fino al 1992. Duemila anni di scavi per estrarre i minerali hanno contaminato tutto il territorio e il vento aggrava la situazione: solleva la terra e disperde nell’aria la polvere inquinata che la popolazione è costretta a respirare.

I casi di saturnismo, un’intossicazione da piombo che provoca ritardo mentale, sono in aumento tra i bambini.

Ma in quell’ambiente c’è una pianta che vive benissimo: i francesi la chiamano tabouret bleu (sgabello blu), gli italiani erba storna alpestre, per i botanici è la Noccaea caerulescens.

Questa pianta, che cresce anche in Italia, per difendersi dai parassiti assorbe dal terreno metalli pericolosi come il piombo.

Gli scienziati hanno pensato di usarla per bonificare il suolo e ricavare materiali utili all’industria!

1. Il segreto è nelle foglie. Studiata da cento anni

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Questa pianta si sviluppa bene sul suolo inquinato dai metalli pesanti, che a quelle concentrazioni potrebbero essere tossici per altre specie, e grazie a dei geni contenuti nel suo Dna, assorbe i metalli dalle radici e li accumula nelle foglie all’interno dei vacuoli, piccole cavità nelle cellule vegetali.

Lì restano intrappolati e non si disperdono più nell’ambiente, almeno fino a che le foglie non cadono sul terreno.

«All’erba storna alpestre i metalli non servono per crescere; li immagazzina nelle foglie per diminuire la concentrazione di sostanze tossiche alle sue radici», spiega Claude Grison, ricercatrice del Centro di ecologia funzionale ed evolutiva all’Università di Montpellier.

E aggiunge: «È anche una strategia di difesa: l’accumulo di veleni nelle foglie le protegge dagli attacchi dei parassiti e degli erbivori».

Sono più di cento anni che la scienza ha scoperto le proprietà speciali dell’erba storna alpestre.

Ma solo dalla metà degli anni 90 è stata individuata una varietà della pianta, che cresce spontanea proprio su quei terreni contaminati in Francia, capace di assorbire zinco fino all’8 per cento del suo peso secco (calcolato senz’acqua), insieme ad altri metalli come cadmio e piombo.

2. Usata nell’industria cosmetica

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Anziché lasciare che le foglie cadano sul terreno e riportino al suolo la contaminazione, all’Università di Montpellier sono riusciti a trasformarle in una polvere non tossica, da utilizzare come “catalizzatore”: una sostanza che facilita le reazioni chimiche negli impianti industriali.

In genere i catalizzatori sono metalli, estratti dalle miniere che si stanno esaurendo sulla superficie terrestre.

«Siamo riusciti a coltivare l’erba storna alpestre sul terreno di Saint-Laurent-le-Minier, a trattare e purificare le sue foglie, e ricavarne un catalizzatore ecologico per produrre cosmetici, fibre tessili e pesticidi biologici, non dannosi per la salute umana», conclude Claude Grison.

Dovranno passare molti anni prima di completare tutto il “fitorisanamento” (dal greco phytòn, pianta) di quell’area: così è chiamata la bonifica del suolo grazie alle piante. Una tecnica sempre più usata in Europa e negli Stati Uniti, ma purtroppo ancora poco in Italia.

Nel frattempo, l’erba storna alpestre in Francia potrebbe diventare un prodotto che rende. E se il maestrale soffia su Saint-Laurent-le-Minier, il tappeto verde, che ora ricopre una terra sino a poco tempo fa arida, impedisce che le polveri tossiche si disperdano nell’aria.

Dov’è in Italia? L’erba storna alpestre cresce spontanea anche in Italia, soprattutto sull’Appennino tosco-emiliano, nella riserva naturale del Monte Prinzera, in provincia di Parma.

«Gli scienziati arrivano da tutta Europa per studiare la pianta in questa zona. Non è un’area inquinata, ma ricca di metalli per la naturale conformazione del suolo, che deriva dalla frantumazione di particolari “rocce verdi”. La pianta predilige il clima fresco e soleggiato delle zone collinari a 500 metri di altitudine», osserva Nelson Marmiroli, direttore del dipartimento di Bioscienze dell’Università degli studi di Parma.

Potrebbe essere coltivata in Italia e usata per bonificare i terreni inquinati dai metalli pesanti?

«L’abbiamo coltivata in laboratorio per studiarne le caratteristiche e resta una delle piante più interessanti per la ricerca sul fitorisanamento. Ma pensare di coltivare su larga scala una pianta così piccola, con poca massa vegetale, non è molto conveniente. È difficile da coltivare in modo intensivo e lontano dal suo habitat naturale. Meglio puntare su piante più grandi, arboree, con fusto più sviluppato e radici più profonde», conclude Marmiroli.

Sono 57 nel nostro Paese le aree contaminate classificate come più pericolose e che si potrebbero risanare anche con l’aiuto delle piante.

3. Le altre piante “mangia veleni”

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La scienza considera le piante il “fegato verde” dell’ambiente perché, come il fegato nel nostro organismo, accumulano e metabolizzano le sostanze di scarto.

Alcune lo fanno di più: sono le iperaccumulatrici, proprio come l’erba storna alpestre. Ecco le più comuni.

- Sebertis acuminata:
è un albero che cresce sui terreni ricchi di nichel. Produce un lattice, simile alla gomma, colorato di blu perché contiene oltre l’11 per cento di nichel assorbito dal suolo.

- Vetiver:
coltivato in tutte le regioni tropicali e usato molto nella profumeria. Assorbe grandi quantità di metalli e altre sostanze tossiche.

- Amaranto:
assorbe il cesio radioattivo, un metallo che ha contaminato tutto il territorio di Chernobyl, in Ucraina, dopo l’incidente alla centrale nucleare avvenuto nel 1986.

- Girasole selvatico:
il fusto può anche superare i quattro metri di altezza. Accumula nichel e cromo.

- Senape indiana:
a Trenton, nello Stato americano del New Jersey, è stata usata per risanare il suolo contaminato da piombo in un’area dove sorgeva una fabbrica di batterie per auto.

4. Queste piante puliscono l’aria di casa

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Nel 1980 l’agenzia spaziale americana, la Nasa, iniziò a sperimentare un metodo per purificare l’aria, con l’aiuto delle piante, all’interno delle navicelle spaziali mandate in orbita.

La ricerca è durata oltre vent’anni e oggi sappiamo quali sono le piante più utili per depurare l’aria che respiriamo negli ambienti chiusi.

Le sostanze inquinanti sono assorbite dalle foglie e convogliate dal fusto alle radici, dove i batteri del terreno le digeriscono.

La Nasa raccomanda di usare, in un ambiente di 170 mq, da 15 a 18 piante in vasi da 20 cm di diametro.

- Sostanza tossica: Benzene
- Dove è contenuta: Inchiostri, pitture, vernici, gomme, detergenti, benzine, fumo di sigaretta, fibre sintetiche
- Piante da scegliere: Dracena, crisantemo, gerbera
- Dove metterle: Salotto, bagno, soprattutto negli edifici situati in zone con molto traffico di autoveicoli

- Sostanza tossica: Tricloroetilene
- Dove è contenuta: Pitture, vernici, toner di stampanti, adesivi
- Piante da scegliere: Dracena, crisantemo, gerbera
- Dove metterle: Ufficio, aule e uffici nelle scuole

- Sostanza tossica: Formaldeide
- Dove è contenuta: Schiume isolanti, legno pressato, colle per pavimenti, carta da parati, fumo di sigaretta, sacchetti di plastica per la spesa
- Piante da scegliere: Dracena, crisantemo, gerbera
- Dove metterle: Ufficio, aule e uffici nelle scuole





5. In Francia hanno decontaminato un terreno usando questa erba

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1. Raccolta e preparazione delle sementi
Dalle piante di erba storna alpestre si prelevano i semi che vengono fatti germogliare grazie a batteri e funghi indispensabili al loro sviluppo.

2. Coltivazione sul sito inquinato
Prima di seminare la pianta, al terreno si aggiungono delle sostanze acide che fanno aumentare la quantità di metalli che verrà assorbita dal vegetale.

3. La pianta succhia i veleni
Zinco, cadmio e piombo risalgono dalle radici e si accumulano nelle foglie all’interno dei vacuoli, le cavità tipiche delle cellule vegetali.

4. Raccolta delle foglie
Dopo 4-5 mesi si tagliano le foglie che sono poi riscaldate in un impianto e trasformate in una polvere ricca di metalli, soprattutto zinco.

5. Purificazione
Miscelata a resine, la polvere ottenuta viene purificata e usata per produrre farmaci, cosmetici, fibre tessili, pesticidi biologici non dannosi per la salute dell’uomo.








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