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Erode il sanguinario

Erode il Grande nacque intorno al 73 a.C. da padre idumeo, Antipatro, e da madre araba, Cipro, originaria di Petra, capitale dei Nabatei.

L’Idumea, una regione compresa tra il regno di Giuda e il deserto del Negev, era stata conquistata dagli ebrei ed i suoi abitanti convertiti a forza all’ebraismo ai tempi del re asmoneo Giovanni Ircano (135-104 a.C.), circa cinquanta anni prima.

Dal 37 a.C. Erode il Grande regnò sulla Giudea per 33 anni. Spietato e ambizioso, fu un grande re ma fu anche odiato dai sudditi e usato da Roma.

Giuseppe Flavio, il comandante delle truppe ribelli in Galilea e futuro storiografo, non poteva fare a meno di pensarci, ora che era intrappolato in una cisterna della fortezza di Masada (Israele), circondato dai Romani.

In fondo se lui, i compagni e in generale tutti i suoi connazionali si trovavano in quella pessima situazione, la colpa era soprattutto del re Erode il Grande.

Era morto da più di mezzo secolo, ma rimaneva l’uomo simbolo dell’occupazione romana della Giudea, colui che aveva aperto all’impero le porte del regno, governando tra il 37 e il 4 a.C. come vassallo di Roma.

“È diventato re per un giro di fortuna”, pensava lapidario Giuseppe. “Se uscirò vivo da qui, racconterò io questa storia”. E così fece, nelle sue Antichità giudaiche, riciclandosi come storiografo dopo essersi consegnato ai Romani.

Abile stratega e uccisore di figli e parenti, grande costruttore ed evangelico stragista di bambini, re illuminato e sovrano dal pugno di ferro: chi fu davvero re Erode il Grande? Capace di imprese eccezionali e di violenze inaudite, è un personaggio quasi impossibile da inquadrare.

 

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1. Impietoso

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I dati più importanti e sistematici che vengono dalla tradizione antica sono quelli offerti dallo storiografo Flavio Giuseppe (Titus Flavius Iosephus in latino).

È l’unico autore che ci ha tramandato una storia continua e dettagliata di Erode.

Ma il suo giudizio, come tutti i giudizi storici, è precario, perché dipende dalla realtà sempre mutevole della politica. Quando lo storico giudeo scrisse la sua opera, infatti, la dinastia di Erode era ormai solo un ricordo.

Al tempo di Giuseppe, la Giudea soffriva l’ostilità di Roma a causa della recente guerra del 66-73 d.C. Da un lato Erode solleticava l’orgoglio nazionalista, ma quello che era avvenuto dopo di lui indusse a rivedere sotto una luce sinistra il suo lungo periodo di regno.

Per quanto poco obiettivo, su una cosa però Giuseppe Flavio non si sbagliava: il popolo giudeo non amò mai quel re. I motivi erano diversi: primo fra tutti, la sua origine. Gli Ebrei lo definivano in modo sprezzante “semigiudeo”: Erode apparteneva infatti alla tribù semitica degli Edomiti.

Alla fine del II secolo a.C., la sua gente era stata sottomessa e costretta alla conversione dagli Asmonei, la dinastia ebraica che aveva conquistato l’indipendenza del regno di Giudea e che lo governava dal 140 a.C.

Quei “veri” Ebrei non potevano certo immaginare che, di lì a un secolo, un discendente di quella che consideravano una razza inferiore avrebbe soffiato il trono ai loro discendenti.

“Di questa sfortuna [...] furono responsabili Ircano e Aristobulo, a motivo della loro discordia”, notava Giuseppe Flavio. La storia risaliva al 67 a.C., quando Erode aveva appena 5 anni. In quell’anno morì a Gerusalemme la regina Alessandra Salome, vedova del re e sommo sacerdote Alessandro Ianneo.

Fu allora che il più giovane dei loro due figli, Aristobulo II, cercò di impadronirsi del trono, a scapito del fratello maggiore, Ircano II, già sommo sacerdote da 9 anni.

 

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2. Vassalli di Roma

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Della guerra civile che ne seguì approfittarono i Romani, impegnati in Medio Oriente nella conquista della Siria.

Chiamato in causa dai contendenti, il generale Pompeo, sempre alla ricerca, in quella zona difficile, di fedeli alleati dell’impero, decise di appoggiare Ircano, il fratello più manovrabile.

Il militare romano assediò Gerusalemme e sconfisse i seguaci di Aristobulo. Poi riconobbe a Ircano il titolo di sommo sacerdote (ma non quello di re) e rese la Giudea tributaria di Roma.

Che c’entra Erode in tutto questo? Ancora niente. Ma suo padre Antipatro, che Alessandro Ianneo aveva nominato governatore militare della regione dell’Idumea, sì.

Schieratosi a suo tempo con Ircano, l’uomo si era dimostrato un abile mediatore con i Romani. Tanto che nel 47 a.C. Giulio Cesare lo nominò “epitropo” della Galilea, cioè tutore degli interessi di Roma in loco.

Lo scopo del dittatore romano era garantirsi il controllo della Giudea e, di conseguenza, la sicurezza interna ed esterna della provincia di Siria. Antipatro diventò il vero uomo forte del governo giudeo e suo figlio ne seguì le orme: a 15 anni ricevette dal padre il titolo di governatore della Galilea.

E, con la stessa tempra del genitore, mostrò la propria fedeltà alla causa dell’impero tenendo sotto controllo la situazione a Gerusalemme e stroncando senza remore anche i movimenti patriottico-religiosi dei suoi connazionali.

Così facendo si conquistò il rancore dei Giudei e la fiducia, la protezione e i titoli dei Romani, da Giulio Cesare all’imperatore Ottaviano Augusto, passando per il generale Marco Antonio.

Il premio arrivò nel 40 a.C., quando gli acerrimi nemici d’Oriente dei Romani, i Parti, occuparono la Siria, invasero la Giudea e consegnarono il trono al figlio di Aristobulo II. Erode, succeduto al padre nel ruolo di pilastro militare di Ircano, corse a Roma a chiedere aiuto per ristabilire i poteri legittimi.

Anche grazie, pare, a una sostanziosa bustarella, il giovane idumeo tornò a casa con il titolo di re di Giudea e l’esercito di legionari con cui, nel 37 a.C., prese Gerusalemme e il regno.

Da allora i sudditi lo accusarono di aver usurpato il trono agli Asmonei e di essere una marionetta nelle mani dei dominatori romani.

 

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3. Umili origini

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A nulla valse il tentativo del nuovo sovrano di acquisire legittimità sposando la nipote di Ircano, Mariamne.

Erode soffriva la difficile situazione di essere un re dai natali non prestigiosi, in contrapposizione a quelli prestigiosi della sua sposa.

Inoltre il matrimonio non consolidò la sua popolarità e la stabilità del regime, specialmente dopo la tragica fine della moglie. Calunniata da cognata e suocera, la povera ragazza fece infatti una brutta fine: tra colpe vere e presunte, fu condannata a morte nel 29 a.C.

Prima di lei, Erode aveva già fatto fuori diversi parenti acquisiti: tra gli altri, Ircano II e il giovane cognato Aristobulo III, sommo sacerdote. Ma la morte dell’unica donna amata tra una decina di altre mogli lo toccò profondamente.

Raccontava il solito Giuseppe Flavio che, in preda ai sensi di colpa, la invocasse ogni notte, come fosse ancora viva. “La sua mente era così tesa notte e giorno, che prese la forma di soffrire di pazzia e follia”, scrisse lo storico.

Erode diventò sempre più sospettoso e paranoico: la reggia “cadde in preda a una grande confusione; ognuno infatti seminava calunnie secondo odi e simpatie, e molti approfittavano del furore omicida del re per sbarazzarsi dei propri nemici”.

Il sovrano, che vedeva complotti dietro ogni angolo, eliminò la suocera Alessandra, un cognato e persino i due figli avuti da Mariamne: Aristobulo e Alessandro.

Tanto che l’imperatore Augusto arrivò a dire: “Di Erode è meglio essere il maiale che il figlio” (dato che gli Ebrei non macellano i suini).

Proprio questi fatti, secondo alcuni storici, avrebbero dato origine alle dicerie sulla “strage degli innocenti” raccontata nel Vangelo di Matteo.

In realtà le vere vittime del re non sarebbero stati i bambini di Betlemme, uccisi nel timore che fra loro si nascondesse il neonato re dei Giudei annunciato dai Magi e venuto a rubargli il trono, ma i suoi stessi figli.

Incluso il primogenito Antipatro, che Erode fece ammazzare sospettando che stesse provando ad avvelenarlo. Nella foto sotto, la “strage degli innocenti”.

 

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4. Illuminato

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Tra un omicidio e l’altro, il sovrano idumeo si dimostrò anche un amministratore capace.

Erode fu davvero “Grande”, se lo consideriamo nelle sue vesti di promotore dell’espansione e dello sviluppo dello Stato giudaico e del giudaismo.

Sotto il suo regno, la Giudea raggiunse la massima estensione, fino a coprire metà dell’attuale Israele e un bel pezzo di Siria e Giordania. Attivo anche da un punto di vista culturale, Erode aprì i suoi antichi territori alle influenze romane ed ellenistiche.

Costruì un ippodromo e un anfiteatro a Gerusalemme e accolse nel suo magnifico palazzo diversi dotti greci.

Finanziò opere pubbliche in tutto il Medio Oriente, nel 12 a.C. sponsorizzò un’edizione delle Olimpiadi e fu un grande costruttore: di fortezze e di città (tra le altre, Torre di Stratone, ribattezzata Cesarea in onore della famiglia dell’imperatore Augusto).

Nel 20 a.C. diede inizio all’opera che strappò parole ammirate persino al criticone Giuseppe Flavio: la (terza) ricostruzione e l’ampliamento dell’antico Tempio di Gerusalemme, inaugurato nove anni e mezzo dopo.

Un’impresa grandiosa, che non lo salvò però dalle critiche dei suoi religiosissimi sudditi. La fondazione di città in onore dei Cesari suscitò ostilità negli Ebrei nazionalisti, che non digerivano il fatto che il re usasse soldi pubblici per erigere templi pagani o per sostenere attività empie come i Giochi olimpici.

Così, conscio di non aver raggiunto il cuore della propria gente e consapevole che nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, ormai malato Erode escogitò un’ultima violenza.

Fece rinchiudere nell’ippodromo di Gerico tutti i notabili della regione e chiese alla sorella Salome di ucciderli subito dopo la sua morte. In quel modo, molte lacrime sarebbero state versate: se non per lui, almeno per quelle vittime illustri.

Più tranquillo, spirò il 13 marzo del 4 a.C., durante un’inquietante eclissi di luna rossa: ma prima che la notizia si diffondesse, Salome liberò i prigionieri. Il re idumita aveva smesso di far paura.

Nella foto sotto, il Tempio di Gerusalemme ricostruito da Erode durante il suo regno. Per terminare l’opera ci vollero 9 anni e mezzo.

 

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5. La resa dei conti

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Alla fine di marzo o ai primi di aprile del 4 a.C. Erode dopo una lunga malattia morì.

La morte di Erode liberò la fame di indipendenza degli Ebrei, ma la debolezza dei suoi successori favorì la sete di potere e ricchezza dei Romani, prima frenata.

La Giudea divenne provincia romana nel 6 d.C.: il malgoverno dei prefetti e la crescente avversione dei Giudei per l’aristocrazia laica e sacerdotale sempre più corrotta e per i costumi pagani che i dominatori tentavano di importare inasprirono i rapporti tra i contingenti romani e la popolazione. 

Il malcontento sfociò nella rivolta del 66 d.C., scatenata dalle fazioni più estremiste (gli Zeloti), che volevano l’indipendenza politica. Fu l’inizio della Prima guerra giudaica.

L’allora imperatore Nerone affidò al generale Vespasiano tre legioni, truppe ausiliarie e l’ordine di riconquistare le regioni in rivolta.

Nell’altro schieramento, al futuro storiografo Giuseppe Flavio (nella foto in alto a sinistra) toccò il comando delle operazioni difensive in Galilea.

Nel 69, acclamato imperatore, Vespasiano lasciò al figlio Tito l’ordine di chiudere definitivamente i conti con Gerusalemme.

Alla fine dell’estate del 70, nonostante l’accanita resistenza giudea, Tito prese la città, trucidò la popolazione e bruciò il Tempio: 97mila Giudei furono ridotti in schiavitù e dispersi in tutto l’impero. Fu l’inizio della diaspora.

Nella foto sotto, le rovine della fortezza di Masada (Israele).

 

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