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Etna, il vulcano trasformista

L’Etna, avente un volume di circa 500 km3, è il vulcano attivo più grande d’Europa e uno tra i più grandi del mondo.

L’attività vulcanica nell’area etnea è iniziata in epoche geologiche relativamente recenti, tra 700.000 e 500.000 anni or sono.

L’edificio vulcanico è composto da lave e scorie (bombe vulcaniche, ceneri e lapilli) accumulate negli ultimi 35 000 anni, durante i quali il vulcano è rimasto in costante attività.

È un vulcano in continua trasformazione, che sin da tempi immemorabili ha suscitato l’attenzione dell’uomo.

Studiosi e viaggiatori sono rimasti affascinati da paesaggi modellati dal fuoco, dal tempo e da straordinarie forme di vita che soprattutto sull’Etna, hanno dato origine a uno dei più incredibili miracoli della natura.

I primi riferimenti sui prodotti eruttivi dell’Etna risalgono al periodo classico e le notizie riferite specialmente dai Greci (Omero, Euripide, Tucidide, Strabone, Diodoro Siculo, Eschilo, e altri) non permettono ricostruzioni sempre affidabili sull’argomento, pur costituendo un patrimonio universalmente riconosciuto in vari ambiti del sapere.

L’Etna cambia continuamente aspetto specie in vetta dove nascono nuovi crateri che, aggiungendosi a quelli preesistenti, potenziano l’attività eruttiva.

Perciò gli scienziati redigono mappe aggiornatissime di questo gigante, ai cui piedi vive quasi un milione di persone da proteggere a ogni costo.

Ma cerchiamo di conoscere meglio questo straordinario e maestoso vulcano: l’Etna, il vulcano trasformista.

1. Un versante scivola sul mare

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L'Etna domina il Mediterraneo dall'alto dei suoi 3.324 metri di altezza.

È un enorme stratovulcano affacciato sul Mar Ionio e delimitato lungo gli altri lati dai fiumi Alcantara e Simeto.

Le sue basse pendici sono occupate da terre fertili ricche di acqua dolce e cosparse di insenature costiere. Insomma, è un luogo adatto per il prosperare della civiltà umana, come infatti avviene da millenni.

Eppure, l’Etna è il simbolo più evidente delle forze che da milioni di anni plasmano il Mediterraneo, generando violenti terremoti e alimentando vulcani attivi potenzialmente pericolosi.

Esserne consapevoli e abitare il territorio in modo intelligente può fare la differenza tra la vita e la morte, tra prosperità e distruzione: il vulcano, infatti, è attivo soprattutto a quote medio-alte, cioè sopra i 1.000 metri sul mare.

Qui sfoga la sua esuberanza di vulcano “giovane”, geologicamente parlando, cambiando aspetto a ogni eruzione, anno dopo anno. Basta osservare la recente trasformazione della sua zona apicale.

Soltanto 120 anni fa la sua cima culminava con un unico cratere (Cratere Centrale), mentre oggi ne troviamo ben 5, che testimoniano rapidi e marcati cambiamenti morfo-strutturali.

I cambiamenti nella zona apicale derivano dalla combinazione di due fattori: l’intensificazione dell’attività eruttiva degli ultimi decenni e il precario assetto strutturale del vulcano, del quale un intero fianco sta scivolando, impercettibilmente ma continuativamente, verso il Mar Ionio.

Questo enorme blocco instabile è delimitato, a ovest, da alcune fratture che attraversano proprio l’area del cratere sommitale, la quale, in un certo senso, “si apre” sempre più.

È questo continuo processo di apertura e scivolamento verso il basso a determinare la nascita di nuove bocche e crateri, allineati lungo le fratture più attive: come il Nuovo Cratere di Sud-Est, un cono piroclastico che in soli sei anni si è accresciuto di 300 metri in altezza, eruttando oltre 150 milioni di metri cubi di lave e lapilli.

Inizialmente, nel 2007, era solo un piccolo “cratere a pozzo” di poche decine di metri di diametro, aperto sul basso fianco orientale del Cratere di Sud-Est, suo “progenitore”, a circa 3.000 metri di quota.

Dal gennaio 2011 in poi, però, questo piccolo cratere ha iniziato a produrre decine di violente fontane di lava (attività esplosiva parossistica) e colate (attività effusiva), che hanno progressivamente costruito un cono enorme, mutando completamente la morfologia dei luoghi.

Anche il Cratere Centrale ha recentemente cambiato forma. Tra il 3 e il 5 dicembre 2015, alla Voragine, una delle sue bocche interne, si sono verificate quattro violentissime eruzioni esplosive, i cui prodotti hanno riempito la depressione centrale del vulcano, che in precedenza era profonda oltre 200 metri.

 

2. Una mappa aggiornata e dentro il vulcano in sicurezza

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  • Una mappa aggiornata
    Tutti questi eventi hanno reso necessario aggiornare le vecchie mappe topografiche, diventate inadeguate.
    Qui entra in gioco la collaborazione tra ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), del Politecnico di Torino e della società ISE-NET, Spin-Off dello stesso Politecnico, che hanno appena creato una nuova mappa topografica dell’area sommitale dell’Etna.
    I ricercatori hanno sorvolato il vulcano con un elicottero della Butter y S.r.L. Helicopter Services, equipaggiato con vari dispositivi video capaci di acquisire migliaia di fotografie digitali ad altissima risoluzione e immagini termiche.
    Inoltre è stato agganciato sotto l’aeromobile un sistema di telecamere in grado di registrare un video a 360°, girato con tecniche di realtà immersiva.
    Contemporaneamente, da terra, è stato eseguito un rilievo topografico con Laser Scanner Terrestre (modello Riegl VZ-4000) di alcune zone del vulcano riprese anche dall’alto, al fine di costruire una base di riferimento geodetico per vincolare a terra le immagini acquisite dall’elicottero.
    Questa enorme mole di dati è stata, in fine, elaborata per realizzare le nuove mappe, pubblicate su Journal of Maps (Taylor & Francis Group) e liberamente scaricabili dal portale internet della stessa rivista, all’indirizzo http://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/17445647.2017.1352041?scroll=top&needAccess=true.
  • Dentro il vulcano in sicurezza
    Il video a 360° prodotto dalle telecamere agganciate sotto l’elicottero ha una sua eccezionale peculiarità: consente di rivisitare infinite volte i luoghi analizzati, muovendosi in tutte le direzioni e godendo di una visuale che nessun essere umano potrebbe mai avere con i suoi soli occhi.
    In altre parole, come una sorta di macchina del tempo, il video consente di rivivere gli avvenimenti accaduti nel corso del sorvolo muovendosi nello spazio in ogni direzione e alla velocità desiderata, aumentando così la capacità di cogliere i dettagli degli avvenimenti e quindi di comprendere più approfonditamente i fenomeni osservati.
    Un approccio nuovo che, applicato alla vulcanologia, consentirà di capire meglio come funzionano i vulcani attivi, osservando i fenomeni eruttivi quasi come se ci si trovasse “dentro” i vulcani, ma a una distanza di sicurezza tale da non mettere a repentaglio la vita degli osservatori.

 

3. Per scienziati e gente comune

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  • Per scienziati e gente comune
    Il continuo aggiornamento delle mappe è importante sia per gli scienziati sia per la gente comune.
    Esso consente, infatti, di individuare le strutture del vulcano più pericolose, capirne meglio il funzionamento e provare ad anticiparne le evoluzioni future.
    I dati topografici ad alta risoluzione permettono, per esempio, di costruire dei modelli digitali del terreno per prevedere quali aree saranno invase in futuro dalle lave.
    Gli algoritmi di calcolo, infatti, possono simulare la propagazione di un flusso lavico, a patto di avere una superficie topografica aggiornata.
    Essa aiuta a orientarsi anche le guide e i numerosi turisti che, tra quanti visitano il vulcano (circa 1.200.000 l’anno), osano avventurarsi verso la spettacolare area sommitale.
  • “Tranquille” colate di lava e violente fontane di fuoco
    I magmi basaltici etnei, poco viscosi e di elevata temperatura (fino a circa 1.200 °C), consentono ai gas (che sono il “propellente” delle esplosioni) di liberarsi con facilità dal materiale fuso.
    È la quasi totale assenza di gas a generare attività eruttive di tipo semplicemente “effusivo”, cioè caratterizzate dalla formazione di “tranquille” colate di lava.
    A volte, però, il magma risale troppo rapidamente per liberarsi della maggior parte dei gas, per cui anche all’Etna possono avvenire eruzioni esplosive molto violente (fontane di lava), che però durano solo alcune ore.
    In questi casi possono formarsi colonne eruttive composte da ceneri e lapilli alte fino a 10-15 chilometri, che vengono prese in carico dai venti e distribuite nella troposfera a centinaia di chilometri di distanza dal vulcano.
    Queste nubi eruttive sono pericolose per le turbine degli aeromobili, che possono danneggiarsi causando incidenti gravi.
    Perciò le autorità precludono al traffico aereo gli spazi di cielo occupati dalla nube eruttiva.
    Anche le interazioni tra il magma che risale nei condotti del vulcano e le falde acquifere contenute nelle rocce possono produrre forti eruzioni esplosive, dette freato-magmatiche.

 

4. Le eruzioni più pericolose e il numero delle sue bocche

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  • Le eruzioni più pericolose per i centri abitati sono quelle laterali
    Le eruzioni dell’Etna si dividono in due categorie principali: quelle sommitali, prodotte da uno dei crateri situati sulla cima del vulcano, e quelle laterali (chiamate anche “di fianco” o “eccentriche”), che emergono da fessure che si aprono sui suoi fianchi.
    Le colate di lava eruttate dalle zone sommitali non sono mai pericolose per i centri abitati etnei perché la lava si raffredda rapidamente a mano a mano che si propaga e in genere si ferma dopo avere percorso 5-6 km.
    Paesi e città si trovano a distanze maggiori, per cui solo le infrastrutture turistico-alberghiere presenti in alta quota possono essere convolte.
    Le eruzioni laterali sono, invece, decisamente più pericolose per le popolazioni poiché le bocche eruttive si possono aprire a quote basse, cioè a ridosso o addirittura dentro le zone antropizzate del vulcano.
    Esse distruggono ogni cosa, rendendo sterili per centinaia di anni i territori sepolti.
    Solo le colate laviche laterali che durano molti mesi o anni e sono caratterizzate da tassi effusivi costanti possono generare flussi lunghi fino a 11-12 chilometri.
    Come nel 1669, quando la più devastante eruzione storica dell’Etna ha distrutto numerosi paesi sul fianco meridionale del vulcano e le lave hanno raggiunto il porto di Catania.
    Negli ultimi decenni l’Etna ha eruttato volumi di magma sempre maggiori.
    L’unica difesa possibile è quella “passiva”, che consiste in un intelligente uso del territorio orientato a escludere dall’edificazione le zone più a rischio.
  • Quante sono le sue bocche?
    Il Cratere Centrale (attivo almeno dal XIX secolo) presenta al suo interno due bocche eruttive: la Voragine (formatasi nel 1945) e la Bocca Nuova (1968).
    Il Cratere di Nord-Est (oggi la cima più alta del vulcano, circa 3.324 m sul mare) è invece attivo dal 1911.
    Il Cratere di Sud-Est è sorto nel 1971. Dal 2007 in poi si sta accrescendo un ulteriore cono sommitale, chiamato “Nuovo” Cratere di Sud-Est che si trova appoggiato sul fianco orientale del “Vecchio” Cratere di Sud-Est.
    È evidente che stiamo parlando di un’area del vulcano estremamente dinamica, in cui la frequente attività eruttiva modifica forme e strutture con rapidità impressionante.

 





5. 4 parole da capire

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  1. Stratovulcano
    Apparato di forma conica stratificato, composto da un’alternanza di colate laviche e prodotti piroclastici, epiclastici e detritici (prodotti frammentati per attività vulcanica esplosiva o per erosione), come l’Etna e il Vesuvio.
  2. Fontana di lava
    Violento getto continuo di lava incandescente e gas che si innalza per centinaia di metri sopra la bocca eruttiva.
  3. Attività stromboliana
    Esplosioni discontinue caratterizzate dal lancio nell’atmosfera (fino a decine di metri di altezza) di getti di gas caldi, brandelli di lava incandescente e blocchi solidi strappati dalle pareti del condotto.
    Il termine deriva dal vulcano Stromboli, dove questa attività persiste da almeno 2.000 anni.
  4. Laser Scanner terrestre
    Strumento per rilevazioni topografiche tridimensionali ad alta precisione. Può acquisire milioni di punti in pochi minuti.
    Il principio su cui si basa tale tecnologia è il calcolo del tempo di volo (time of flight) di un impulso laser emesso dallo strumento e indirizzato sulla superficie da misurare.

 








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