Taciuta, cancellata, modificata: la verità non sempre giunge a noi pura e integra.
Se l’espressione fake news (notizie distorte o palesemente false) è oggi uno dei neologismi più diffusi, il giornalista e storico Paolo Mieli sottolinea nel libro Le verità nascoste (Rizzoli) che la manipolazione dei fatti non è una prerogativa dei nostri giorni, ma una costante di ogni epoca storica, a partire addirittura dall’età classica, nell’antica Roma.
Con una serie di esempi che si riferiscono a differenti epoche storiche Mieli dimostra che versioni consolidate di episodi e vicende tramandate nei secoli possono sgretolarsi sulla base di nuovi studi tesi a ristabilire il vero e a preservarlo.
Dalla ribellione di Spartaco, forzato simbolo dei gladiatori in rivolta, a Churchill, eroe anti nazista che invece fu a un passo dal trattare con Hitler; dal “fascismo buono” alla presunta onestà dei gerarchi; le manipolazioni della verità non sono un segno dei nostri tempi, ma esistono da sempre!
1. Spartaco non guidò la rivolta dei gladiatori in nome di un ideale, ma per se stesso
Un disertore dell’esercito romano catturato, condannato alla schiavitù e costretto a combattere come gladiatore per il piacere dei suoi padroni.
Un ribelle stanco che nel 73 a.C. guidò una rivolta contro lo Stato alla testa di un esercito di uomini pronti a lottare fino alla morte per il loro più alto ideale: cancellare la schiavitù dalla faccia della terra.
Stiamo parlando di Spartaco: se ne occupa Mieli, citando lo storico Yann Le Bohec, autore di Spartaco, signore della guerra, secondo il quale la fama di questo gladiatore è una delle più grandi mistificazioni della storia.
Le Bohec ha passato in rassegna tutta la letteratura che lo riguarda e ha trovato appena 5 autori che ne parlano, contraddicendosi e rendendo difficile un confronto. Tanto per cominciare la mancanza di fonti certe riguarda la reale appartenenza di Spartaco all’esercito romano.
Poi Mieli sottolinea che anche le vittorie dell’esercito dei gladiatori ribelli che sarebbe stato guidato da lui contro i Romani sono piuttosto dubbie per almeno due ragioni: prima di tutto le armi dei gladiatori «erano destinate esclusivamente allo spettacolo e non alla guerra» e inoltre «i gladiatori praticavano una scherma diversa da quella in uso sul campo di battaglia».
Armati di rete e tridente, infatti, cosa avrebbero potuto fare contro un fante pesante? «Assolutamente niente», conclude Le Bohec.
Mancano poi riferimenti all’effettiva volontà di lottare per l’abolizione della schiavitù da parte dei gladiatori: «Gli autori antichi non menzionano mai un simile progetto», scrive Le Bohec, anzi, «dimostrano chiaramente che l’obiettivo di Spartaco e dei suoi non era quello che è stato loro attribuito».
Secondo lo studioso francese, Spartaco e sodali volevano semplicemente sfuggire alla propria condizione, ma «non avevano un progetto unitario come è stato affermato».
Non si battevano per stabilire la giustizia né la libertà per tutti, ideali che sarebbero stati loro attribuiti con un’interpretazione faziosa dei fatti. Spartaco, quindi, «non si comportava né come un missionario della democrazia né come un difensore della libertà»: per Le Bohec voleva solo tornarsene in Tracia, sua terra d’origine, e godersi da uomo libero il resto dei suoi giorni.
2. Ma quale boom di esorcisti: nel Medioevo quasi scomparvero
A dispetto di quello che tutti credono di sapere, nel Medioevo le pratiche esorcistiche furono ridotte ai minimi termini.
Nonostante la paura di Satana e la dura lotta sfociata nella caccia alle streghe, infatti, nella Chiesa di quel tempo l’esorcismo non era affatto una pratica diffusa.
Anzi, questo modo di scacciare il maligno entrò profondamente in crisi, svanendo quasi del tutto tra l’XI e il XIII secolo soprattutto per un motivo: la minaccia del paganesimo, tipica nell’ultima stagione dell’antichità e nei primi secoli del Medioevo, svanì creando tra il 1000 e il 1200 una sorta di vuoto.
A riprova di questa teoria, Mieli cita i lavori di un altro storico, André Goddu, il quale «constatò come dal XII secolo in poi si sia dovuto prendere atto di un declino del numero degli esorcismi riportati nelle vite dei santi».
Le agiografie confermano che in questo periodo l’esorcismo fosse poco o nulla praticato.
Per avere da parte della Chiesa una prima definizione dogmatica sui demoni occorre attendere il Concilio lateranense del 1215: tuttavia nemmeno questo diede nuovo impulso agli esorcismi. Il tema restò più una disputa teologica che non aveva immediate conseguenze pratiche.
A gettare una nuova luce sui cosiddetti “anni bui” della Storia è Francis Young, teologo britannico (1939), che nel suo saggio Possessione.
Esorcismo ed esorcisti della storia della Chiesa cattolica (2018) sottolinea come, dopo la minaccia del paganesimo dei primi secoli dopo Cristo, la pratica di scacciare il demonio tramite rituali andò lentamente scemando entrando profondamente in crisi proprio nel Medioevo.
Occorrerà attendere papa Leone XIII (1878-1903) perché venga ripresa e conquisti nuova popolarità.
3. Ci mancò un soffio che Churchill trattasse con Hitler
Nel 1940 Winston Churchill, neo primo ministro inglese, era a un passo dal trattare la pace con Adolf Hitler.
Lo rivela lo scrittore neozelandese Anthony McCarten ne L’ora più buia (2018) narrando un episodio poco noto della Seconda Guerra Mondiale quando Churchill, mentre la Norvegia e la Francia erano cadute nelle mani dei nazisti, prese in seria considerazione l’ipotesi di discutere con il dittatore tedesco.
A orchestrare l’intrigo dietro la vicenda fu Edward Wood, conte di Halifax, ministro degli Esteri del precedente governo Chamberlain e di manifeste simpatie naziste.
La sua intenzione era quella di arrivare a una pace che avrebbe garantito l’indipendenza della Gran Bretagna, anche a costo di cedere territori coloniali e, soprattutto, assentire al dominio nazista in Europa.
Churchill appariva «prostrato, confuso e pronto a cedere all’idea prospettata da Halifax», scrive Mieli, e «si era arrivati a un passo dalla resa». Stava affrontando un momento delicato: a Dunkerque, sulla costa settentrionale della Francia, le truppe britanniche erano state accerchiate dall’esercito tedesco.
La nazione intera era in ansia per la sorte dei suoi soldati e Churchill, assieme al vice ammiraglio Bertram Home Ramsay, mise a punto l’operazione Dynamo, cioè il rimpatrio di quanti più militari inglesi possibile facendo partire dalla Gran Bretagna alla volta di Dunkerque qualsiasi tipo di imbarcazione.
Era un azzardo, ma lo sforzo venne premiato e oltre 200.000 soldati si salvarono. Al successo dell’operazione Dynamo seguì un nuovo e più forte appoggio di re Giorgio VI a Churchill che così poté rifiutare categoricamente di trattare con Hitler e guidare il suo Paese, e l’Europa, alla vittoria degli Alleati.
4. Il fascismo “buono” non esiste e i fascisti erano autoritari ma onesti
- Il fascismo “buono” non esiste: è un mito per ridare credito a personaggi politici che avrebbero dovuto fermare Mussolini
Tutto nasce da un diario, quello tenuto dal 9 giugno 1936 al 6 febbraio 1943, da Galeazzo Ciano, genero di Benito Mussolini, ministro degli Esteri, protagonista del voto che portò alla caduta del fascismo nel 1943 e fucilato dalla Repubblica Sociale Italiana l’11 gennaio 1944.
Considerato per anni un’attendibile fonte storica, il diario, secondo lo storico Eugenio Di Rienzo, autore del volume Ciano.
Vita pubblica e privata del “genero di regime” nell'Italia del Ventennio nero, sarebbe in realtà “una ben congegnata trappola” fatta di pagine mancanti e cancellazioni soprattutto sulla pianificazione delle operazioni belliche.
Tale manipolazione sarebbe servita a creare il mito di un “fascismo buono” alternativo a quello voluto e creato dal Duce: un “regime autoritario, ma benevolo” facente capo a Ciano che avrebbe potuto impedire la guerra.
Tra le prove a sostegno ci sono le osservazioni dello storico e politico Gaetano Salvemini che riscontrò «inesattezze, errori di datazioni, contraddizioni cronologiche e fattuali, cancellature e sostituzioni, vistose lacune inerenti ad alcuni momenti cruciali della politica estera italiana».
Per non lasciare testimonianza del ruolo attivo avuto nella guerra contro la Grecia (28 ottobre 1940), ad esempio, nel diario di Ciano sono rimasti solo brevi accenni alla riunione del 15 ottobre quando fu pianificata l’aggressione, mentre «sono state distrutte e sostituite le pagine originali sulla “Caporetto ellenica” che fece seguito a quella disastrosa decisione».
Sempre sul versante bellico, sottolinea Di Rienzo, mancano riferimenti circostanziati al ruolo giocato dal governo fascista per la preparazione, l’attuazione e il sostegno al golpe di Franco in Spagna.
La manipolazione del diario, quindi, servì a creare una nuova immagine di Ciano e funse da «lavacro purificatore per restituire verginità» a quanti pretesero di aver voluto fermare Mussolini, quando invece non avevano fatto nulla.
Insomma, una pretesa di «non colpevolezza della classe dirigente italiana (generali, diplomazia, industria e grande finanza) che si autoassolse disinvoltamente delle proprie responsabilità nello scatenamento di una guerra d’annientamento che provocò più di 60 milioni di vittime».
- I fascisti erano autoritari ma onesti: un luogo comune lontano dal vero
C’è un luogo comune che nel tempo si è radicato in una certa parte dell’opinione pubblica italiana, secondo il quale i fascisti, ancorché politicamente nefasti, sarebbero stati sostanzialmente onesti.
Mancava la libertà, ci fu la guerra, ma almeno i membri del regime fascista avrebbero avuto una moralità superiore rispetto ai politici della successiva Repubblica.
Questo mito crolla sulle pagine scritte da Mauro Canali e Clemente Volpini in Mussolini e i ladri del regime. Gli arricchimenti illeciti del fascismo smontano questa falsa verità (2019), ricordate da Paolo Mieli nel suo lavoro.
Se nella retorica del Ventennio la lotta contro i malaffari restò un caposaldo, in realtà «gran parte dei fascisti di primo piano, a partire da Mussolini e dai famigliari della sua amante Claretta Petacci, si arricchirono in modo davvero considerevole».
Come Costanzo Ciano, padre del ministro Galeazzo Ciano, che alla sua morte aveva accumulato un patrimonio di circa 900 milioni di lire.
Non fu il solo: Telesio Interlandi, direttore del quotidiano fascista Il Tevere e uno dei principali esponenti dell’antisemitismo, «avrebbe ricattato per varie decine di migliaia di lire l’ebreo Gino Coen, un facoltoso industriale romano», mentre il “duro e puro” Roberto Farinacci poteva contare su un patrimonio di oltre 614 milioni, una cifra astronomica se si pensa che un senatore guadagnava annualmente al massimo 25mila lire, un maestro 13.500 e un operaio superava appena le 4.200.
5. Ciceruacchio e Tarquinio il Superbo
- Ciceruacchio: da ultras della devozione a mangiapreti
Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, è ricordato per essere stato uno dei protagonisti più agguerriti della Repubblica Romana del 1849 di cui fu uno strenuo difensore.
A lui Giuseppe Garibaldi affidò il compito di requisire i confessionali delle chiese romane e di accatastarli per le barricate contro i francesi.
Anche di lui scrive Mieli in Le verità nascoste: «Ciceruacchio non esitò a mettere a soqquadro alcune importanti chiese»: nel giro di quattro ore furono sequestrati 55 confessionali, rubati arredi e anche trafugate immagini sacre in gran quantità.
Eppure, lo stesso uomo che non esitò a profanare i luoghi sacri della Chiesa, pochi anni prima si era distinto per il suo fervore nel sostenere il pontefice, agendo come un vero e proprio “ultras della devozione a Pio IX”.
Convinto che il papa eletto nel 1846 potesse essere portatore delle agognate riforme dello Stato Pontificio richieste dalla popolazione, Brunetti divenne in breve tempo l’organizzatore delle ovazioni che accoglievano il papa ovunque andasse o delle gelide accoglienze riservate al pontefice lento nel promulgare le riforme.
Quando poi, il 27 novembre 1848, Papa Pio IX firmò un decreto con il quale annullava “tutto quello che aveva concesso nei mesi precedenti”, Brunetti da sostenitore incallito divenne un feroce “mangiapreti”.
- La cacciata di Tarquinio il Superbo fu il risultato di un colpo di stato, non di una rivoluzione popolare
La prima rivoluzione popolare che riuscì a scacciare un tiranno avvenne a Roma nel 509 a.C. Portò alla caduta del settimo e ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, etrusco come i suoi due predecessori.
Questo è quanto la storia ci ha tramandato, ma Mieli cita nel suo Le verità nascoste lo studioso Thierry Camous, autore di Tarquinio il Superbo.
Il re maledetto degli etruschi, il quale è convinto che le cose non siano andate proprio così: quello che venne dipinto come un vero e proprio moto popolare non fu altro, in realtà, che un colpo di stato ante litteram, abilmente messo in atto e manovrato da chi voleva prendere il potere.
Secondo Camous, infatti, la cacciata di Tarquinio il Superbo fu una congiura riconducibile «alla frustrazione di un’aristocrazia romana che aveva visto ridursi il proprio potere».
Un golpe, dunque, ordito e attuato da Lucio Giunio Bruto e Tarquinio Collatino, che diventeranno i primi due consoli della Repubblica.
La versione manipolata arrivata fino a noi non sarebbe che conseguenza di «un’opera di negazione manipolatoria» di alcuni storici romani per un fine propagandistico, volto a far passare una trama di palazzo per un «sollevamento nazionale del popolo romano di fronte ai suoi tiranni stranieri».