Farmacofobia: quando i farmaci spaventano più delle malattie

Si chiama farmacofobia e consiste in una paura irrazionale e incontrollata di qualsiasi medicina.

A volte è così grave che solo l’idea di assumerne una provoca mal di pancia, tachicardia e attacchi di panico.

1. Rischio di gravi conseguenze. Il simbolismo del farmaco

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Nella nostra società, l’abuso e la dipendenza da farmaci sono un problema conclamato, oggetto di studi e dibattiti.

Più raramente si sente parlare del fenomeno opposto, la pharmacofobia (o farmacofobia), un disturbo fobico nei confronti di tutti i farmaci caratterizzato dalla paura incontrollata di assumerli.

La fobia delle medicine si manifesta verso tutte le presentazioni farmaceutiche (pastiglie, gocce, sciroppi, aerosol, iniezioni) e spesso la sola esposizione allo stimolo – cioè la vista di un farmaco – basta a indurre una risposta ansiosa e di evitamento.

Di conseguenza, chi è affetto da farmacofobia tenderà a evitare non solo le farmacie, gli ospedali e tutti i contesti in cui i farmaci siano presenti, ma anche le persone che li assumono.

Peculiare del disturbo è l’ansia anticipatoria alla sola idea di prendere una medicina, somatizzata con manifestazioni fisiche come disturbi gastrointestinali, aumento della frequenza cardiaca, sudorazione, angoscia, fino all’attacco di panico.

Al di là dell’aspetto fobico, la farmacofobia espone a gravi rischi per la salute, poiché la mancata assunzione dei farmaci prescritti non può che far degenerare e patologie in corso.

In presenza di malattie gravi che esigono un trattamento regolare (diabete insulino-dipendente, malattie cardiache e respiratorie eccetera), il paziente si espone al rischio di morte.

L’assunzione di un farmaco è strettamente legata al concetto di fiducia, nel senso del doversi affidare a qualcuno – il medico – che abbia conoscenze di cui il paziente è completamente a digiuno, in primis l’azione delle sostanze farmacologiche sull’organismo, la loro corretta posologia e i possibili effetti collaterali.

Si va sulla fiducia anche nei confronti delle case farmaceutiche produttrici.

Inoltre, il farmaco ha una potente valenza culturale che racchiude profondi significati, come la speranza di guarire e l’ansia di non riuscirci. Taluni attribuiscono ai suoi effetti un’aura magica, in grado di fare la differenza fra la vita e la morte.

2. Le cause

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La farmacofobia può insorgere in seguito a precedenti esperienze negative legate al consumo di farmaci, come l’aver sofferto di pesanti effetti collaterali, sintomi di intossicazione o difficoltà di assunzione (si pensi, per esempio, al senso di soffocamento che si prova nel deglutire le compresse non rivestite di grandi dimensioni).

Altre volte la fobia origina da un’esperienza traumatica, passata legata a un’inadeguata modalità di somministrazione, come accade nei bambini quando si fanno loro le punture di forza, mentre stanno piangendo, senza prima averli calmati e tranquillizzati.

A quel punto può instaurarsi in loro un condizionamento che associa la somministrazione dei farmaci alla violenza subita, e di conseguenza alla paura di venire feriti o di soffrire. In seguito, i dolori e le esperienze traumatiche personali ritorneranno a galla sotto forma di ansia in tutte le situazioni correlate ai farmaci.

Torna in gioco il discorso della fiducia: dalla sua mancanza verso chi somministra le medicine può svilupparsi una fobia che si proietta sul farmaco.

Ad alimentare ansie e paure contribuiscono anche i bugiardini contenuti nelle confezioni e i loro interminabili elenchi di controindicazioni ed effetti collaterali gravi. Un’altra causa può essere il rifiuto di curarsi.

Riguarda le persone che preferiscono evitare di assumere farmaci, in quanto ne temono gli effetti collaterali o si sentono minacciate dalle sostanze che introducono nell’organismo, delle quali non conoscono gli effetti a lungo termine.

Altre persone non vogliono curarsi o perché sottovalutano la gravità delle loro patologie o perché hanno perso le speranze di guarire e, quindi, con spirito fatalista rinunciano alle cure.

Altri ancora ritengono che i propri disturbi siano meno fastidiosi rispetto ai temuti effetti collaterali delle medicine e quindi, decidono di rinunciare ai farmaci e di tenersi i propri problemi.

In casi estremi, dietro la fobia dei farmaci si nasconde il rifiuto inconscio di guarire. Tendenzialmente, nelle fobie la consapevolezza non è mai piena e vi si giunge solo dopo un percorso psicoterapico o psicanalitico.

3. Come trattare la farmacofobia. Ansiolitici sì o no?

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Il primo passaggio è ricostruire la storia della persona per individuare l’origine di questa fobia, sondando se nel suo passato vi siano precedenti di esperienze traumatiche, malasanità o danni iatrogeni (cioè attribuibili a intervento terapeutico).

Segue una terapia analitica che accompagna il paziente passo dopo passo per dare un significato nuovo al suo precedente vissuto.

Si indagherà anche su cosa rappresentino i farmaci per lui, lavorando sulla correzione delle convinzioni erronee e disfunzionali (tipo: “questa medicina è un veleno”). Per esempio, gli si spiegherà l’origine innocua di una certa molecola e la sua azione positiva sull’organismo.

Dal lato cognitivo-comportamentale, per meglio comprendere gli effetti del farmaco sarà bene, per chi soffre di farmacofobia, leggere il bugiardino assieme al proprio medico curante, con il quale è fondamentale instaurare un buon rapporto. Per un approccio più completo, sarà utile che il medico lavori in sintonia con uno psicologo.

Altre scuole di pensiero propongono la terapia dell’esposizione graduale, che consiste nell’esporre gradualmente il paziente allo stimolo ansiogeno (in questo caso ai farmaci).

L’esposizione avviene dapprima per immaginazione: il paziente dovrà visualizzare se stesso mentre si reca in farmacia, acquista delle pastiglie, le estrae dalla confezione e infine ne assume una. Segue un iter reale simile.

Controverso l’uso dei farmaci ansiolitici, che, in chi soffre di farmacofobia, potrebbero paradossalmente acuire l’ansia. Gli ansiolitici servono per calmare la tensione e rilassarsi ma il punto è che in presenza di fobie i farmaci non sono mai l’unica soluzione e comunque il paziente dev’essere sempre accompagnato nella loro assunzione.

Come dalla mancanza di fiducia nel medico può svilupparsi la farmacofobia, allo stesso modo la fiducia in lui genera fiducia nei farmaci prescritti.

Un aiuto contro l’ansia può venire dalle tecniche di rilassamento, come la respirazione diaframmatica o il rilassamento muscolare progressivo.

Non risolvono la fobia ma apposite tecniche respiratorie aiutano a calmare gli attacchi d’ansia e di panico e a controllare il momento in cui scatta la paura: quello in cui si deve prendere una medicina.

4. Tanti hanno paura di fare le punture

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Si chiama tripanofobia ed è la paura irrazionale delle iniezioni e delle siringhe, spesso associata a emofobia (paura morbosa del sangue), belenofobia (paura di aghi, spilli e oggetti acuminati taglienti), algofobia (paura del dolore) e farmacofobia.

In chi è affetto da tripanofobia, la sola vista di una siringa o il pensiero di dover fare un’iniezione o un prelievo di sangue sono sufficienti per scatenare ansia incontrollata.

La fobia dell’ago che buca la carne è basata sul dolore e sul sentirsi invasi nel corpo; se è associata alla farmacofobia, il male provocato dall’ago è potenziato dal terrore di ciò che viene iniettato e può sfociare in un attacco di panico.

L’origine di questo pacchetto di fobie è riconducibile a esperienze traumatiche passate vissute o sentite raccontare da altri.

Alcuni studi ipotizzano il fattore genetico, ma il molti esperti sono scettici e ritiengono che il ricorrere della fobia in più membri della stessa famiglia sia imputabile a paure apprese e a comportamenti acquisiti in ambito familiare.

Altri studi ipotizzano una base evolutiva del fenomeno legata alla forma degli aghi, che evoca quella delle antiche armi da guerra (lance e corpi contundenti appuntiti) in grado di infliggere ferite, dolore e perdite ematiche ingenti.





5. Problemi opposti senza elementi in comune

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In psicologia esistono disturbi che sembrano diametralmente opposti, ma hanno una matrice comune. Non è il caso della dipendenza da farmaci e della farmacofobia.

«L’unico punto in comune è che riguardano i farmaci, ma i relativi meccanismi mentali sono completamente diversi», spiegano gli psicologi.

«Nelle dipendenze l’aspetto caratterizzante non è la paura, bensì il “non poter fare a meno di qualcosa”, in questo caso dei farmaci, senza i quali si ritiene di non sopravvivere. Il disturbo è proiettato all’interno di sé, poiché senza ciò da cui si dipende ci si sente insicuri. Per contro, nella fobia verso i farmaci l’attenzione è tutta rivolta verso l’esterno e si concentra sui farmaci, nel timore che entrando nel corpo nuocciano alla salute o provochino disagio e dolore».

Chi soffre di farmacofobia può vomitare i farmaci. Capita che dopo aver ingerito controvoglia una medicina temuta chi soffre di farmacofobia senta mal di stomaco e vomito.

Non si tratta di una strategia di espulsione volontaria del farmaco assunto bensì di una reazione involontaria di somatizzazione dell’ansia, presente in tutte le fobie, che non di rado si manifesta a livello dello stomaco e della digestione.








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