Nell’immaginario collettivo, la figura di Filippo II il Macedone finisce per impallidire a confronto con le straordinarie imprese di suo figlio, Alessandro Magno.
Eppure questo re, salito al trono quasi per caso in seguito alla morte in battaglia del fratello Perdicca, merita un posto di rilievo nella storia per la sua grande modernità e per la capacità di conciliare le sue doti diplomatiche con quelle di abile comandante militare.
Egli rese la Macedonia lo Stato più potente del suo tempo, contribuì alla diffusione della cultura greca fino alle sponde dell’Indo e aprì la strada alle grandi imprese del figlio contro l’Impero persiano.
Il valore di Filippo nel suo tempo venne riconosciuto da Un Paese diviso in tribù, storico greco del IV secolo a.C., che rimase per parecchio tempo alla corte di Filippo e poi a quella di Alessandro.
Nelle sue Storie Filippiche (di cui ci sono pervenuti solo alcuni frammenti) Teopompo, oltre a dare un vasto quadro del mondo contemporaneo, descrive Filippo il Macedone come l’uomo che aveva segnato le sorti della Grecia “nel bene e male della sua azione”, sottolineando quindi l’ambiguità del personaggio, diviso tra vizi, ambizioni e straordinarie virtù politiche e militari.
Altre fonti greche giunte sino a noi, in particolare i discorsi degli oratori ateniesi del IV secolo a.C. tra cui Demostene (384-322 a.C.) hanno dato maggior peso agli aspetti negativi della figura di Filippo; d’altronde, il ruolo decisivo svolto dal sovrano nella perdita di libertà delle città del Peloponneso e nel successivo assoggettamento al potere macedone non gli procurò certamente simpatie all’interno dell’ambiente ellenico.
Anche se vi furono illustri sostenitori di Filippo II, come l’oratore greco Isocrate (436-338 a.C.) che lo riteneva il paladino dell’ellenismo contro i Persiani e che vedeva in lui il mezzo per unire popoli differenti attraverso la cultura, sembra che i detrattori abbiano avuto la meglio.
Il bilancio di luci e ombre che di solito caratterizza il percorso di qualsiasi personaggio storico in questo caso rimane squilibrato in un ritratto pieno di evidenti connotazioni negative: ne risulta un individuo privo di scrupoli e avvezzo a ogni genere di eccessi, che usava ogni mezzo a disposizione per raggiungere i propri obiettivi.
Infine occorre ricordare che se aveva indubbiamente reso più potente la Macedonia e fatto in modo che le condizioni di vita del suo popolo migliorassero, nei riguardi delle terre conquistate Filippo II fu spesso costretto a comportarsi con severità e non riuscì a realizzare davvero quell’ideale panellenico che molti auspicavano.
Ma chi era veramente il grande re Filippo II il Macedone? Scopriamolo insieme.
1. Un Paese diviso in tribù
Filippo il Macedone non ebbe certo una vita facile. Nato nel 382 a.C., era il figlio più giovane di Euridice e Aminta III, re della Macedonia dal 392 al 369 a.C. circa.
Il padre aveva perso il regno combattendo contro gli Illiri per poi riconquistarlo con l’aiuto dei Tessali.
Aveva comunque sempre tentato di dare una certa stabilità al Paese grazie alle sue notevoli abilità diplomatiche, stringendo e sciogliendo alleanze con quello che, di volta in volta, era il più forte dei suoi nemici. Ma Aminta III dovette anche impegnarsi a sedare i conflitti interni.
La Macedonia, regno che all’epoca comprendeva la parte settentrionale dell’attuale regione greca di Macedonia, parte dell'attuale Repubblica di Macedonia, e una piccola parte della Bulgaria occidentale, non era infatti uno Stato omogeneo.
Divisi in tribù, i Macedoni combattevano tra loro per il predominio e dovevano inoltre far fronte alla costante interferenza di potenze straniere, come il vicino regno dei Traci (che occupavano l’estremità sud-orientale della Penisola Balcanica), o di città greche influenti, tra le quali Atene.
Le aspirazioni espansionistiche di Atene verso le regioni sulle coste settentrionali del Mar Egeo, la spinsero, infatti a ostacolare il processo di rafforzamento interno del regno macedone che, a sua volta, cercava di interferire con la politica greca, soprattutto minacciando la vicina Tessaglia.
A complicare lo scenario contribuì l’ascesa inarrestabile di Tebe dopo la vittoria sugli Spartani, fino a quel momento invincibili, nella battaglia di Leuttra (371 a.C.). Ma i problemi macedoni non si limitavano a questo.
Le frontiere settentrionali e occidentali erano mal di fese ed erano di continuo attaccate da popoli balcanici vicini, come gli Uliri e i Peoni, le cui razzie erano una costante minaccia per la stabilità e la sicurezza del regno.
La complicità con gli invasori da parte delle tribù che domina vano le regioni nord-occidentali della Macedonia complicava ulteriormente le cose, rappresentando un ostacolo a qualsiasi tentativo di unificazione giungesse da Pella, la capitale macedone.
Questo periodo storico turbolento segnò in maniera indelebile il carattere del giovane principe Filippo. Morto suo padre, egli fu preceduto sul trono dai due fratelli maggiori, Alessandro II e Perdicca III.
Alessandro II regnò dal 370 al 368 a.C., quando venne assassinato durante un banchetto dal cognato Tolemeo di Aloro, appoggiato dal generale tebano Pelopida, l’eroe di Leuttra. Tolemeo prese il potere per tre anni come reggente di Perdicca III, il quale riuscì a governare dal 365 al 359 a.C., prima di morire in battaglia.
Nel corso dei due anni del suo regno Alessandro II era accorso in sostegno della guerra civile nella vicina Tessaglia come alleato di Atene. Questo aveva comportato la reazione diTebe, in quel periodo la più importante forza militate della Grecia: la città non solo impose un trattato al re macedone, ma pretese anche la consegna di trenta ostaggi, tra cui il fratello minore del re, cioè Filippo, all'epoca quattordicenne.
Il giovane principe dovette rimanere a Tebe circa due anni, ma il soggiorno obbligato si rivelò altamente stimolante per la sua formazione, da tutti i punti di vista. Alloggiato nella casa di un generale tebano,
Filippo ebbe l'opportunità di assistere agli addestramenti del celebre Battaglione sacro di Tebe, il corpo scelto dell'esercito tebano formato, come racconta Plutarco, da 150 coppie di amanti omosessuali : si riteneva infatti che ogni uomo sarebbe stato motivato a combattere al massimo delle proprie capacità per proteggere il suo amante.
Ma a Tebe Filippo potè vedere in azione anche la formidabile falange obliqua, una variante della falange oplitica tradizionale, in cui si attaccava da sinistra la destra dell'avversario.
2. La presa del potere
Oltre ad acquisire importanti competenze tattiche militari, il principe imparò gli intricati meccanismi della politica interna degli Stati greci, e questo gli sarebbe tornato molto utile in futuro, al momento di trattare con essi sul piano diplomatico e istituzionale.
Inoltre, a Tebe Filippo assimilo il sistema di valori di gente del mondo greco, e questo gli permise di presentarsi come un principe “alla greca”, pronto a esercitare il proprio prestigio e il proprio potere a vantaggio di tutta la comunità ellenica.
Gli anni che seguirono l’esperienza tebana di Filippo furono particolarmente movimentati. Dopo l’assassinio di Alessandro II, era salito al potere Tolemeo di Aloro, alleato di Tebe, come reggente di Perdicca III il quale, non appena maggiorenne, uccise il reggente e salì sul trono.
Perdicca morì nel 359 a.C. durante una battaglia contro gli Illiri. un’autentica disfatta che aveva lasciato sul campo di battaglia, oltre al monarca, anche 4000 dei suoi soldati migliori.
La Macedonia si trovava, quindi, in una situazione estremamente delicata con gli Illiri e i Peoni che minacciavano continuamente i confini occidentali e settentrionali. Il trono della Macedonia era stato ereditato dal figlio di Perdicca, Aminta IV, di cui Filippo divenne tutore e reggente.
Prima ancora di divenire ufficialmente re nel 356 a.C., spodestando il nipote, Filippo non solo assoggettò gli Illiri e ridusse i Peoni a vassalli, ma riuscì a impossessarsi di alcuni territori della Tracia, una regione vitale per gli interessi di Atene grazie alla presenza delle miniere d’oro.
Queste prime iniziative dimostrano la presenza in Filippo di un talento politico innato: era capace di utilizzare ogni mezzo per raggiungere obiettivi di largo respiro e non si lasciava scoraggiare dalle difficoltà iniziali.
Non appena divenuto re Filippo avviò, mettendo in pratica le conoscenze apprese a Tebe, una profonda riorganizzazione dell’esercito riformando le forze di fanteria: la falange macedone, dotata di armi molto potenti come la sarissa, una lancia lunga fino a 6-7 metri che ne costituiva l’elemento caratteristico, avrebbe presto dimostrato la propria superiorità sui convenzionali schieramenti.
Questa formazione militare, che consentiva di arruolarsi in massa visto il costo accessibile dell'armamento richiesto, combinata all’intervento congiunto della cavalleria, anch’essa addestrata all’impiego della sarissa, e a un consistente miglioramento delle macchine d’assedio, rese l’esercito macedone quasi invincibile: il suo effettivo potenziale sarebbe stato messo in luce, qualche decennio dopo, dal figlio e successore di Filippo, Alessandro Magno, nella campagna di conquista dell’Asia.
L’intento di Filippo di estendere verso sud il suo regno fu subito chiaro. Grazie a vittorie, alleanze e matrimoni, tutta la Tracia (dove egli fondò Filippopoli, l’attuale Plovdiv in Bulgaria), la Macedonia, l’Epiro e la Tessaglia nel 340 a.C. facevano ormai parte del suo impero.
3. Un regno turbolento
Nel 338 a.C. il re macedone invase la Grecia centrale, occupò il passo delle Termopili e si impossessò di Amfissa e di Naupatto all’imbocco del golfo di Corinto.
Tebe e Atene, con qualche poleis minore, non tardarono a reagire e nell'agosto di quello stesso anno gli eserciti alleati affrontando Filippo a Cheronea, nella Beozia settentrionale.
Proprio nella battaglia di Cheronea venne per la prima volta messa alla prova l'unità tattica macedone, che sconfisse gli eserciti alleati. Alla battaglia partecipò attivamente anche Alessandro (foto a sinistra), figlio di Filippo, i cui meriti, tuttavia, vennero adombrati da quelli del padre.
Nell’unico resoconto disponibile della battaglia, scritto nel I secolo a.C. da Diodoro Siculo, lo storico greco sottolinea proprio questo aspetto: “ I cadaveri si accumulavano, finché Alessandro si aprì una via attraverso la linea e mise i suoi avversari in fuga.
Allora anche il re in persona avanzò, ben in prima linea, e non concesse il merito della vittoria neppure ad Alessandro. Prima fece indietreggiare le truppe davanti a lui e quindi, costringendole alla fuga, divenne l’uomo responsabile della vittoria”.
Nel 337 a.C. Filippo, ormai arbitro della Grecia, riunì le principali poleis greche nella Lega di Corinto da lui presieduta. Egli si preparava a conquistare la Persia.
Per quanto riguarda i rapporti con i vinti, Filippo II scelse di applicare una politica diplomatica e tollerante verso i Greci, in particolare gli Ateniesi, usando la forza soltanto quando le circostanze non gli davano alternativa, ma lasciando in vigore le istituzioni vigenti dove questo sembrava conveniente per mantenere l’equilibrio.
Dopo la vittoria nella battaglia di Cheronea, il sovrano dimostrò la sua generosità nei confronti degli sconfitti, non applicando le vendette previste.
Allo stesso tempo, Filippo fu capace di trarre i maggiori profitti possibili dallo sfruttamento delle risorse minerarie della Grecia, concesse terre a molti dei suoi uomini affinché le colonizzassero e fondò numerosi insediamenti militari.
Ma fece ancora di più per conquistare il favore dei suoi soldati: aveva rapporti amichevoli con le truppe, con cui condivideva i rischi del combattimento, come dimostrano le numerose ferite ricevute durante le sue campagne. Fu grazie a tutto ciò che Filippo II rese la Macedonia lo Stato più organizzato e più potente dell'epoca.
Nella foto sotto, il larnax d'oro trovato nel 1977 a Vergina (Grecia) nella tomba di Filippo II. I resti umani ritrovati all'interno di questa urna (o lamax), inserita in un sarcofago di marmo, furono attribuiti a Filippo II il Macedone. La stella a 16 punte che decora la parte superiore è detta “Sole di Vergina”, simbolo ricorrente nell'arte macedone, non si sa se religioso oppure solo decorativo.
4. Intrighi familiari
Un altro "campo di battaglia" su cui dovette cimentarsi Filippo II fu quello familiare.
Le fonti greche lo accusavano di essere troppo dipendente dal fascino femminile; d’altra parte non dimentichiamo che alla corte di Pella la poligamia era considerata un mezzo per stringere alleanze con gli Stati vicini.
I matrimoni di Filippo avevano fini precipuamente politici e per di più la sua intensa attività militare non favoriva certo la formazione di legami duraturi. Durante la sua breve esistenza, Filippo ebbe almeno sette mogli che gli dettero i parecchi figli.
Fra tutte, la bellissima principessa epirota Olimpiade, sposata da Filippo nel 359 a.C., è quella che ha acquisito nelle fonti storiche giunte sino a noi la maggiore importanza, in quanto madre di Cleopatra di Macedonia, futura regina d'Epiro, e soprattutto di Alessandro.
Alessandro nacque nel 356 a.C. e Filippo lo educò per farne il proprio successore. Scelse dunque un istitutore prestigioso come Aristotele per guidarlo nella sua formazione; lo lasciò alla guida del Paese durante le proprie assenze e ne stimolò le capacità militari affidandogli il comando della cavalleria.
I loro rapporti, tuttavia, non furono sempre facili. Tra i due s’insinuava la personalità accentratrice di Olimpiade, che vegliava sui diritti ereditari del figlio. Fra padre e figlio si stabilì dunque una rivalità costante; Alessandro, inoltre, si lamentava per le conquiste paterne, che gli lasciavano scarso margine di gloria.
Quando Filippo decise di sposare anche Cleopatra Euridice, un'aristocratica macedone, Olimpiade cercò di opporsi non tanto per una questione di affetti, quanto perché in tal modo venivano messi a rischio i diritti di successione di Alessandro.
Le dicerie di corte, alimentate per interessi di parte da altri rami della dinastia, sulla presunta paternità illegittima di Alessandro in quanto Olimpiade era solita raccontare di averlo generato con Zeus, aumentarono la tensione tra padre e figlio.
La scintilla finale scoccò proprio durante le nozze di Filippo con Cleopatra Euridice. Durante il brindisi, il potente zio della sposa, il generale macedone Attalo, proclamò il suo desiderio di un erede legittimo, scatenando l’ira di Alessandro che gli lanciò addosso una grossa coppa. La reazione di Filippo fu immediata: si lanciò contro il figlio con la spada, ma gli effetti dell'ebbrezza non gli permisero di colpirlo.
In seguito a quest'episodio, Alessandro e la madre Olimpiade furono esiliati, e le dispute all'interno della corte resero necessarie nuove alleanze, per esempio con la famiglia di Attalo, rendendo assai complicata la questione della successione al trono di Alessandro.
Le acque si calmarono solo qualche tempo dopo, quando Alessandro fece ritorno in Macedonia. chiamato dal padre che desiderava allontanarlo dalla pericolosa influenza materna. Nella foto sotto, Filippo (a sinistra), il figlio Alessandro (al centro) e la moglie Olimpiade.
5. La progettata invasione dell'Asia e l'eredità del re
Alessandro continuava a essere, nonostante tutto. l’erede legittimo di Filippo e il re aveva bisogno del figlio al proprio fianco, soprattutto dopo la palese dimostrazione delle capacità politiche e militari del giovane principe.
L'invasione dell'Asia, il grande progetto di Filippo, richiedeva la collaborazione di Alessandro, soprattutto perché Filippo non poteva permettersi di partire per una grandiosa spedizione di conquista lasciando si alle spalle un focolaio di tensioni e malcontento, che in sua assenza avrebbe potuto destabilizzare pericolosamente il suo impero.
Durante il suo regno, Filippo era riuscito a stabilire l'egemonia macedone sulle Città-stato greche e aveva realizzato una vecchia aspirazione di tutti i suoi predecessori: ottenere ogni tipo di onore anche da parte di coloro che lo avevano considerato "un barbaro", i Greci.
Era riuscito anche, partecipando alla Terza Guerra Sacra (un conflitto combattuto tra il 356 e il 346 a.C. da Focesi, Beoti e Tessali per il controllo del santuario di Delfi), a farsi nominare capo della "lega anfizionica" (la lega di poleis che gravitavano attorno al santuario) e protettore del tempio di Apollo.
Aveva poi ottenuto di partecipare ai Giochi Olimpici, un tempo preclusi ai Macedoni e a tutti coloro che non erano Greci. Nel 356 a.C., l'anno della nascita di Alessandro, egli vinse con la sua quadriga e, a ricordo dei suoi allori olimpici, fece coniare monete con l’effigie di un cocchio. Nella posizione in cui si trovava sembrava praticamente invulnerabile. Ma non era così.
Nell'anno 336 a.C. a Ege (o Aigaì, l'attuale Vergina, compresa nel comune greco di Veria), antica capitale della Macedonia, durante il banchetto per le nozze della figlia di Filippo, Cleopatra di Macedonia, con lo zio materno Alessandro I d'Epiro, un certo Pausania, membro della guardia del corpo dello stesso re, coinvolto in una torbida vicenda di gelosia, mise fine alla vita di Filippo che si apprestava ad assistere ai giochi organizzati per le nozze; la partecipazione di Olimpiade al regicidio è ancora oggetto di discussione.
Si infrangeva cosi il sogno di Filippo il Macedone di conquistare l’Asia. Il suo successore, il futuro Alessandro Magno, forte delle esperienze avute accanto al padre, sarebbe riuscito in soli dieci anni a realizzare quel sogno estendendo i confini dell’impero macedone fino all'India.
Nella foto sotto, la corona dorata ritrovata nel 1977 nella tomba di Filippo II, nel sito archeologico di Vergina, in Grecia. È composta da 313 foglie di quercia e 68 ghiande.