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I giannizzeri, gli implacabili guerrieri del Sultano

“Sono davvero onorati di poter dire ‘Io sono uno schiavo del Grande Signore’, poiché sanno che questa è una signoria o repubblica di schiavi dove sono loro a comandare”.

Così si esprimeva un cittadino veneziano presente nella potente Costantinopoli d’inizio XVI secolo, la metropoli sul Bosforo passata sotto controllo turco dopo il terribile assedio del 1453 e la fine del secolare dominio bizantino.

Testimonianza preziosa perché ci permette di capire quanto grande fosse l’influenza dei temibili giannizzeri, il corpo scelto di fanteria dell’esercito ottomano capace per quasi trecento anni (XIV-fine del XVI secolo) di determinare le sorti sui campi di battaglia, e non solo, del più potente impero del tempo.

La loro fama non aveva confini. Rispettati e temuti, erano considerati la più efficiente unità militare d’Europa: nessun altro esercito poteva pensare di mettere in discussione la loro superiorità.

Questi corpi d’élite, perché in tal senso dobbiamo parlarne, che eccellevano nell’uso dell’arco, della spada e delle armi da fuoco, erano veri maestri anche in una tecnica che nei secoli a venire avrebbe preso sempre più piede, l’artiglieria.

I loro compiti però non finivano qui. A loro spettavano i lavori più delicati ogniqualvolta lo svolgimento di una campagna militare lo richiedesse: costruzione di strade e ponti e operazioni di genio militare (sistemi difensivi e opere d’assedio).

Anche in mare potevano vantare un corpo specifico: esistevano infatti temibili reparti di fanteria che ebbero grande sviluppo a partire dal XV secolo e furono impiegati per operazioni di sbarco o combattimento navale.

I giannizzeri costituirono quindi, insieme ai temibili sipahi (i corpi di cavalleria), l’ossatura dell’esercito ottomano e ne garantirono la superiorità militare sui principali fronti di guerra del tempo.

Ma chi erano i giannizzeri, questo corpo scelto costituito da combattenti motivati, leali, perfettamente addestrati e maestri nell’uso delle armi più disparate? Scopriamolo insieme.

1. Schiavi della porta

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Qual era il segreto della loro forza?

Per capirlo bisogna partire proprio dal loro nome, in turco Yeniçeri, traducibile con “nuovi corpi militari”, in virtù di una riforma operata intorno al 1365 dal sultano Murad I (1362-1389).

Secondo lo storico Patrick Kinross, la loro nascita come esercito permanente fu decisa per rimpiazzare le formazioni di guerrieri tribali, i ghazi, sulla cui lealtà non era sempre possibile fare affidamento.

Pertanto si procedette inizialmente con il creare dei reparti costituiti da prigionieri o schiavi che venivano fatti affluire nella capitale in base all’usanza di destinare al sultano (era la stessa legge islamica a consentirlo) un quinto del bottino di guerra.

I giannizzeri erano quindi dei kapıkulları ovvero “schiavi della Porta”, da intendere come proprietà del sultano (l’impero ottomano è indicato spesso come “sublime Porta”, dal nome di una struttura architettonica che si trova nell’attuale Istanbul).

Se in principio questa prerogativa fornì le prime basi dell’impianto militare, con le sempre maggiori necessità di truppe si procedette, a partire dal 1380, a un ulteriore e decisamente “originale” sistema di selezione chiamato devşirme, dal turco devşir “raccolta”, presso le comunità non musulmane (per lo più cristiane) nelle regioni balcaniche e anatoliche, di bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni.

Per le nuove reclute iniziava un’altra esistenza. La scelta, operata da emissari della Porta ogni quattro anni, comportava l’invio dei giovani in specifici centri d’addestramento in un clima di disciplina rigidissima, dove ricevevano un’educazione decisamente spartana, finalizzata a costituire una coscienza militare e una professionalità incentrata sul concetto di lealtà al sultano, il nuovo “padre” di fatto.

Lui stesso era un soldato iscritto alla Prima compagnia giannizzeri e pertanto uno di loro. Venivano convertiti all’Islam ed erano tenuti al celibato per non avere alcun tentennamento sul campo di battaglia.

I dettami religiosi, che ne regolavano la vita e per i quali venivano cresciuti, erano finalizzati a creare uomini senza paura della morte, abituati a pensare che la guerra santa fosse il modo migliore di avvicinarsi alle grazie di dio.

La loro, almeno inizialmente, era una sorta di realtà monastica, slegata dal resto della società, sotto certi versi paragonabile agli ordini religiosi militari della cristianità, che con il tempo sarebbe scemata per trasformarsi in una vera e propria casta militare.

Il risultato fu presto evidente e i giannizzeri si trasformarono in truppe disciplinate e dotate di uno spirito di corpo superiore a qualsiasi altra compagine del tempo.

Coloro che dimostravano, dopo accurati esami, capacità superiori alla norma diventavano icoglans (paggi) e venivano avviati a studi superiori in scuole rinomate come Edirne, Istanbul, Galata e Bursa, sotto la supervisione di eunuchi, per intraprendere carriere da ufficiali superiori o per compiti amministrativi.

La famosissima scuola di Enderun, all’interno del palazzo imperiale del Topkapi, era l’obiettivo più ambito: chi vi usciva sapeva in cuor suo di poter ambire agli incarichi più importanti, dal comando dell’esercito alla carica di Gran Visir, che presiedeva il concilio imperiale.

Nonostante la ferrea disciplina e la vita in caserma, la lealtà dimostrata garantiva non pochi privilegi: stipendio regolare, esenzione dalle tasse, pensione d’invalidità e prestigio sociale.

Molti giannizzeri a fine carriera infatti divennero amministratori o studiosi di fama, come il grande architetto Sinan, che da ufficiale del genio progettò i più importanti edifici dell’impero.

2. Struttura ed effettivi

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Le truppe costituite da giannizzeri variarono molto in funzione dell’epoca, crescendo in numero per via dei sempre maggiori impegni militari.

La loro struttura base, paragonabile a un reggimento occidentale e i cui effettivi fluttuarono nel tempo da cento a ottocento uomini (XVII secolo), era chiamata Orta, al cui comando era posto un ufficiale, il Čorbagï, supportato da subalterni: Odabashï, Vekīl-kharǵ e Bairaqdār.

Alla metà del XVI secolo Solimano I poteva fare affidamento su un totale di 165 Orta, che sarebbero poi aumentate fino a 196. Se il sultano era il vero comandante supremo delle truppe, in realtà la loro gestione era affidata all’Aga dei giannizzeri, che potremo definire un generale, assistito da un luogotenente, il Kiāhyā.

La gestione del corpo nel suo complesso prevedeva l’esistenza di tre tipologie di truppe, caratterizzate da vessilli e insegne specifiche, adibite a compiti diversi: i Cemaat, truppe di frontiera (101 Orta), i Bölük, la guardia personale del sultano (61-62 Orta), e infine i Sekban (33-34 Orta), che rimanevano di guarnigione a Istanbul durante le campagne militari.

Ulteriori 34 Orta erano costituite da reclute impegnate in una sorta di apprendistato per poi a ventiquattro anni decidere se diventare giannizzeri a tutti gli effetti. Non tutti i soldati quindi risiedevano a Costantinopoli, dove abitavano in proprie caserme (Odalar): quasi la metà operava nelle province.

Per quanto riguarda l’armamento, il corpo agli inizi era costituito principalmente da abilissimi arcieri che nelle fasi concitate del combattimento corpo a corpo impiegavano asce corte (nacak), le famose yataghan, spade dalla lama affilata solo sul lato concavo, oppure le kilij, le tipiche scimitarre della tradizione turca con lama ricurva, tagliente sul lato convesso, e curvatura che si accentuava in prossimità della punta.

La loro destrezza nel maneggiarle rendeva i giannizzeri formidabili avversari in qualsiasi teatro di guerra. In tempo di pace poi queste truppe erano solite compiere servizi di polizia, pattugliando le città con pugnali e mazze.

Le truppe scelte invece, impiegate per compiti di guardia ai palazzi imperiali e chiamate Zülüfiü Baltacılar, erano armate con asce lunghe e complesse alabarde.

Quando poi iniziarono a comparire le prime armi da fuoco (a partire dalla metà del XV secolo) a queste unità si affiancarono reparti, forniti di archibugi, che si distinguevano per la grande precisione di tiro.

Dal XVI secolo fu addirittura impiegato anche un potente “fucile da trincea” in grado di sparare pallettoni di grande calibro che, in base a quanto riportato dalle fonti, riuscivano a terrorizzare il nemico per le terribili ferite che potevano provocare.

Furono largamente impiegati anche esemplari di granate, colubrine e i cosiddetti abus, obici prodotti dalle armerie ottomane in grado di sparare proietti da 2,5 a 7,5 chilogrammi in funzioni anti-fanteria.

Le pistole invece trovarono impiego per la prima volta durante le operazioni per la conquista di Creta tra il 1645 e il 1669.

3. Impiego in battaglia

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L’impero ottomano utilizzò i giannizzeri durante tutte le sue più importanti campagne militari dal XIV al XVII secolo.

Proprio nell’assedio di Costantinopoli del 1453 furono queste truppe scelte a dare l’assalto finale alle difese bizantine, penetrando in città e ponendo fine al millenario impero della Roma d’Oriente.

E per ironia della sorte pare proprio che sugli spalti cittadini si siano scontrati con ciò che restava della temibile guardia variaga, che per secoli aveva rappresentato il nerbo dell’esercito bizantino.

Dopodiché trovarono sempre più spazio nelle operazioni sia a oriente sia a occidente, come nella vittoriosa guerra contro i Mamelucchi d’Egitto o i regni cristiani dell’Europa orientale.

In molti casi il loro apporto in battaglia fu determinante: come il 23 agosto del 1514 quando nella pianura di Chaldiran, a nord-ovest di Tabriz (città nell’odierno Iran), il fior fiore della cavalleria dell’esercito persiano si lanciò all’attacco delle linee turche, sicura della vittoria.

In pochi minuti le ripetute cariche di questi indomiti guerrieri furono falciate dai pezzi d’artiglieria maneggiati dagli abili giannizzeri. Fu una vittoria dalle conseguenze importantissime, che garantì il controllo di vasti territori al confine occidentale della Persia.

Dal punto di vista numerico il corpo dei giannizzeri rappresentò solo un decimo dell’intero esercito ottomano, il quale invece era caratterizzato per lo più da truppe a cavallo.

Lo storico David Nicolle ha tentato di quantificare il loro numero riuscendo a fornire i seguenti dati: 6mila nel 1475, 27mila nel 1528, 48mila nel 1591 e 54mila nel 1680.

I documenti, relativi alla mobilitazione per due campagne militari tra il 1620 e il 1630, rivelano invece che nelle caserme di Istanbul erano presenti circa 30mila uomini, 20mila dei quali effettivamente impiegati in battaglia.

Una spedizione in Ungheria (1541) ricorda che i soldati impiegati assommavano a 15.612 e di questi 6350 erano giannizzeri. Nei combattimenti in cui erano guidati dal sultano in persona ne costituivano la guardia personale e pertanto avevano diritto a parte del bottino.

E proprio per la fama che si vennero a guadagnare tra le file della popolazione turca, nel 1683 Mehmed IV, con un atto pieno di conseguenze, abolì il sistema della devşirme per consentire ai rampolli delle grandi famiglie turche di accedere alle alte cariche di comando.

Gli effetti di questa decisione finirono per stravolgere le caratteristiche iniziali del sistema di arruolamento e minarono con il tempo l’efficienza e la determinazione dei reparti sui campi di battaglia.

4. Una fine ingloriosa

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La gestione in tempo di pace di queste truppe era sempre stato un problema, ma assunse proporzioni notevoli quando incominciarono a essere richiesti a gran voce maggiori diritti.

Sono state registrate diverse sollevazioni, la prima addirittura nel 1449 per ottenere paghe più alte.

Episodi del genere si ripeterono nel tempo e con sempre più frequenza, riuscendo talvolta in operazioni impensabili come la destituzione di sultani: i casi più eclatanti sono quelli di Osmān II nel 1622 e Selim III nel 1808.

Ma, cosa ancora più grave, inettitudine e incapacità nella catena di comando incominciarono, a partire dal XVIII secolo, a farsi strada, mettendo in crisi la combattività di un esercito incapace di rinnovarsi.

Furono tentate diverse riforme per costituire moderne truppe di fanteria addestrate all’europea, ma con scarsi risultati. Gli stessi giannizzeri, gelosi delle loro prerogative, si opposero sempre a questa pratica reagendo in maniera incontrollata: spesso le nuove reclute venivano disarmate e massacrate.

E la goccia che fece traboccare il vaso fu l’assassinio del gran Visir Alemdār Mustafà. Nel 1826 il sultano Mahmud II li sciolse e ordinò di formare nuovi reparti di fanteria, invitando i giannizzeri a fornire i loro uomini migliori.

La reazione fu furibonda, con un’ennesima sollevazione, che in questo caso fu però soffocata nel sangue, assumendo le proporzioni di un autentico massacro: 30mila uomini furono trucidati nell’ippodromo di Costantinopoli. Era la fine: il corpo cessò di esistere per sempre.



5. I giannizzeri più famosi e le loro più grandi imprese

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  • I giannizzeri più famosi
    1) Giorgio Scanderbeg (1405-68)
    Cresciuto tra i giannizzeri, divenne il maggiore consigliere di Murad II (1404-1451), prima di ritornare in Albania e rivendicare la libertà del suo popolo.
    Riuscì a sconfiggere ripetutamente gli eserciti ottomani inviatigli contro, tanto da diventare un faro della lotta anti-turca, osannato perfino da papa Eugenio IV.

    2) Sokollu Pascià (1506-79)
    Si distinse nelle campagne contro Ungheria e Transilvania, divenendo famoso per una frase.
    Quando gli fu chiesto di ritirarsi infatti rispose: “Prima che accada i cervi voleranno, e il mare si ritirerà, lasciando i pesci allo scoperto”. Divenne Gran Visir, servendo tre sultani, e per quattordici anni fu reggente imperiale.

    3) Sinān (1489-1588)
    Fu educato nel corpo dei giannizzeri, divenendo responsabile del genio militare in tutte le campagne del tempo.
    L’abilità dimostrata gli permise di diventare il più grande architetto dell’impero. In mezzo secolo realizzò i più importanti edifici, tra cui la Moschea di Solimano a Istanbul.


  • Le loro più grandi imprese
    1) Battaglia della piana dei merli (1389)
    Conosciuta anche come battaglia di Kosovo, fu uno scontro chiave avvenuto a nord di Pristina tra l’esercito dell’alleanza balcanica e quello ottomano. Sebbene sia terminato con un sostanziale pareggio, portò all’assoggettamento turco dell’area albanese.
    2) Battaglia di Nicopolis (1396)
    Un’armata ottomana annienta un poderoso esercito crociato franco-ungherese, costituito da un numero doppio di effettivi, mandato in soccorso dei regni cristiani dell’Europa orientale in funzione anti-islamica.
    3) Battaglia Di Chaldiran (1514)
    L’esercito ottomano annichilisce quello persiano, più numeroso, costituito da reparti di cavalleria, grazie all’impiego di armi da fuoco e artiglieria, che i giannizzeri si dimostrano abili a maneggiare.
    4) Assedio di Rodi (1522)
    Dopo un terribile assedio le truppe ottomane riescono a occupare la città di Rodi, strappandola al controllo dei cavalieri Ospedalieri che sono costretti ad abbandonare l’isola e rifugiarsi a Malta.
    5) Battaglia Di Mohács (1526)
    Fu un’importante battaglia terrestre combattuta tra l’esercito ungherese, comandato dal re Luigi II d’Ungheria e Boemia, e quello del sultano Solimano I, terminata con una schiacciante vittoria ottomana. L’Ungheria meridionale passa sotto il controllo turco che minaccia Vienna.
    6) Assedio Di Esztergom, (1543,nella foto )
    La città ungherese venne espugnata dall’esercito ottomano di Solimano il Magnifico dopo due settimane d’assedio, determinando il passaggio dell’Ungheria centrale sotto controllo turco fino al 1686..








Note

DESCRIZIONE GENERALE

  • Attivi: Dal XIV al XIX secolo
  • Nazione: Impero ottomano
  • Tipo: Fanteria terrestre e navale
  • Ruolo: Arcieri, moschettieri, guardia reale, artiglieri
  • Dimensione: Da un minimo di 1000 fino a 100mila uomini
  • Arma tipica: Spada ricurva tipo yataghan
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