Nel palazzo di Burgos, in Castiglia, il 25 settembre 1506 una donna disperata non voleva credere che il marito fosse spirato.
Cercava di insufflargli la vita, come Dio con Adamo, portando le sue calde labbra premute contro quelle gelide di lui.
Dopo una settimana di agonia per sospetta peste o avvelenamento, moriva a 28 anni Filippo il Bello d’Asburgo, figlio dell’imperatore Massimiliano e consorte, da un decennio, di Giovanna di Castiglia, figlia dei “ Re Cattolici” Ferdinando e Isabella.
Per la giovane, divenuta regina di Castiglia da appena un paio d’anni, secondo i cronisti dell’epoca il lutto costituì la scaturigine di una follia che l’avrebbe condotta alla segregazione.
Tuttavia, si trattava di una pazzia molto opportuna per suo padre Ferdinando, che potè di fatto sottrarle la Castiglia per unirla alla sua Aragona: e fu un malanno favorevole anche per la Chiesa e per l’Inquisizione, che non desideravano una sovrana contraria, fin dall’infanzia, ai roghi degli autodafé.
Giovanna aveva avuto cinque figli con Filippo e un sesto era in arrivo. Era stato un matrimonio di passione e amore, ma turbolento. Lei lo desiderava ardentemente ed era gelosissima: gli faceva scenate, mentre l’Asburgo non faceva nulla per nascondere le sue concubine.
Per la mentalità del tempo, la gelosia bastava a definirla “ isterica”. Oggi diremmo che Giovanna era una moglie “ moderna”, che garantiva fedeltà pretendendone altrettanta.
Giovanna fu una donna anticonformista, ribelle, colta e passionale. La madre dell’imperatore Carlo V d’Asburgo fu giudicata pazza e rimase segregata per la maggior parte della sua vita infelice. Vittima di un complotto o di una fede eretica? Scopriamolo insieme.
1. Innamorata persa
Una cronaca dell’epoca, di autore anonimo, narra a proposito della regina:
«Nella sua mente entrava il tarlo malefico della gelosia, tanto forte da offuscarle per sempre il pensiero e ridurre una così gentile, giovane e bella creatura schiava di un perpetuo delirio amoroso e di una inestinguibile collera, che in tre anni l’aveva condotta completamente fuori di sé».
Giovanna, o “Dona Juana”, carattere indipendente fin da bambina, aveva insomma un torto imperdonabile per la mentalità di allora: quello di essere una moglie “romantica” ante litteram, che avversava l’infedeltà di Filippo e, nel contempo, lo bramava per passionalità.
Ciò risultava quasi inconcepibile in un mondo in cui il ruolo della consorte era essenzialmente quello di partorire la discendenza del marito, specie se si trattava di una regina.
Proseguiva la cronaca: «Quella dolorosa passione non aveva senso. La giovane moglie non aveva infatti saputo accettare che il principe, gentile, giovane, bello, vivesse circondato da persone che continuamente gli offrivano donne e tutti gli altri piaceri della carne. La sua mente era ormai così sconvolta che, da molti anni, dona Juana si rifiutava di mangiare e di vedere chiunque, calmandosi soltanto quando poteva stare in compagnia del marito, anche se litigavano furiosamente».
Ferdinando d’Aragona, padre di Giovanna, regnava a Napoli, ma nel 1507, morto Filippo, s’imbarcò per la Spagna, proprio mentre Giovanna partoriva per la sesta volta.
Dopo il matrimonio con Filippo, nel 1496, quando aveva solo 17 anni, Giovanna aveva dato alla luce Eleonora, Carlo (futuro imperatore Carlo V) e altri tre pargoli. Per anni gli sposi avevano vissuto nelle Fiandre, prima di tornare in Spagna.
Era il destino scelto per lei da Isabella, la madre energica a cui Giovanna si ribellava spesso, ma che aveva avuto il fiuto di fondere la sua casata con quella potente degli Asburgo.
Giovanna era nata a Toledo il 6 novembre 1479 e fin da piccola i precettori di corte ne avevano notato la viva intelligenza, ma anche la propensione a sognare a occhi aperti.
Da adolescente, mentre i suoi genitori scacciavano dalla Spagna gli ebrei e angariavano i moriscos (i musulmani sconfitti dopo la riconquista di Granada), la ragazzina si avvicinava ai misteri della cabala giudaica e fraternizzava con ancelle di origine moresca, aspirando a una fede mistica che fosse in grado di portarla al di là delle forme esteriori della cattolicità.
Proprio il contrario di ciò che cercava d’inculcarle la madre Isabella... Quando il contrasto tra madre e figlia toccava il culmine, spesso Giovanna partiva per lunghe cavalcate solitarie.
Nella foto sotto, un ritratto di Giovanna non ancora ventenne, quando già mostrava interesse per idee estranee al cattolicesimo.
2. Una prigione dorata
La morte della madre Isabella, nel 1504, non fu sufficiente a tranquillizzare Giovanna, che doveva guardarsi anche dal padre Ferdinando, anch’egli sospettoso delle sue posizioni al limite dell’eresia.
Divenuta una giovane vedova, il re d’Aragona ne approfittò per confinarla.
Dal 18 febbraio 1509, Giovanna venne relegata nel palazzo Villamarin di Tordesillas, dove continuò a portare il lutto ripensando sempre all’amato (per quanto infedele) marito.
Sulla questione di come iniziò la sua detenzione, scrisse Pietro Martire d’Anghiera: «Era impossibile per il padre di farle cambiare abitazione e dalle insalubri stanze spostarla in camere preparate con sontuosità regale. Nessuno può persuaderla di riposare in un letto con materassi comodi o di indossare la pelliccia per ripararsi dal freddo e vestirsi in modo appropriato per la stagione invernale. Con strane evasioni, tarda l’orario dei pasti. Digiuna a volte per tre giorni consecutivi ignorando le preghiere dei suoi che le chiedono di mangiare e bere».
Ferdinando fece di tutto per tenere la figlia lontana dal trono di Castiglia, tenendo per sé la reggenza, il che accreditò l’ipotesi che fosse stato proprio lui ad aver fatto avvelenare Filippo il Bello per impossessarsi della corona aragonese.
Ma il suo regno non fu lungo. Il 14 marzo 1516, un paio di mesi dopo la sua morte, fu il secondogenito di Giovanna (ma primo maschio) Carlo ad assumere il titolo di re, al quale tre anni dopo avrebbe aggiunto quello di sovrano del Sacro Romano Impero.
Carlo non liberò la madre dalla segregazione: era solo un adolescente, per di più insediato a Bruxelles, nelle Fiandre asburgiche, dunque il suo potere in Spagna appariva ancora traballante.
D’altra parte, si rendeva conto che per poter acquisire credibilità in terra iberica era necessaria la benedizione da parte della madre. Decise, così, di farle visita. Si dice che, quando le fu detto che “re Carlo” sarebbe sceso a incontrarla, Juana abbia osservato: «Solo io ho il diritto a quel titolo, Carlo non è che un principe».
Il figlio entrò al palazzo di Tordesillas il 7 novembre 1517, accompagnato dalla sorella maggiore Eleonora. I ragazzi non vedevano la madre da molti anni e trovarono una donna di 38 anni invecchiata precocemente, raggrinzita, ingrigita e con indosso vecchi abiti fuori moda.
Ciononostante, Giovanna ebbe parole d’affetto per i figli. Viveva con lei a Tordesillas la figlia minore Caterina (nella foto sotto), a ricordarle cosa significasse essere madre.
Carlo tentò di sottrargliela con le buone, cercando di convincere Giovanna che sarebbe stato assai meglio che la ragazzina, ormai undicenne, vivesse alla corte di Valladolid e non reclusa insieme alla madre.
Poiché Giovanna rifiutava di lasciarla, Carlo organizzò il rapimento della sorellina. Incaricò un fedele servitore olandese, Bertrand Plomont, di preparare un passaggio segreto nascosto dietro un arazzo della stanza abitata dalla bambina.
In una notte di marzo del 1518, Plomont rapi Caterina; l’indomani, accortasi dell’accaduto, Giovanna urlò e strepitò, minacciando perfino il suicidio. Per giorni fece lo sciopero della fame, evitando anche di lavarsi e cambiarsi d’abito.
Giovanna ottenne che tre giorni dopo Carlo le riportasse Caterina, ma le grida contribuirono ad alimentare la leggenda della sua pazzia.
3. L’illusoria liberazione
Il giovane sovrano ne approfittò per assegnare alla madre un sorvegliante d’eccezione, Bernardo de Sandoval y Rojas, meglio noto come Marchese di Denia.
Costui ebbe il permesso di angariare, talora, Giovanna con la tortura della corda per punirla delle sue aperte ribellioni alla fede cattolica, soprattutto il costante rifiuto di confessarsi.
Era trattata ormai come una carcerata per espresso ordine del figlio. Né il popolino né la piccola nobiltà locale credevano però nella pazzia di Giovanna, che consideravano, invece, degna erede della madre Isabella.
Il “fiammingo” Carlo stentava a ottenere i giuramenti di fedeltà necessari a consolidare il suo potere fra gli spagnoli. Era considerato poco più di un burattino degli Asburgo al suo seguito.
Costoro erano anche accusati, non a torto, di rapacità fiscale, tanto che l’appellativo di flamenco, “fiammingo”, passò a designare ladri e grassatori, dando poi il nome all’omonimo ballo. Presto serpeggiò la rivolta.
Divenuto imperatore con il nome di Carlo V, il giovanotto lasciò la Spagna e si recò ad Aquisgrana per l’incoronazione, ottenuta comprando i Grandi Elettori (la carica imperiale era elettiva) a caro prezzo mediante “bustarelle” da milioni di fiorini, prestati dal re dei banchieri Jakob Fugger.
Carlo aveva lasciato come reggente in terra iberica il cardinale Adriano di Utrecht, che molti anni dopo sarebbe diventato papa con il nome di Adriano VI, quando dal gennaio 1520 esplose una vasta ribellione contro il dominio stranieri dei flamencos e contro Carlo stesso, visto come usurpatore del potere materno.
In pochi mesi i ribelli, conosciuti come Comuneros, allestirono un esercito che, il 24 agosto 1520, si spinse fino a Tordesillas per liberare Giovanna e riconoscerla quale unica sovrana di Spagna.
I Comuneros, guidati dai nobili Pedro Laso de la Vega e Juan de Padilla, cacciarono il Marchese di Denia e la cerchia di sgherri e dame che sorvegliavano passo a passo “Juana la Loca”.
Ai suoi liberatori Giovanna parve perfettamente lucida e sana di mente. Disse loro: «Io sono una delle due o tre regine sovrane del mondo. Ma il solo fatto che sono figlia di re e regina sarebbe dovuto bastare perché non fossi maltrattata».
Con il passare del tempo, però, Giovanna iniziò a diffidare dei Comuneros, in parte perché temeva probabilmente le responsabilità di un governo reale, mettendosi contro il figlio, e in parte perché intuiva che la volessero soltanto usare.
Tergiversò, non firmando i documenti che le venivano sottoposti, finché prese le difese del figlio di fronte a tutti: «Che nessuno si provi a creare malintesi con mio figlio. Perché ciò che mi appartiene è suo, ed egli avrà cura dei beni del regno». Inoltre, soffrì di crisi nervose, forse dovute a epilessia.
Nella foto sotto, l'esecuzione dei ribelli Comuneros in un quadro di Antonio Gisbert (1860).
4. Il delirio finale
Il tempo prezioso perso dai Comuneros consentì a Carlo V di organizzare la controffensiva, calando in Spagna con un’armata mercenaria che sconfisse i rivoltosi il 23 aprile 1521 alla battaglia campale di Villalar.
Giovanna, che non aveva avuto coraggio sufficiente per appoggiare i suoi liberatori, si ritrovò più prigioniera di prima, vigilata di nuovo dal Marchese di Denia su incarico dell’imperatore.
Si rifiutava di assistere alla messa domenicale e spesso passava ore accucciata in un angolo della sua stanza. Destinata alle nozze con il sovrano portoghese Giovanni III, Caterina lasciò la madre da sola a Tordesillas nel gennaio 1525.
Giovanna ne fu talmente costernata da rimanere per due giorni e due notti ininterrottamente desta alla finestra da cui aveva visto allontanarsi il corteo della ragazza; poi, prostrata dalla fatica, dovette restarsene a letto per tre settimane.
Giovanna la Pazza (ormai la chiamavano così) rimase prigioniera fino all’ultimo giorno di vita, attorniata da un centinaio di servitori, dame e gentiluomini che le costruivano attorno una parvenza di “corte”, ma che erano solo dei secondini in vesti ricamate.
Fra i pochi diversivi di una vita monotona, oltre alle letture, nel 1534 ci fu l’inaspettata trasferta, sotto scorta del Marchese di Denia, a Tudela e poi a Mojados, quando l’arrivo a Tordesillas di un’epidemia di peste fece temere per la sua salute.
Ma appena scampato il pericolo, la regina venne riportata nel suo palazzo. Morto il Marchese di Denia nel 1535, fu il figlio Luis a subentrargli come nuovo “direttore” del carcere speciale che deteneva la regina.
Dal canto suo, Giovanna scivolava sempre più (ora senza alcun dubbio) nella follia: si aggirava per le stanze smagrita, lacera, urlando e farneticando di certi incubi notturni, popolati di streghe e gatti enormi che apparivano accanto al suo letto.
Negli ultimi anni di vita ricevette le visite del nipote, futuro Filippo II di Spagna, sempre più preoccupato perché la nonna non si riconciliava con il cattolicesimo.
Dal 1552 fu praticamente immobilizzata a causa di ulcere e gonfiori alle gambe, finché spirò, il 12 aprile 1555, pronunciando come ultime parole: «Cristo che sei in croce, aiutami!».
Aveva vissuto fino all’ultimo la fede secondo una sua dimensione personale, rifiutando la confessione anche in punto di morte. “ Protestante” a modo suo, proprio mentre la cristianità europea si stava spaccando per sempre.
Pazza per amore! Il sentimento che legava Giovanna al marito Filippo era inconsueto per l'epoca, e soprattutto per le coppie reali, i cui matrimoni erano combinati secondo rigide regole dinastiche. Tuttavia, l'anticonformismo e la modernità di Giovanna emergono anche in quest'ambito.
I due sposi si amavano sinceramente, ma Filippo trovava del tutto normale, secondo il suo rango e la mentalità dell'epoca, rivolgere spesso e volentieri le sue attenzioni ad altre donne.
Al contrario Giovanna, tanto devota quanto gelosa, non sopportava questo comportamento e quando il marito si concedeva qualche distrazione lei, addolorata e furiosa, lo allontanava da sé per mesi.
Ma a questo punto era Filippo a soffrire quanto e forse più di lei: cadeva in depressione e si abbandonava anche lui a drammatiche scenate di gelosia. Finalmente, tra litigi, bronci e ripicche i due si riavvicinavano, ma soltanto per separarsi di nuovo in occasione della prossima intemperanza del sovrano.
L'attaccamento di Giovanna al marito, però, a detta di molti aveva qualcosa di morboso, e sarebbe stata la spia inequivocabile di un evidente disturbo mentale che affliggeva la sovrana.
5. La piccola "protestante" e l'unificazione della Spagna
Fin da ragazza e anche durante la maturità e gli anni della prigionia, Giovanna fu un'assidua lettrice di libri di mistica, letture che gettano luce sulle sue idee.
Già a 14 anni la principessina divorava le storie su sante visionarie come Lidwina di Schiedam (convinta di vedere la Madonna che sprizzava latte dai seni) o Ida di Lovanio (secondo cui l'abbraccio di Gesù era come quello di un amante).
Sfogliava anchei libri di Margery Kempe, che paragonava l'incontro mistico con Cristo a qualcosa di erotico, almeno metaforicamente.
Di certo, la sensibilità di Giovanna la portò a sviluppare una religiosità sorprendentemente simile a quella protestante, imperniata sull'autonomia del fedele dalle strutture organizzative e dottrinali tipiche del mondo cattolico.
La sua biblioteca contava 116 volumi quando ne venne stilato un catalogo nel 1538, durante la prigionia a Tordesillas, ma in realtà le opere da lei lette dovevano essere molte di più.
Libri in gran parte “proibiti" o comunque guardati con sospetto nella cattolicissima Spagna, terrorizzata dal monaco ribelle Martin Lutero.
Quanto contribuì la sua visione nella costruzione della tesi della “follia"? Sicuramente molto più di quanto si sia in genere disposti ad ammettere. Nella foto sotto, un libro d'ore appartenuto alla sovrana.
Gran parte della sfortuna di Giovanna la Pazza fu dovuta al fatto di nascere in un momento storico cruciale per la Spagna, in cui nulla andava lasciato al caso.
I suoi genitori, poi anche il figlio Carlo, guardavano con sospetto il carattere incostante della donna, considerandola inadatta a reggere le sorti di un reame ancora in formazione. Il rischio di disintegrazione, aggravato dal gioco diplomatico delle potenze europee, era ancora troppo alto.
Era solo dal 1469 che il matrimonio tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia aveva unificato la Spagna, fino ad allora suddivisa nei rispettivi regni. Quella tra Castiglia e Aragona era un'unione informale, rimanendo le due nazioni ufficialmente separate ancora per circa mezzo secolo, mentre nel Nord restava indipendente la piccola Navarra.
L'idea di una Spagna saldamente riunita si stava affermando a fatica quando, nel 1492, i sovrani consorti, o Re Cattolici, conseguirono un duplice e straordinario risultato.
Anzitutto la conquista dell'ultimo califfato musulmano in Europa, Granada, che diede a Ferdinando e Isabella una nomea da nuovi crociati; ma soprattutto la spedizione transoceanica guidata da Cristoforo Colombo, che Isabella aveva avuto il merito di sostenere e incoraggiare.
Con l'espandersi dei primi possedimenti nelle Americhe, la Spagna era destinata ad adombrare il rivale Portogallo, pioniere delle esplorazioni marittime, estendendo il suo dominio su gran parte del Nuovo Mondo.
Nel 1512 Ferdinando annetté la Navarra, ma fu Carlo V, che in sé riuniva l'eredità dei sovrani iberici e degli Asburgo d'Austria, a fondare la Spagna unita. Di più: con lui, Spagna e Sacro Romano Impero divennero tutt'uno, un colosso che spaziava dal Nuovo Mondo alla Penisola Iberica, dall'Italia alle Fiandre, fino all'Europa Centrale e Orientale.
Difficilmente Giovanna sarebbe stata in grado di sostenere un fardello del genere, tenuto conto che bisognava anche dimostrarsi devoti alla Chiesa di Roma, l'indispensabile cemento ideologico per quello che era l'"Impero cattolico" per eccellenza, tanto più mentre in Germania si annunciava la tempesta di Martin Lutero.
Carlo V realizzò solo nel 1520 l'unità anche formale tra Castiglia e Aragona, che le nozze dei nonni avevano fatto solo intravedere. La Spagna era ora finalmente compatta, forte e destinata a diventare la potenza egemone per circa un secolo, fino alla sanguinosissima Guerra dei Trent'anni, durata dal 1618 al 1648.
Nella foto sotto, un esorcismo praticato a Giovanna con l'intento di ricondurla alla ragione (Willem Geets, 1876).