A Varenna, paesino sul Lago di Como, sotto i portici vicini al Porto di Riva Granda si trova una targa: “In questa casa nacque Giovanni Battista Pirelli, fondatore a Milano nel 1872 della società G. B. Pirelli & C., prima industria italiana della gomma elastica”.
In quell’abitazione nacque infatti nel 1848 il futuro re degli pneumatici, ottavo di dieci figli di Santino Pirelli, il panettiere del borgo, e di Rosa Riva, prole di un imbianchino.
Si trattava di una casa non povera, ma “modestissima, ove uniche dovizie erano la rettitudine e l’operosità”, come raccontò il capitano d’industria, molto tempo dopo, quando venne nominato senatore del Regno nel 1909.
Ma il capofamiglia morì presto, quando Giovanni Battista aveva solo 8 anni. «Fu la madre a capire che lui era il più capace e intraprendente dei suoi figli», spiega Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli.
«A scuola era bravissimo. Così volle che continuasse a studiare e lo mandò a Como, anche se allora era un viaggio, prima in carrozza e poi in treno». Detto, fatto. Nel 1861, mentre nasceva il Regno d’Italia, Giovanni Battista iniziò a frequentare un istituto tecnico comasco, diplomandosi col massimo dei voti.
Poi scelse Matematica all’Università di Pavia e al Regio istituto tecnico superiore di Milano (il futuro Politecnico), dove si laureò brillantemente in ingegneria con il giovane Giuseppe Colombo, che con lui aveva condiviso i combattimenti da garibaldino, durante la Terza guerra d’indipendenza. L’investimento della vedova Pirelli a quanto pare era stato azzeccato.
1. STUDENTE MODELLO
Ma eccolo, Giovanni Battista, in una fotografia del 1870 (qua sotto), al centro di un gruppo di laureati del Politecnico, età 22 anni.
Baffi (li porterà sempre), folti capelli divisi a metà, una mano nella giacca in un gesto quasi napoleonico, ha l’aria determinata e baldanzosa come se vedesse lontano.
E aveva ragione: la laurea con il voto più alto e l’appoggio del suo geniale professore di lì a poco gli avrebbero fatto vincere una borsa di studio di ben 3mila lire per i due migliori studenti del Politecnico, istituita da un’illuminata nobildonna meneghina per ricordare un figlio scomparso.
Sotto, gruppo di laureati al Politecnico di Milano (1870): al centro, in piedi, Giovanni Battista.
La somma finanziava un viaggio all’estero per conoscere il mondo industriale nelle aree europee maggiormente sviluppate. Il giovane ingegnere viaggiò per più di 10 mesi nel cuore di un continente dilaniato dalla rivalità tra Napoleone III e Bismarck, imparò molto e annotò tutto quello che poteva vedere.
Ma neppure cercando di farsi assumere come operaio era riuscito a penetrare nelle fabbriche che più lo interessavano: quelle che producevano caucciù, una nuova gomma elastica che prometteva mirabilie.
In Italia nessuno la conosceva ancora e i pochi che la lavoravano in Europa (su 138 fabbriche visitate, solo 6) si erano dimostrati reticenti o fuorvianti. Ma il giovane ingegnere, incoraggiato dal suo solito professore che aveva la vista lunga (più avanti capiremo quanto), proprio di quello aveva deciso di occuparsi.
Nonostante l’Italia, all’epoca, fosse ancora un Paese prevalentemente agricolo. «Si trattava di colmare un pesante divario economico, tecnologico e industriale con le altre nazioni», continua Calabrò, «e quella Milano di uomini intelligenti, curiosi, pieni di voglia di trasformazione e profondamente assetati di conoscenza era il luogo adatto per provarci».
Nella città meneghina esisteva tra l’altro una Società di incoraggiamento alle arti e mestieri, che poteva servire per formare gli operai, come già avveniva in Germania.
Sotto, la fabbrica Pirelli a Milano nel 1873, in un disegno del 1922. All’epoca si trovava in campagna, fuori Porta Nuova, collegata alla città dal ponte sul Sevesetto.
2. IN AFFARI
A inizio 1872, quando raggiunse una sufficiente conoscenza del settore, Pirelli fece il salto e costituì la prima impresa italiana di lavorazione della gomma elastica.
Oggi la chiameremmo una start-up. E la start-up all’inizio era snella: 5 impiegati, neanche un chimico o un ingegnere tranne il fondatore, 40 operai e una motrice a vapore.
Il tutto in uno spazio di mille metri quadrati cintati da un muro, allora in aperta campagna. La zona si chiamava Corpi Santi fuori Porta Nuova e vi scorreva il Sevesetto, un torrente sul quale c’era un ponticello che portava in città.
Chi conosce Milano deve fare un notevole sforzo di immaginazione: il paesaggio urbano è radicalmente cambiato. La fabbrica con la sua alta ciminiera era in via Filzi 21, oggi una strada piena di uffici, più o meno nell’area dove svetta il grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti e terminato nel 1960.
Ma torniamo alla prima vecchia fabbrica, dove dal 1873, grazie a impieghi sempre nuovi del caucciù, venivano man mano prodotti valvole, cinghie di trasmissione, corde, tappeti, tessuti gommati, gomme per cancellare, articoli di merceria, di chirurgia e beni di consumo come impermeabili, calzature, giocattoli (negli anni Cinquanta in quel reparto lavorò il grande designer Bruno Munari, che con la scimmietta Zizì vinse il Compasso d’oro), palle da gioco, borse dell’acqua.
Il caucciù era davvero versatile: Pirelli aveva visto giusto.
3. FIAT LUX
A fine XIX secolo a Milano si girava ancora in carrozza. Ma stava per affacciarsi il business dei cavi elettrici e telegrafici.
Fu il professor Giuseppe Colombo a dare il via, fondando la Società Edison, che nel 1882 costruì in via Santa Radegonda la prima centrale idroelettrica dell’Europa continentale. Risultato?
L’elettricità arrivò in città e la sera del 26 dicembre, in occasione della prima dell’opera La Gioconda di Amilcare Ponchielli, a illuminare il Teatro alla Scala furono 2.450 lampade a incandescenza, alimentate da cavi conduttori Pirelli. Si aprivano nuovi mondi.
Sotto, le maestranze all’uscita dallo stabilimento Pirelli di via Ponte Seveso a Milano, 1905.
L’inarrestabile ingegnere ottenne dal governo italiano l’incarico di produrre e posare 12 cavi telegrafici sottomarini, per collegare la Penisola alle isole minori, e la stazione militare sul Mar Rosso.
Allo scopo, a Sunderland (Inghilterra) venne costruita una nave posacavi, battezzata Città di Milano (a scegliere il nome fu la moglie di Giovanni Battista): aveva una stazza di 1.000 tonnellate e vasche capaci di contenere, immerse in acqua di mare, “le spire del serpente di rame, guttaperca e acciaio, sino a 400 chilometri di lunghezza”, racconterà Alberto Pirelli, figlio di Giovanni Battista, nel suo libro La Pirelli. Vita di un’azienda industriale (1946).
La nave Città di Milano svolgerà anche compiti militari durante la Prima guerra mondiale.
4. LE PNEUMATICHE
Nel frattempo, mentre le commesse per i cavi telegrafici ed elettrici fioccavano, Pirelli diventava consigliere comunale, nonché azionista del Corriere della Sera, e partecipava alla commissione esaminatrice del nuovo piano regolatore edilizio urbano.
E dal 1890 avviò la più grande avventura, quella delle “pneumatiche”.
Le prime gomme per veicoli a essere immesse nel mercato nel 1894 furono Stella e Tipo Milano, per i velocipedi, mentre per le automobili, che implicavano molte più difficoltà produttive, bisognerà aspettare il lancio dello pneumatico Ercole nel 1901.
Sotto, Alberto e Leopoldo Pirelli, figlio e nipote del fondatore, nel “Pirellone” in costruzione.
A diffondere la fama delle gomme Pirelli contribuirono non poco le competizioni sportive, su due e su quattro ruote. Al primo, avventuroso Giro d’Italia, con partenza proprio da Milano, 48 ciclisti avevano scelto Pirelli.
«Nel 1907 partiva la Pechino-Parigi, il primo raid internazionale in automobile: 16mila chilometri. Vinse il principe Scipione Borghese, che aveva portato con sé l’inviato del Corriere delle Sera Luigi Barzini, su un’Itala con pneumatici Pirelli», racconta Calabrò.
«Arrivarono 20 giorni prima dei secondi, anche perché persero meno tempo a cambiare le gomme». La vittoria di questo raid segnò uno spartiacque per l’azienda milanese, che cominciò da allora la sua lunga storia nel mondo delle corse su pista e su strada.
Un anno prima, vista l’impossibilità di ingrandire ulteriormente lo stabilimento di via Filzi per via dello sviluppo di Milano, la famiglia Pirelli aveva acquistato 115 ettari in zona Bicocca, tra Niguarda e Greco. Una nuova, altissima torre di raffreddamento era destinata a segnare lo skyline di Milano, come poi il grattacielo di Gio Ponti, progettato per i quartieri generali del gruppo quando ormai a capo c’erano Piero e Alberto, figli di Giovanni Battista.
Nato in una casa modesta, l’ingegnere diventato re degli pneumatici aveva sempre sostenuto che le macchine non bastavano per avere grandi risultati.
Così, già dal 1877 istituì una Cassa di mutuo soccorso per gli operai malati, nel 1903 fu stipulato un concordato che estendeva la copertura sanitaria anche fuori dalla fabbrica e sussidi per le partorienti, nel 1926 arrivarono l’assistenza sanitaria gratuita per tutti i dipendenti e iniziative per gli alloggi degli operai. Così, quando Giovanni Battista Pirelli morì, nel 1932, il “welfare” aziendale era stato avviato. L’ingegnere di Varenna si era dimostrato pioniere anche in questo.
Nella foto sotto, l’arrivo al traguardo dell’Itala gommata Pirelli, vincitrice del raid Pechino- Parigi (1907): 16mila km in 60 giorni.
5. La Fondazione
Là dove c’era la fabbrica della Bicocca, la Fondazione Pirelli, nata nel 2009, conserva la documentazione dell’azienda milanese dalla nascita a oggi. Tutela.
L’Archivio Storico contiene più di 3,5 chilometri di documenti; nella sezione Comunicazione si trovano migliaia di scatti di fotografi come Gabriele Basilico e Ugo Mulas, centinaia di bozzetti pubblicitari di grafici e designer come Bruno Munari e Bob Noorda, pellicole di pionieri del cinema come Luca Comerio, che filmò la visita di Vittorio Emanuele III allo stabilimento della Bicocca.
L’Archivio storico contiene anche immagini private della famiglia Pirelli e la raccolta “Documenti per la storia delle industrie Pirelli” (1872-Anni ’80 del Novecento).
Il tutto dal 1972 è sotto tutela della Soprintendenza archivistica di MIlano.
La Fondazione organizza inoltre mostre e convegni, visite guidate, numerose attività culturali e possiede una biblioteca tecnico-scientifica di oltre 16mila volumi.
Sotto, da sinistra, il velocista Carl Lewis, testimonial della campagna pubblicitaria del 1994, e il Cinturato Pirelli reclamizzato con un’illustrazione di Riccardo Manzi nel 1961.