In viaggio, c’è sempre qualcuno felice di portarsi a casa un mini Colosseo o un Apollo “nano”, parenti poveri di sculture e monumenti famosi.
Quella del souvenir è un’abitudine diffusa e popolare che ha radici lontane, ma non tutti sanno che l’ideatore fu un certo Giovanni Volpato, sconosciuto ai più, ma molto famoso fra gli addetti ai lavori.
A Roma, negli anni del Grand Tour, Giovanni Volpato fu un artista col fiuto per gli affari e inventò gli antenati dei “ricordini” di viaggio. Scopriamolo insieme.
1. Voglia di successo
Giovanni Volpato (1732-1803) fu un brillante self-made man, pieno di iniziative e con grandi capacità artistiche e imprenditoriali.
Un uomo dai molti nomi: nato a Bassano del Grappa (Vi), Giovanni cambiò il cognome Trevisan con quello della nonna materna, Volpato, e, ogni tanto, firmava le sue opere anche alla francese: Jean Volpato o Giovanni Renard, approssimativa traduzione di Volpato.
Per aiutare la madre rimasta vedova trovò un primo impiego come ricamatore, ma poi passò a lavorare per Giuseppe Remondini, a capo di una delle maggiori aziende tipografiche d’Europa e particolarmente forte nella calcografia, cioè nella stampa di incisioni su rame. E qui, “quasi da per sé apprese” l’arte dell’incisione.
Nel 1762 lo troviamo a Venezia, prima nella bottega dell’incisore fiorentino Francesco Bartolozzi, in seguito in quella di Joseph Wagner, punto d’incontro dei migliori incisori della città.
Per un uomo naturalmente portato per le pubbliche relazioni, non poteva esserci posto migliore: gli si offriva la possibilità di accedere ai salotti che più contavano, come quello dell’ambasciatore inglese Joseph Smith, frequentato dai più importanti collezionisti, intellettuali e artisti di passaggio nella Serenissima.
Forte di questo prezioso bagaglio di competenze e relazioni, nel 1767 Volpato aprì una bottega tutta sua. Il lavoro non gli mancava. Ottenne infatti importanti commissioni, tra cui quella con il raffinato editore Bodoni (inventore dell’omonimo carattere tipografico).
Con lui realizzò il volume celebrativo per le nozze del duca Ferdinando di Borbone. Il successo di questa iniziativa fece svoltare la carriera di Volpato, che nel 1771 venne chiamato a Roma per un incarico di prestigio: la riproduzione degli ornati di volte e pilastri delle Logge affrescate da Raffaello in Vaticano.
Nella foto sotto, Serie delle Nove Muse, Manifattura Volpato, in porcellana biscuit.
2. La scalata
Volpato realizzò magistralmente 12 incisioni poi raccolte in tre raffinati volumi, stampati tra il 1772 e il 1777.
Il papa, Pio VI (nella foto accanto), non poteva che esserne soddisfatto. Stimava Volpato tanto per la sua arte quanto per i modi e l’intelligente conversazione.
Del resto, pochi artisti potevano rivaleggiare con Giovanni “per l’aggiustezza dei suoi giudizi in materia di belle arti, per cui da ogni dove affluivano da lui consulti”, come scriveva nell’Ottocento Giambattista Baseggio nella Biografia degli italiani illustri.
Nel ’700 Roma era meta obbligata del Grand Tour: aristocratici, intellettuali, artisti e collezionisti affascinati dall’antichità classica confluivano da tutta Europa in quel museo a cielo aperto che è la Città Eterna.
Pio VI, appassionato di antichità, favoriva in ogni modo gli scavi archeologici, e incoraggiò anche Volpato a intraprendere questa strada. L’artista prese sul serio l’invito e, pur mantenendo la sua florida bottega di incisore, entrò nel lucroso business del mercato antiquario.
Roma a quei tempi brulicava di personaggi che, con regolare permesso, recuperavano opere d’arte romane, per poi rivenderle con lauti guadagni ai “Grand Turisti”.
Volpato entrò in quel business e, a partire dal 1779, finanziò un intenso programma di scavi che gli procurò un considerevole bottino di sculture.
Soddisfatto, il 9 agosto 1783 scrisse a Remondini, il suo ex datore di lavoro: “Cominciai per gioco a cavare statue, ora è divenuto serio questo gioco, quest’anno mi costa sopra 2.000 scudi, è vero che ne saranno più di mille di guadagno”.
La richiesta di oggetti della Roma antica era tale che, all’attività di scavo, Volpato affiancò una compravendita di reperti che includevano anche oggetti rinvenuti da altri.
Nella foto sotto, La personificazione del fiume Nilo, ca. 1785-95
3. La fabbrica ritrovata
Ma non tutti i “Grand Turisti” potevano permettersi di comperare costose sculture antiche.
E Volpato, abilissimo nell’intercettare i bisogni della gente, fiutò l’affare.
Decise di produrre copie di piccole dimensioni di statue romane, a un prezzo abbordabile e realizzate in biscuit, un materiale poroso di colore bianco e opaco, simile a quello del marmo.
Una produzione nuova per Roma e un grosso investimento per Volpato, che per tutelarsi dalla concorrenza pensò bene di chiedere al papa, sempre suo sostenitore, di vietare a chiunque, per 15 anni, di avviare un’impresa simile nello Stato Pontificio.
Forte di questa esclusiva, aprì quindi la fabbrica in via Urbana, al rione Monti, e vi stabilì anche la sua dimora privata.
Le statuine in biscuit non solo ebbero grande successo, ma aprirono un mercato enorme e a buon diritto possono essere considerate le antenate blasonate degli attuali souvenir.
Realizzate in modo seriale, erano proposte in tre misure diverse, con prezzi che variavano a seconda dell’altezza: dai 3 zecchini per la più piccola, alta un palmo, ai 10 per la più grande.
La gamma era ampia: si poteva scegliere tra il Fauno Barberini, l’Apollo del Belvedere, l’Ercole Farnese, il Galata morente, l’Ares Ludovisi, la Flora Farnese...
Di solito acquistate singolarmente o in gruppi tematici, potevano anche essere combinate insieme secondo il gusto del cliente, in modo da formare un centrotavola (ai tempi, chiamato dessert).
E non mancavano neppure oggetti di uso quotidiano come bacili da barba, lumi da notte, barattoli da tabacco. Proprio il ritrovamento dei frammenti di questa antica produzione ha guidato l’archeologa Mirella Serlorenzi a identificare l’ubicazione della fabbrica.
«Nel 2010, durante un sopralluogo al cantiere di scavo in via Urbana, a Roma, mi cadde lo sguardo su una ceramica bianca. Si trattava di una tazzina dalle pareti sottilissime, millimetriche, al tatto polverosa ma di ottima qualità; subito dopo ne vidi un’altra, e un’altra ancora».
Alla fine degli scavi i frammenti erano 12mila tra piatti, vasi, vassoi, zuccheriere e statuine: dopo più di 200 anni, la fabbrica di Volpato rivedeva la luce.
Nella foto sotto, Veduta ideale del bivio tra la via Appia e la via Ardeatina (1757), di Giovan Battista Piranesi, celebre creatore di vedute-ricordo apprezzate dai “Grand Turisti”.
4. Clienti celebri
La fabbrica di via Urbana sancì definitivamente il successo imprenditoriale di Volpato: le sue attività andavano a gonfie vele e si era ben inserito nella società romana.
Frequentava il salotto internazionale della famosa pittrice svizzera Angelika Kauffmann, situato nel quartiere degli artisti a Piazza di Spagna.
Fu lì che Angelika dipinse il suo ritratto e che Volpato ebbe occasione di conoscere Goethe (grande amico della pittrice e forse da lei amato).
Era di casa anche nei circoli più in vista di Roma, dove incontrava i famosi esponenti del Neoclassicismo come l’archeologo Johann Joachim Winckelmann e Anton Raphael Mengs, i pittori Gavin Hamilton e Thomas Jenkins, e anche Antonio Canova, suo conterraneo e grande amico.
Proprio vicino all’atelier dello scultore, in via del Babuino, Giovanni aprì un negozio dove vendeva la sua produzione: stampe, statuine, porcellane e terraglie (nella foto piccola in alto a sinistra, la statuetta di un atleta in porcellana, realizzata tra tardo XVIII secolo e prima metà del XIX. Le versioni “tascabili” erano meno care).
Gli affari andavano bene. Sempre avanti di un passo rispetto agli altri, capì che la pubblicità era l’anima del commercio e, il 27 ottobre 1786, fece pubblicare sul Times di Londra la lista dei nuovi prodotti con i relativi prezzi.
I clienti non gli mancavano, alcuni erano anche di grande riguardo, come il re Gustavo III di Svezia, a cui vendette 12 statue tra cui l’antico gruppo statuario in marmo di Apollo e le Muse (da lui restaurato in modo disinvolto) per ben 3mila zecchini.
Molti stranieri, curiosi di vedere le statue acquistate dal re, compravano a loro volta qualcosa. In una sola settimana, scriveva soddisfatto al Remondini “ho tirato più di 300 zecchini tra stampe miniate e nere”.
Anche l’imperatrice Caterina II di Russia, pur non essendo mai venuta a Roma, fu sua cliente: acquistò infatti la serie di 26 tavole, incise e acquarellate, che riproducevano le Logge vaticane di Raffaello.
Ne rimase così ammirata da fare un voto a “San Raffaello”: promise che le avrebbe fatte riprodurre in grandezza naturale nella sua reggia di San Pietroburgo. Un voto che le costò 60mila scudi romani.
Quanto a Volpato, morì nel 1803, a 71 anni, lasciando un’impresa fiorente e una consuetudine – l’acquisto di souvenir – arrivata fino a noi.
Nella foto sotto, la stele funeraria creata da Canova per il suo grande amico Volpato, simbolo dell’Amicizia piangente.
5. Il quasi genero Antonio Canova
Nelle Memorie di Antonio Canova, scritte da Antonio D’Este e pubblicate postume nel 1864, scultore e grande amico di Canova, è narrato un episodio che all’epoca fece il giro di tutta Roma.
Il grande scultore, timido e schivo, si era innamorato di Domenica, figlia di Giovanni Volpato.
Tutti erano felici di questo fidanzamento, tranne la ragazza che, pur avendo accettato il matrimonio, più le nozze si avvicinavano, più si mostrava distaccata.
Insospettito dalla freddezza della ragazza, Canova decise di indagare. Si recò di notte sotto casa della fanciulla e si nascose in una grande cesta, usata abitualmente per il pane.
Dopo mezz’ora di attesa scoprì... l’intruso: Raffaello Morghen, incisore e allievo di Volpato.
Canova, addolorato e toccato nell’amor proprio, scrisse una lettera alla ormai ex fidanzata, liberandola da un matrimonio che lei accettava solo per obbedienza al padre.
E, scottato dall’esperienza, giurò che non si sarebbe mai sposato.
Nella foto sotto, Fortezza, Prudenza e Temperanza. Bellissima incisione su rame del 1780 circa. Misura alla battuta del rame cm 44 x 75. Incisa da Raphael Morghen dopo Raffaello Sanzio, sotto la direzione di Giovanni Volpato e su disegno di Stefano Tofanelli. La stampa è da datare in prossimità dell'elezione del Papa Pio VI avvenuta nel 1775.