Come tutti, anche Albert Einstein commise errori e, come molti fisici, qualche volta li pubblicò.
Nonostante la sua immensa intuizione, Einstein più di una volta non afferrò il significato delle sue idee più rilevanti o non ne colse l’importanza.
Come risultato, sottovalutò l’importanza della deflessione gravitazionale della luce, dubitò in un primo momento dell’esistenza delle onde gravitazionali e non riuscì ad anticipare la scoperta dell’espansione dell’universo.
Per la maggior parte di noi, i momenti in cui andiamo fuori strada si possono felicemente dimenticare. Nel caso di Einstein, invece, addirittura gli errori sono degni di nota.
Offrono uno sguardo sull’evoluzione del suo pensiero e sui cambiamenti che parallelamente avvenivano nella concezione scientifica dell’universo. Gli errori di Einstein mettono a nudo anche le difficoltà della ricerca di punta.
Quando si giunge alla frontiera della conoscenza, è difficile capire se le idee sulla carta corrispondano a fenomeni reali e se una teoria radicalmente nuova porterà a una maggiore conoscenza o svanirà nel nulla.
Nel corso degli anni Einstein, l’uomo che ridefinì spudoratamente il significato dello spazio e del tempo, sottovalutò le proprie scoperte e si giudicò con una frequenza sorprendente.
Oggi tre floridi settori della cosmologia sono basati su idee che valutò in modo errato: deflessione gravitazionale, onde gravitazionali e accelerazione dell’espansione dell’universo.
Esaminare gli errori di Einstein permette di esplorare i suoi processi mentali e offre una nuova prospettiva sulla storia di tre delle più appassionanti aree della cosmologia moderna. Vediamoli insieme.
1. La lente distorta di Einstein
Nel caso della deflessione gravitazionale, l’errore cruciale di Einstein fu sottovalutare uno dei suoi più celebri risultati: la previsione che la luce si flette in un campo gravitazionale.
Nel dicembre 1936 Einstein pubblicò un breve articolo sulla rivista «Science» con il titolo "Lens-like action of a star by the deviation of light in the gravitational field".
L’articolo iniziava con un candore che sarebbe impossibile da trovare nella moderna letteratura accademica:
«Qualche tempo fa, R.W. Mandl venne a trovarmi e mi chiese di pubblicare i risultati di un piccolo calcolo che avevo effettuato su sua richiesta. Questa nota esaudisce il suo desiderio».
Il «piccolo calcolo» esaminava la possibilità di una deflessione estrema della luce causata dalla gravità.
Per Einstein fu facile dimostrare che, dato un oggetto di massa sufficientemente grande e un incontro sufficientemente ravvicinato, raggi luminosi originatisi ben lontano da dietro l’oggetto sarebbero curvati dalla gravità così intensamente che convergerebbero, producendo un’immagine ingrandita o immagini multiple della sorgente, in modo simile alla curvatura della luce attraverso una lente, da cui il nome gravitational lensing o lente gravitazionale.
Il lensing è diventato uno degli strumenti di osservazione più importanti nella cosmologia moderna, perché dà modo di dedurre la distribuzione di massa nell’universo anche in regioni in cui la materia è invisibile.
Einstein, però, non riconobbe né l’intensità né l’importanza dell’effetto di lente gravitazionale. Al contrario, nell’articolo del 1936 concluse che la moltiplicazione delle immagini causata dal passaggio della luce nelle vicinanze di una stella sarebbe stata così piccola da risultare di fatto non osservabile, e questo spiega l’introduzione autolesionista al suo articolo.
Tecnicamente aveva ragione, ma chiaramente non gli venne in mente che le stelle non sono gli unici oggetti che possono produrre questa curvatura.La dimenticanza di Einstein è ancora più sorprendente se si pensa al ruolo decisivo che ha avuto l’effetto di lente gravitazionale sulla sua reputazione scientifica. La deflessione della luce da parte di un oggetto dotato di massa fu una previsione sperimentale fondamentale per la relatività generale.
Nel 1919 una spedizione guidata dall’astrofisico Arthur Eddington osservò un’eclissi solare e verificò che la luce proveniente dalle stelle, passando vicino al Sole, deviava proprio come Einstein aveva previsto. Le notizie della conferma apparvero sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo, e la controversa vicenda di una spedizione inglese che confermava le ricerche di uno scienziato tedesco poco dopo la fine della prima guerra mondiale contribuì senza dubbio ad attrarre la pubblica attenzione.
Einstein raggiunse una celebrità scientifica mai più eguagliata da allora. Ma c’è un ulteriore risvolto in questa storia. Einstein aveva calcolato la stessa deflessione anni prima, nel 1912. Nemmeno allora aveva riconosciuto l’importanza cosmologica del suo risultato. Inoltre aveva commesso un errore matematico quasi disastroso: nel calcolo aveva usato una versione preliminare della relatività generale, che prevedeva una deflessione della luce da parte della gravità pari alla metà del valore reale.
Fu programmata una spedizione per osservare la deviazione della luce stellare da parte del Sole durante un’eclissi solare del 1914, ma poi fu annullata per lo scoppio della prima guerra mondiale. Fu una fortuna per Einstein che quelle osservazioni non siano mai avvenute. Se fossero state effettuate, la prima previsione della nuova teoria della gravità di Einstein sarebbe stata in disaccordo con i dati. Nessuno sa quali ricadute avrebbe potuto avere sulla sua vita e sulla storia della scienza.
Dopo la pubblicazione dell’articolo del 1936, Einstein scrisse all’editore la sua opinione affettuosamente sbagliata su quello studio: «Mi permetta di ringraziarla per la sua collaborazione nella piccola pubblicazione che il signor Mandl mi ha strappato. Ha scarso valore, ma rende felice quel pover’uomo».
Quello che era sfuggito a Einstein, come fece notare l’irascibile ma brillante astronomo del California Institute of Technology Fritz Zwicky in un articolo inviato alla rivista «Physical Review» pochi mesi dopo la pubblicazione di quello di Einstein, era che le stelle si uniscono e formano galassie. Singole stelle forse non producono una deflessione misurabile, osservava Zwicky, ma quella provocata da galassie di grande massa, contenenti centinaia di miliardi di stelle, potrebbe essere osservabile.
2. Bloccato da singolarità immaginarie
Einstein capì subito che la sua teoria prevedeva l’esistenza delle onde gravitazionali, le increspature nello spazio-tempo. Ma per un lungo periodo si tenne alla larga dalla sua corretta asserzione originale.
Oggi la rilevazione delle onde gravitazionali provenienti da collisioni dei buchi neri e da esplosioni delle stelle o dall’epoca inflazionaria (una fase di espansione iperveloce dell’universo immediatamente dopo il big bang) promette di aprire un’ampia e nuova finestra sull’universo.
Einstein aveva previsto per la prima volta le onde gravitazionali poco dopo aver completato la relatività generale, nel 1916. Nonostante la complessità dei calcoli su cui si basava, il filo del ragionamento era semplice.
Secondo le leggi dell’elettromagnetismo, muovendo una carica elettrica avanti e indietro si genera una perturbazione oscillante che si manifesta nella forma di un’onda elettromagnetica, come per esempio la luce.
Analogamente, se si muove un sasso avanti e indietro attraverso la superficie di uno stagno, si genera una sequenza di onde nell’acqua. Einstein aveva dimostrato che la materia curva lo spazio, quindi la materia in moto doveva produrre un’analoga perturbazione oscillatoria dello spazio. Ma a un certo punto iniziò a dubitare che queste perturbazioni fossero reali.
Einstein annunciò questo cambio di opinione in un articolo del 1936 su «Physical Review» , ma la versione originale dell’articolo non esiste più, perché non fu mai pubblicato. Einstein e Rosen avevano provato a scrivere una formula per onde gravitazionali piane (onde a spaziatura regolare, simili alle increspature visibili nell’acqua di uno stagno a grande distanza dal punto in cui è caduto un sasso) ma nel farlo avevano incontrato una singolarità: un punto in cui le quantità diventano infinitamente grandi.
Questo risultato li aveva portati a ritenere che quelle onde non potevano esistere. In realtà, Einstein aveva male interpretato la formulazione matematica della sua stessa teoria. Ancora convinto del ragionamento, Einstein inviò lo stesso articolo al «Journal of the Franklin Institute», ma prima che fosse pubblicato si accorse lui stesso dell’errore e ne informò gli editori.
La pubblicazione finale, con il nuovo titolo On gravitational waves, presenta una soluzione alle equazioni della relatività generale che usano un diverso sistema di coordinate (adatto alle onde gravitazionali cilindriche invece che a quelle piane) in cui non compare alcuna singolarità.
In che modo Einstein giunse alla conclusione corretta? Secondo il suo futuro assistente, Leopold Infeld, l’eminente cosmologo statunitense Howard Percy Robertson aveva cercato Infeld e gli aveva spiegato con cortesia sia l’errore dell’articolo originale ( quello di «Physical Review» che non fu mai pubblicato) che la possibile soluzione. E questi, a sua volta, riportò a Einstein.
Robertson apparentemente non rivelò mai che era stato il revisore dell’articolo, né Einstein accennò alla valutazione originale del revisore. Il risultato fu che Einstein non pubblicò i calcoli errati che mettevano in dubbio l’esistenza delle onde gravitazionali, ma solo grazie all’intervento di un revisore diligente.
Einstein non andava d’accordo nemmeno con i buchi neri. Era perplesso dalla singolarità non fisica in corrispondenza dell’orizzonte degli eventi e riteneva che la natura dovesse in qualche modo proibirla.
Sosteneva che, per la conservazione del momento angolare, una particella in un oggetto che collassa su se stesso si sarebbe stabilizzata su un’orbita di raggio finito, rendendo impossibile la formazione di un orizzonte degli eventi. Non accettò mai i buchi neri come reali oggetti fisici.
3. Una brillante sciocchezza?
L’errore più famoso di Einstein è la modifica della teoria relatività generale per renderla compatibile con un universo che non si espande. Divenne celebre perché fu lui stesso a stigmatizzarla come un «abbaglio».
Al completamento della relatività generale, nel 1915, era opinione dominante che la nostra galassia, la Via Lattea, fosse circondata da un vuoto infinito statico ed eterno.
Ma Einstein capì che la forza gravitazionale generata dalla materia nella relatività generale (come nella teoria di Newton) è universalmente attrattiva, rendendo impossibile una soluzione statica. A causa della gravità, la materia dovrebbe collassare su se stessa.
In un articolo del 1917, Cosmological considerations in the general theory of relativity, Einstein introdusse un termine additivo costante nell’equazione della relatività generale, in modo da garantire che l’universo fosse statico. Il termine cosmologico avrebbe generato una repulsione gravitazionale in tutto lo spazio, «frenando la gravità» come sperava Einstein. Non c’era giustificazione fisica per questo termine, se non per scongiurare il collasso.
Nel decennio successivo all’introduzione della costante cosmologica si diffusero le prove sperimentali che l’universo non fosse affatto statico. In principio Einstein ne diffidò. Il fisico e sacerdote cattolico belga Georges Lemaître aveva sviluppato un modello dell’universo in espansione che includeva anche una specie di big bang nel 1927, due anni prima che Edwin Hubble pubblicasse il suo fondamentale articolo che documentava la recessione delle galassie.
Lemaître ricorda di essere stato rimproverato da Einstein, «I tuoi calcoli sono corretti, ma la tua fisica è abominevole!». A un certo punto Einstein cambiò idea. Si recò in visita da Hubble, guardò attraverso il suo telescopio al Mount Wilson Observatory vicino a Pasadena, in California, e secondo le testimonianze nel 1933 Einstein elogiò la teoria cosmologica di Lemaître: «È la più bella e soddisfacente spiegazione della creazione che io abbia mai ascoltato».
Non sfuggiva a Einstein che in un cosmo in espansione non ci fosse bisogno di una costante cosmologica per mantenere la staticità. Anche nel 1919 scrisse che la costante era «un grave danno alla bellezza formale della teoria». E in un brano spesso citato del suo libro La mia linea di universo, George Gamow riporta il seguente aneddoto: «Molto tempo dopo, mentre discutevo di questioni cosmologiche con Einstein, egli osservò che la costante cosmologica era il più grande abbaglio che avesse preso in vita sua».
Con il senno di poi, Einstein sbagliava di grosso nel ritenere che la costante cosmologica non avesse senso; ma la sua introduzione fu un errore per due ragioni. Se avesse avuto più fiducia nelle sue convinzioni, avrebbe capito che l’incompatibilità tra relatività generale e universo statico era una previsione. In un’epoca in cui nessuno credeva che l’universo fosse in movimento su larga scala, Einstein avrebbe potuto prevedere l’espansione cosmica invece di doverla poi accettare a denti stretti.
L’introduzione della costante cosmologica era una cantonata anche in un senso più profondo. Semplicemente, la costante non avrebbe funzionato nel mondo in cui credeva Einstein: non era compatibile con l’universo statico che cercava di riprodurre. L’errore emerse in parte perché, una volta ancora, nei calcoli Einstein usò un sistema di coordinate errato.
Ma la sua idea era sbagliata anche da una prospettiva fisica. Sebbene sia possibile compensare brevemente l’attrazione gravitazione della materia con la repulsione derivante da una costante cosmologica, la minima perturbazione provocherebbe un’espansione fuori controllo o un collasso. Con o senza costante cosmologica, l’universo deve essere dinamico.
La costante cosmologica alla fine si è dimostrata molto più duratura dell’approssimativa conoscenza astronomica che l’aveva ispirata. Sebbene la costante fosse un’aggiunta ad hoc alle sue equazioni, i fisici oggi capiscono che dal punto di vista della teoria quantistica corrisponde a una possibile energia dello spazio vuoto. In effetti, la costante cosmologica è necessaria per la fisica quantistica. Inoltre l’energia contenuta nello spazio vuoto non è solo un concetto teorico.
In una delle misurazioni più straordinarie della storia recente, nel 1998 due gruppi di ricerca hanno osservato che l’espansione dell’universo sta accelerando, spinta da qualcosa che sembra agire proprio come una costante cosmologica. In questo caso si potrebbe dire che Einstein si è sbagliato due volte: per aver introdotto la costante per la ragione sbagliata e per averla rimossa invece di esplorarne le conseguenze.
4. L’errore che non ammise mai
Gli errori di Einstein erano fecondi dal punto di vista intellettuale perché muovevano da intuizioni grandiose e innovative sulle leggi della fisica.
Questo vale anche a proposito dell’errore più grave, per giudizio unanime: il rifiuto di accettare la meccanica quantistica come teoria fondamentale della natura.
Sebbene Einstein stesso avesse posto le basi della meccanica quantistica con lo studio dell’effetto fotoelettrico (che in seguito gli valse il premio Nobel), non aveva mai abbandonato del tutto la mentalità della fisica classica.
L’idea che la posizione di una particella sia una questione di probabilità o che una particella possa istantaneamente influenzarne un’altra molto distante gli sembrava assurda, anche se il suo giudizio sui paradossi della teoria quantistica era più sottile di quanto si creda di solito.
Trascorse la maggior parte dei suoi ultimi anni nel tentativo di fondere le equazioni della gravità e dell’elettromagnetismo in una teoria classica, verso una cosiddetta teoria di campo unificata.
Nel corso di questa impresa, Einstein rimase affascinato da un’ipotesi elaborata dal matematico tedesco Theodor Kaluza nel 1921 e poi sviluppata dal fisico svedese Oskar Klein.
I due suggerivano che, se l’universo avesse cinque dimensioni, tre dimensioni spaziali, una temporale più una quinta dimensione ripiegata in modo da risultare invisibile, sarebbe possibile costruire un’unica rappresentazione combinata di elettromagnetismo e gravità.
Agli occhi di Einstein questa teoria aveva il pregio di essere puramente classica. Klein aveva mostrato che, nel modello, la quantizzazione della carica elettrica poteva essere l’effetto sull’elettromagnetismo della forma chiusa e circolare della quinta dimensione.
Il tentativo di Einstein di elaborare una teoria di campo unificata non diede alcun risultato, ma le sue idee sbagliate condussero ancora una volta a importanti risultati.
Nell’attirare l’attenzione sulle dimensioni aggiuntive di Kaluza e Klein, Einstein ha forse ispirato la formulazione matematica a molte dimensioni dell’attuale teoria delle stringhe, un apprezzato tentativo di inglobare la relatività generale nella meccanica quantistica.
Einstein probabilmente inorridirebbe all’idea che la relatività generale emerga da una realtà quantistica piuttosto che l’inverso. Ma, come abbiamo visto, era tutt’altro che infallibile.
5. Gli abbagli di Einstein
Soprattutto in tre occasioni Einstein sottovalutò clamorosamente il valore delle proprie scoperte, o ritenne che una scoperta esatta fosse sbagliata. Scartò idee che si sono rivelate fondamentali per la cosmologia moderna.
a) La deflessione gravitazionale, o lensing, è usata per mappare gli ammassi galattici;
b) le onde gravitazionali ci permettono di esplorare i primi istanti del big bang;
e c) la costante cosmologica governa l’evoluzione dell’universo.
- Lensing gravitazionale
Quando Einstein pubblicò nel 1936 l’articolo che descriveva la deflessione gravitazionale della luce, o lensing, giunse all’errata conclusione che il fenomeno non sarebbe stato osservabile.
Pensava solo alla deflessione di luce di stelle da parte di altre stelle, e non al più pronunciato effetto di deflessione di luce proveniente da galassie lontane da parte di altre galassie, e per questo motivo non aveva pubblicato prima il suo risultato.
In un calcolo del 1912 della deflessione, Einstein impiegò una versione preliminare della sua teoria, e la sua stima dell’effetto di curvatura era troppo piccola. Se la deflessione fosse stata misurata all’epoca, la differenza con la previsione errata avrebbe potuto influire sull’accettazione definitiva della relatività generale. - Onde gravitazionali
La relatività generale implicava l’esistenza delle onde gravitazionali, ma Einstein rigettò la propria previsione. Fu un altro errore a salvarlo dal pubblicare questo sbaglio: considerare la peer review come un affronto.
Dopo aver ritirato l’articolo adirato per le critiche di un revisore, capì l’errore commesso: aveva cercato una soluzione per onde oscillanti in una direzione costante mentre si muovono. In seguito derivò l’espressione corretta per onde cilindriche, la cui direzione di oscillazione si sposta mentre si diffondono in modo cilindrico.
Da allora l’esistenza delle onde gravitazionali è stata confermata, sebbene in modo indiretto. - La costante cosmologica
Nel 1917 Einstein aggiunse un termine, chiamato costante cosmologica, alle equazioni della relatività generale come metodo matematico con cui mantenere statico l’universo. Quando apprese che l’universo si sta espandendo, scartò la costante.
Einstein tuttavia non capì che questo termine è una parte naturale della teoria. Oggi gli scienziati riconoscono che la costante cosmologica corrisponde a un’energia dello spazio vuoto; questa energia potrebbe spiegare l’espansione accelerata dell’universo.