Costruivano a incastro edifici e strade. Redistribuivano la ricchezza ai contadini.
E, contrariamente a ciò che si credeva, forse sapevano “scrivere”.
Una rete stradale da far invidia a quella dell’antica Roma, conoscenze architettoniche all’avanguardia e un’organizzazione amministrativa che anticipò addirittura il pensiero socialista.
Quella inca fu una civiltà precolombiana meno celebrata di quelle maya e azteca, ma seppe dar vita tra XIII e XVI secolo al più grande impero che il continente americano avesse mai conosciuto.
Un popolo fino a oggi ritenuto piuttosto misterioso, anche perché si pensava che fosse privo di un sistema di scrittura (quest’ipotesi, però, attualmente è stata messa in discussione).
Grazie agli studi più recenti, quindi, gli archeologi hanno ormai un chiaro quadro di che civiltà straordinaria fu quella inca, e stanno svelandone gli ultimi segreti. Scopriamoli insieme.
1. Impero del sole e società piramidale
Impero del sole
Oggi si sa che il popolo degli Incas ebbe origine da una manciata di tribù distribuite nell’odierna area di Cuzco, nelle Ande del Perù Centro-meridionale, i cui membri si associarono dando vita a un piccolo regno (nel XIII secolo).
La stessa parola “inca”, originariamente rimandava non a caso al concetto di “sovrano”.
Stando al mito, il primo re fu Manco Cápac, considerato figlio di Inti, dio del Sole. Di lui si tramanda che visse tra XII e XIII secolo e che fondò Cuzco, città principale del mondo inca.
Qui sorse un grande tempio dedicato al Sole, custodito da sacerdoti e frequentato da molte genti delle regioni circostanti.
Accresciute così le proprie forze, gli Inca si organizzarono in una confederazione di tribù che si impose poi su altre realtà simili.
Le scoperte archeologiche confermano inoltre che a unire tutte le federazioni andine sotto la propria autorità, creando un vero impero, fu il sovrano Pachacútec, detto “riformatore del mondo”, sul trono dal 1438 al 1471.
L’impero dei figli del Sole, come si consideravano gli Inca, arrivò in seguito a estendersi dal Perù ad ampie porzioni di Ecuador, Bolivia e Cile nonché a spicchi di Colombia e Argentina.
Società piramidale
Ai vertici, la società inca non era molto diversa da quelle del mondo antico. Il re, divinizzato, viveva nel lusso in una reggia esclusiva a Cuzco, attorniato da concubine.
Per moglie, al fine di preservare la purezza della stirpe, sceglieva di solito una sorella, mentre per successore il figlio più meritevole.
Dopo la famiglia reale, venivano i sacerdoti (che potevano anche essere donne) e i “nobili”, incaricati di gestire l’amministrazione dell’impero, forze militari incluse.
I giovani dei clan nobiliari erano perciò sottoposti a dure iniziazioni belliche, superate le quali, per attestare il proprio rango, inserivano dischi d’oro nei lobi delle orecchie (per questo gli spagnoli ribattezzarono gli Inca orejones).
Ai nobili seguivano i curaca, esponenti delle comunità sconfitte che controllavano per conto del re le rispettive regioni, mentre alla base della piramide sociale c’era il popolo, organizzato in ayllu, gruppi familiari “allargati” legati ai vari villaggi.
Ogni comunità coltivava una propria porzione di terra e si occupava anche dei terreni assegnati a re e sacerdoti, contribuendo inoltre alla manutenzione delle infrastrutture dell’impero (o alla loro costruzione) e alla fornitura di uomini in caso di guerra.
2. Socialismo ante litteram
La religione era tra gli aspetti più misteriosi di questa civiltà.
Secondo i miti locali, l’universo era stato creato da Viracocha, “maestro del mondo” riconosciuto come divinità suprema in tutto l’impero.
A lui si doveva la nascita del genere umano, del Sole e degli altri astri. La maggior parte dei templi erano però consacrati proprio a Inti, il Sole (foto sotto).
A lui e alle altre divinità erano dedicate festose cerimonie che includevano talvolta sacrifici animali (raramente umani).
Gli Inca erano anche convinti che esistesse una vita ultraterrena, tanto che gli imperatori venivano mummificati (la gente comune era invece seppellita) e, con i volti coperti da maschere d’oro, interpellati post mortem da appositi sacerdoti incaricati di interpretare i voleri di queste “mummie parlanti”.
Nonostante la divisione in classi, la società inca presentava alcuni aspetti accomunati dagli studiosi al pensiero socialista.
Un concetto chiave era quello di “redistribuzione”: se in una comunità c’era un bene in eccesso, questo non veniva accumulato o venduto, ma redistribuito nei villaggi in cui mancava, che avrebbero poi ricambiato con altri beni.
Obiettivo: soddisfare i bisogni di tutti grazie al contributo di tutti, impedendo che un arricchimento personale alterasse gli interessi della collettività. Oltre a ciò, non si usava moneta e la proprietà privata era pressoché assente.
Gli Inca furono inoltre sempre rispettosi delle etnie conquistate, la cui perdita di sovranità era compensata dal riconoscimento di tradizioni e divinità locali. Ingraziarsi gli sconfitti aveva un ritorno pratico, poiché ne favoriva la disponibilità a sottomettersi e a fornire lavoratori.
3. Strade da record
Lavoratori che servivano per costruire terrazzamenti agricoli e strade in un ambiente estremamente impervio come le Ande.
Alla base dei successi inca c’era infatti uno straordinario sistema viario, paragonato dagli spagnoli a quello dei Romani.
Da Cuzco partiva infatti una rete stradale che si dipanava a nord fino all’Ecuador e a sud fino al Cile.
Le vie principali, dette caminos reales e larghe in molti tratti più di dieci metri, seguivano due itinerari, uno costiero e uno montano (per un totale di quasi 7.000 chilometri).
Erano unite da percorsi secondari – che dalle Ande scendevano verso il Pacifico – e intervallate da luoghi di sosta per i viaggiatori e depositi di armi e viveri.
Per tessere tale “ragnatela” gli Inca dovettero superare molti ostacoli naturali, soprattutto con l’uso di ponti sospesi, fabbricati con robuste corde (ricavate da fibre di agave) a cui venivano fissate tavole di legno che formavano passerelle di decine di metri.
Non basta: ogni giorno, strade e ponti erano percorsi dai velocissimi chasqui, o “fattorini”, fiore all’occhiello del sistema di comunicazioni inca.
Selezionati tra i giovani di ogni comunità, recapitavano messaggi (di solito cordicelle con nodi dette quipu e piccoli oggetti) muovendosi a staffette, di corsa, tra le stazioni di posta situate lungo i caminos.
Non a caso, il sistema stradale inca è oggi Patrimonio dell’umanità Unesco assieme a molti edifici e templi in pietra realizzati con mirabolanti tecniche “a secco”.
Le rocce usate per edificare tali architetture monumentali erano a volte enormi e lavorate nei bordi per incastrarsi perfettamente l’una con l’altra, come mattoni giocattolo. Gli ingegneri inca erano inoltre esperti nel tracciare canali per trasportare le acque.
I maggiori centri abitati, protetti da fortezze o da ciclopiche mura, erano eretti sugli altopiani andini o lungo la costa: in montagna le case avevano pareti in pietra, mentre vicino al mare i muri erano fatti con mattoni di argilla secca (detti adobe).
Oltre a Cuzco, adagiata in una vallata a quasi 3.500 metri d’altezza e ricca di templi, palazzi nobiliari e grandi piazze, la più celebre testimonianza delle capacità costruttive del popolo inca è Machu Picchu, “la vecchia cima”.
4. Veri scienziati e tragico tramonto
Veri scienziati
Ma l’ingegno inca si manifestò soprattutto nel sistema usato per registrare informazioni.
Strumento base era il quipu, che consisteva in una corda legata a varie funicelle sulle quali si alternavano dei nodi, la cui forma e posizione raffiguravano numeri e oggetti.
Questo metodo, oltre che per tenere registri e censimenti, fu usato per elaborare un sistema di calcolo e un calendario (gli studi astronomici erano un’altra eccellenza andina).
Gli artigiani inca erano poi abilissimi nella lavorazione del bronzo e del rame e in quella di metalli preziosi come argento e oro, usati per produrre gioielli e oggetti cerimoniali.
Gli studi hanno inoltre rivelato che gli abitanti delle Ande basavano la loro esistenza sulla coltivazione di prodotti agricoli (soprattutto mais e quinoa), e sull’allevamento di animali, in primis i lama, usati come mezzi di trasporto e per ricavarne carni e lana.
Con radici, erbe e piante, tra cui foglie di coca, preparavano composti farmacologici e soluzioni anestetiche per operazioni chirurgiche come amputazioni e interventi al cranio (aperto con lame di metallo e ossidiana per curare ferite interne, asportare parti lesionate e liberare gli “spiriti molesti”).
Coca e bevande alcoliche costituivano anche gran parte della dieta delle future vittime sacrificali, come ha dimostrato uno studio condotto dall’Università di Bradford (Regno Unito) sullo stomaco di alcune mummie ritrovate in una grotta sul vulcano Llullaillaco, in Argentina.
Di sicuro gli Inca usavano i quipu per ricordare nel tempo dati numerici, come l’entità dei raccolti, e fare i conti di quanti prodotti agricoli erano stati ottenuti in ogni villaggio.
Capirne il significato non è difficile: ogni “giro” del nodo è una unità (fotto sotto a sinistra), mentre la posizione di ogni nodo sulla corda (fotto sotto a destra) indicava le unità, le decine, le centinaia e così via.
Ma alcuni studiosi pensano che con questo stesso sistema si potesse anche scrivere.
Tragico tramonto
Nel XVI secolo l’Impero inca fu travolto dalla marea conquistatrice dei coloni spagnoli, attirati dai filoni d’oro andini.
Guidati da Francisco Pizarro, i conquistadores sovrastarono nel 1533 le forze di Atahualpa, l’ultimo imperatore inca, e nel 1542, sulle ceneri dell’impero, sorse il vicereame del Perù (con capitale Lima, fondata nel 1535 dallo stesso Pizarro con il nome di Ciudad de los Reyes).
A nulla varrà il tentativo di ribellione di Túpac Amaru, dignitario inca che nel 1572 si sollevò contro gli invasori.
La gloriosa nazione dei figli del Sole era ormai spagnola e cristianizzata, e come nel resto d’America le malattie portate dal vecchio continente avevano iniziato a fare strage di nativi.
Nel corso di un solo secolo, gli Inca passarono da nove a meno di due milioni di individui: un crollo demografico che “sigillò” il tramonto della loro gloriosa, misteriosa e sorprendente civiltà.
5. Quipu e Machu Picchu
I quipu: una possibile scrittura alfabetica?
A detta di molti studiosi, gli Inca usavano i quipu, o “nodi parlanti” (foto sotto), non solo per far di conto e tenere registri, ma anche per redigere resoconti storici, sfruttandoli come una vera scrittura.
A sostegno di tale tesi è giunto nel 2015 il ritrovamento, nel villaggio andino di San Juan de Collata, di una scatola contenente due quipu particolari.
Ad analizzarli è stata l’antropologa Sabine Hyland, dell’Università di St. Andrews (Scozia).
Tali oggetti contengono un numero straordinario di nodi, sono ricchi di colori e sono tessuti con fibre animali (che rispetto al consueto cotone trattengono meglio le tinte).
Ebbene, l’esperta ha dedotto come le varie colorazioni, in connessione con la forma dei nodi e la tipologia delle corde, permettessero di formare “combinazioni” analoghe a quelle che si creano con le lettere dell’alfabeto, rimandando a immagini e concetti come avviene nella scrittura.
Secondo gli stessi abitanti del villaggio, i due quipu descriverebbero una rivolta anti-spagnola.
Machu Picchu, meraviglia del mondo
Un capolavoro di architettura e ingegneria “abbracciato” a uno sperone di roccia a 2.430 metri di altezza.
Questo è Machu Picchu, sito archeologico più importante del Perù e terzo al mondo per estensione. Risalente al XV secolo e riscoperto nel 1911 dopo un lungo abbandono, ospitava decine di edifici e templi in pietra, i cui blocchi, come da prassi, aderivano senza bisogno di malte.
Altra caratteristica, le ingegnose terrazze per le coltivazioni ricavate nei pendii.
Tutto ciò, unito a una vista mozzafiato, è valso a Machu Picchu l’inserimento nel 2007 tra le “sette meraviglie del mondo” (insieme a Petra, al Colosseo e altre ancora).