Sono passati 40 anni dalla morte di una delle donne più potenti del Novecento.
Golda Meir (1898-1978) nata in Russia e perseguitata come ebrea, si salvò emigrando negli Stati Uniti.
Contribuì alla fondazione dello stato di Israele e ricoprì cariche importanti, guidando il Paese come Primo Ministro nel sanguinoso conflitto con il mondo arabo.
Ma chi era veramente Golda Meir, la madre di Israele? Scopriamolo insieme!
1. Le origini
Golda Meir nacque nel 1898 a Kiev (Russia) in una famiglia di ebrei ucraini.
Il suo vero nome era Golda Mabovitz (lo avrebbe cambiato in Meir al ritorno in Israele).
Cinque dei suoi sette tra fratelli e sorelle morirono di stenti e malattia prima ancora di compiere un anno: lei invece fin da neonata aveva una tempra così forte da essere soprannominata “il mestolo”.
«Soffrivamo il freddo, la povertà e la fame e avevamo sempre paura. Il ricordo della paura è la memoria di quel periodo che mi è rimasta più impressa in mente», ricorda.
Nell’aprile 1903 i Mabovitz rischiarono di perdere la vita in un pogrom (violenta aggressione contro gli ebrei) e si salvarono solo perché il padre riuscì a barricare l’abitazione.
Molti non furono così fortunati: alcuni vennero uccisi piantando chiodi nelle loro teste, cavando loro gli occhi o gettati dalle finestre.
Le donne erano violentate, poi squartate al ventre, oppure venivano tagliati loro i seni, nell’indifferenza delle autorità.
A questo punto il padre di Golda si trasferì in America a Milwaukee (Illinois), raggiunto dalla moglie e dalle tre figlie nel 1906.
Il viaggio fu rischioso: le donne avevano documenti falsi e correvano il rischio di essere smascherate e spedite in Siberia. Vennero derubate dei bagagli e dovettero spendere i loro pochi soldi in bustarelle.
2. Nuova vita in America
Golda imparò perfettamente l’inglese (cosa che divenne per lei un’arma vincente) e si fece i primi amici.
Cominciò anche la sua attività politica: si accorse che molte famiglie non potevano pagare le tasse per i libri di testo dei loro figli.
Perciò, a soli 11 anni, passò all’azione e fondò la American Young Sister’s Society per raccogliere i fondi necessari.
Le sarebbe comunque toccata la sorte delle donne ebree dell’epoca (sposarsi e fare tanti figli), se la sorella maggiore, già sposata, non le avesse offerto un alloggio a Denver quando aveva 15 anni.
Qui incontrò l’amore - Morris Meyerson, di origini lituane - e la passione per la politica: Golda aderì al movimento sionista e alla filosofia socialista.
A 18 anni sposò Meyerson ma, come disse in seguito: «Non mi bastava la felicità domestica, avevo bisogno di fare ciò che facevo!».
Perciò si iscrisse al partito Poale Zion (Lavoratori di Sion) di ispirazione socialista e mentre frequentava una scuola di formazione in pedagogia divenne insegnante di ebraico per i bambini della sua comunità.
Organizzò una marcia di protesta a Milwaukee contro i massacri di ebrei in Russia e il suo clamoroso successo la convinse a intraprendere un’intensa attività di propaganda.
3. Ritorno alla terra promessa
A 23 anni, nel 1921, partì con il marito per la Palestina.
Lo sbarco a Tel Aviv fu traumatico: le condizioni di vita erano ancora peggiori di quelle che gli ebrei dovevano sopportare in Russia.
Golda e il marito si unirono nel settembre 1921 al kibbutz Merhavia, dove rimasero fino al 1924. Cos’è un kibbutz?
È una comunità agricola autosufficiente basata sulla condivisione dei frutti del lavoro e il ripudio del denaro. Non si usa moneta e non è prevista proprietà privata, se non dei beni più intimi e personali.
Quando qualcuno ha bisogno di qualcosa si reca allo spaccio e si fa consegnare ciò di cui ha bisogno. Il primo kibbutz fu fondato a Degania Alef (vicino al lago di Tiberiade, nell’attuale Israele settentrionale) nel 1909.
Molti personaggi famosi sono nati nei kibbutzin (plurale di kibbutz), come il generale Moshe Dayan, che fu il secondo bambino nato a Degania Alef. Attualmente esistono poco più di 200 kibbutzin che realizzano circa il 40 per cento della produzione agricola di Israele.
Quell’anno nacque il primo figlio della coppia, ma iniziò anche la malattia di Morris che l’avrebbe portato alla tomba. In più Golda, occupata in politica, latitava in casa.
Per salvare il matrimonio si trasferirono a Gerusalemme. Anche qui, però, la vita continuava a essere durissima e infelice. Arrivò il secondo figlio e anche i genitori di lei. La casa era così piccola che la vasca da bagno era in salotto. Golda era frustrata dalla routine quotidiana.
Tornò alla vita politica: già nel 1922 era stata scelta come rappresentante nel consiglio generale dei kibbutzin, ma nel 1928 fu nominata segretario dell’Unione delle Donne Lavoratrici (Women’s Working Council).
Fu la svolta finale della sua vita. Cominciò a viaggiare, si trasferì a Tel Aviv e si impegnò ancora per il sionismo. Naturalmente il marito e i figli dovettero passare in secondo piano.
La coppia non divorziò, ma da quel momento in poi i coniugi non vissero più insieme. Nel 1930 Golda entrò a far parte del neonato MAPAI, il Partito dei lavoratori israeliani, dove le sue quotazioni crebbero in fretta.
«Sapeva come mettere insieme pragmatismo e idealismo» commentò un suo compagno di partito. Quando Golda prendeva la parola «parlava con grande sicurezza, in modo appassionato, ma anche sensibile e tormentato» diceva di lei David Ben Gurion, il futuro primo presidente dello stato di Israele.
Fu proprio lui, d’altronde, che la volle nel comitato direttivo dell’Histadrut (il sindacato ebraico) per gestire la questione chiave dei nuovi immigrati ebrei.
Nei terribili anni della nascente dittatura nazista, Golda lottò inutilmente presso i diplomatici dei Paesi occidentali perché aiutassero gli ebrei in Germania o almeno lasciassero che si recassero in Palestina, al sicuro: ma gli inglesi si opposero, col pretesto che gli arabi non li avrebbero graditi.
4. Verso lo stato di Israele e l'attentato alle Olimpiadi
- Verso lo stato di Israele
Dopo la guerra la situazione degli ebrei non migliorò di molto e il comitato direttivo dell’Histadrut decise di combattere per far nascere uno stato ebreo.
«Intendiamo restare vivi», esclamò Golda. «I nostri vicini vogliono vederci morti».
E ancora: «Gli ebrei uccisi nelle camere a gas di Hitler saranno gli ultimi a essere morti senza difendersi». E concludeva: «Non abbiamo alternative».
Nel 1946 diventò il capo del dipartimento politico dell’Agenzia e dopo tre anni di lotta contro gli inglesi, il 14 maggio 1948 venne proclamato lo Stato di Israele, contro il parere degli Stati Uniti.
Golda Meir fu fra i 35 firmatari della dichiarazione di indipendenza. Divenne ambasciatrice a Mosca (vi rimase fino all’aprile del 1949) e fu eletta per il partito MAPAI nella prima Knesset, il parlamento israeliano.
L’allora primo ministro, David Ben Gurion, la propose anche come vice primo ministro, ma lei optò invece per il Ministero del lavoro.
Qui si impegnò a fondo per risolvere i problemi dei nuovi coloni israeliani, provenienti da tutto il mondo, costruendo scuole per la loro formazione.
Nel 1950 suo marito Morris, che Golda non aveva mai smesso di amare, morì per un attacco cardiaco.
Nel 1956 arrivò la definitiva consacrazione politica con la nomina a ministro degli Esteri in concomitanza con una delle prime grandi crisi israeliane, quella del canale di Suez.
Nei primi anni Sessanta le venne diagnosticato un linfoma, ma la Meir si ritirò a vita privata solo nel 1965, senza rendere pubblica la sua malattia.
Quando sembrava che la sua carriera fosse arrivata al termine, arrivò invece il suo momento più alto: nel 1968 Golda Meir fu nominata primo ministro e dovette far fronte a due delle più gravi crisi della storia israeliana.
- Attentato alle Olimpiadi
Il 5 settembre 1972, alle 4 del mattino, otto membri di Settembre Nero, un movimento terroristico palestinese, entrarono nel villaggio degli atleti di Monaco di Baviera, dove si stavano tenendo le Olimpiadi, e fecero irruzione nella palazzina degli atleti israeliani, uccidendone subito due e sequestrandone altri nove.
Quando la polizia tedesca tentò goffamente di liberarli, furono tutti uccisi.
Golda Meir ordinò di vendicarli con l’operazione “Collera di Dio”, messa in atto dal Mossad, il servizio segreto israeliano, che individuò e uccise uno per uno numerosi esponenti di Settembre Nero che vivevano in Europa. Nella foto sotto, un terrorista in azione.
5. La guerra dello Yom Kippur e l'addio alla politica
Lo Yom Kippur è la festa più sacra del calendario ebraico e cade tra la fine di settembre e la prima metà di ottobre.
Il 6 ottobre 1973 Golda Meir fu avvisata che l’Egitto e la Siria avrebbero attaccato Israele all’alba.
C’era ancora il tempo di attaccare per primi. «C’è sempre la possibilità che noi abbiamo bisogno dell’aiuto di qualcuno, e se attacchiamo per primi nessuno ci aiuterà», dichiarò la Meir in una drammatica riunione.
Così Israele attese l’offensiva araba che si scatenò contemporaneamente quello stesso giorno dalla Siria e dall’Egitto. Le cose sembravano messe così male che il medico personale della Meir le consegnò delle pillole di veleno nel caso fosse stata presa prigioniera.
Il ministro della Difesa, Moshe Dayan, pensava che la sconfitta fosse inevitabile, ma la Meir gli proibì di andare in televisione e diffuse un bollettino falso che minimizzava la situazione.
Il fronte interno resse fino al 14 ottobre quando gli americani iniziarono uno dei più straordinari ponti aerei della storia per rifornire di armi Israele. Gradualmente l’esercito israeliano riprese il controllo della situazione fino ad arrivare alla firma della pace con l’Egitto.
Golda Meir fu duramente attaccata in patria per la sua decisione di non lanciare un attacco preventivo, anche se il segretario di Stato Henry Kissinger dichiarò in seguito che se lo avesse fatto, Israele avrebbe ricevuto «tanto quanto un’unghia» dagli Stati Uniti.
Ma la Meir, anche se era stata scagionata ufficialmente, non si riprese più. Nel 1974 lasciò definitivamente la vita politica e morì quattro anni dopo.
Moshe Dayan nacque nel 1915 a Degania e fu uno dei simboli di Israele. Combatté nell’Haganah (l’esercito segreto sionista) negli anni Trenta, poi con gli inglesi nella II guerra mondiale, nella quale fu ferito all’occhio (da allora indossò la celebre benda).
Portò alla vittoria gli eserciti israeliani nel 1956 nella crisi di Suez e nel 1967 nella guerra dei Sei giorni. Dopo la guerra dello Yom Kippur divenne ministro degli Esteri. Morì nel 1981.