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Grazia Deledda: l’unica scrittrice italiana premiata con il Nobel

Il premio Nobel per la letteratura lo ricevette a 55 anni, nel 1926, dopo una vita dedicata a scrivere storie suggestive, ambientate nella sua terra natale: la Sardegna, isola ancora immersa in una cultura antica e retrograda.

I sardi non l’amarono: femminista e progressista, Deledda era guardata con diffidenza sia dagli uomini sia dalle donne.

Ma chi era veramente Grazia Deledda, l’unica scrittrice italiana premiata con il Nobel? Scopriamolo insieme.

 

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1. Autodidatta

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"Sono nata in Sardegna. La mia famiglia, composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche una biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei".

Queste parole racchiudono l’essenza della vita di Grazia Deledda, di cui quest’anno si celebrano i 150 anni dalla nascita: le pronunciò davanti all’Accademia Reale Svedese il 10 dicembre 1926 quando le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura.

Fu la seconda donna della storia, dopo la svedese Selma Lagerlöf nel 1909, ed è stata l’unica italiana.

Trasportando il mondo senza tempo della nativa Sardegna nel genere moderno del romanzo tardo ottocentesco, Deledda sorprese i giurati facendo loro scoprire una terra lontana dai languidi stereotipi mediterranei, che proprio in quegli anni iniziava a destare interesse turistico.

La forza dei suoi romanzi, infatti, non sta nella trama o nei personaggi, ma nella forza della vita cruda e allo stesso tempo pura della comunità sarda, in particolare della Barbagia, che lei ben conosceva essendoci nata e cresciuta, costretta ogni giorno a combattere contro il maschilismo e il bigottismo locali: un universo retrogrado contrastante con il resto d’Italia, dove, in seguito all’unificazione del Paese, il progresso stava diffondendosi velocemente.

Qua sotto, la casa natale di Grazia Deledda si trova a Nuoro, nel rione Santu Predu.

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Grazia Deledda nacque il 27 settembre 1871 a Nuoro, una città che all’epoca contava meno di 6.000 abitanti, da genitori benestanti. Il padre, Giovanni Antonio, era un ricco proprietario terriero e imprenditore, ma si dilettava a scrivere poesie nel tempo libero.

Come era consuetudine per le ragazze in quegli anni, Grazia frequentò la scuola solamente fino alle elementari, concludendo i suoi studi all’età di undici anni perché ripeté volontariamente un anno allo scopo di trascorrere un periodo più lungo a scuola.

Successivamente ricevette un’istruzione privata a casa. Imparò l’italiano e il francese e studiò la letteratura italiana, russa, francese e inglese dell’epoca.

Da autodidatta qual era, divorava tutti i libri della sua ricca biblioteca: dalla Bibbia (eredità di suo zio parroco) all’Odissea, ma anche le opere di Shakespeare, Tolstoj, Dumas e Manzoni. Il suo tutore, accortosi delle sue attitudini naturali alla scrittura, la incoraggiò a cimentarsi in un libro, e in seguito anche a pubblicarlo.

Così Grazia realizzò il suo sogno di scrivere, procacciandosi contatti, sin da giovanissima, con il mondo culturale italiano, e imbastendo caparbiamente proposte da inviare alle case editrici.

 

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2. Appare sulle riviste e l’incontro con il marito

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I suoi primi racconti apparvero alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento sulla rivista femminile L’ultima moda e nel 1890 pubblicò Nell’Azzurro, una raccolta di cinque novelle.

Le sue opere più famose sono sicuramente romanzi e racconti, ma fu autrice anche di poesie, opere teatrali, racconti popolari e racconti per bambini, oltre a essere stata un’ottima traduttrice di Eugènie Grandet d’Honoré de Balzac.

Deledda scelse come forma narrativa prevalentemente il dialogo, privilegiandolo al monologo, e seguendo il modello omerico.

La sua narrativa è spesso autobiografica: nel romanzo Il tesoro, del 1897, per esempio, che racconta del lungo e infelice amore epistolare di Elena, molti pensarono che descrivesse il travagliato rapporto avuto con Angelo De Gubernatis, professore di filologia e studioso di sanscrito.

Facendo fatica a trovare un suo ruolo in Sardegna e spinta dalla voglia di raggiungere il continente, ne ebbe l’occasione nell’ottobre 1899, quando incontrò a Cagliari un funzionario del Ministero delle Finanze, Palmiro Madesani, e decise di sposarlo poco più di due mesi dopo, cioè nel gennaio del 1900.

Da quest’uomo, che descrisse come mite, ebbe due figli e visse con lui una vita coniugale serena, anche se non caratterizzata da grande passione.

Essendo un impiegato statale, Palmiro riuscì a ottenere presto il trasferimento a Roma, dove Grazia vide crescere l’ispirazione per la scrittura iniziando a frequentare i più importanti circoli culturali della città e soprattutto le redazioni delle riviste, in particolare quella della Nuova Antologia diretta da Giovanni Cena, compagno dell’intellettuale e femminista Sibilla Aleramo, con la quale la scrittrice sarda strinse un solido e duraturo legame di amicizia.

 

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3. Mamma e letterata

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Grazia Deledda arrivò addirittura ad appoggiare pubblicamente le battaglie della Aleramo, in prima linea nell’alfabetizzazione della campagna laziale e nella rivendicazione del divorzio.

Portò il tema anche nel suo romanzo del 1902, Dopo il divorzio, ambientato nel 1904, quando secondo la finzione narrativa la legge sarebbe stata approvata.

Nel tentativo di incarnare i diritti e gli ideali di giustizia delle donne, Grazia tentò anche la strada della politica, candidandosi nel 1909 alle elezioni politiche nel collegio di Nuoro, sostenuta da un gruppo di intellettuali che si batteva per il diritto al voto delle donne.

Ricevette tuttavia appena 34 voti, a conferma del rapporto contraddittorio che la legava alla sua comunità, critica sulla sua eccessiva apertura al progresso e autonomia.

Sin da adolescente, d’altronde, Grazia aveva deciso di non aspettarsi nulla dagli uomini, ma di contare solo su stessa, mettendo in campo tutte le energie disponibili per tenere separati vita privata e lavoro.

Riuscì così a non fare suoi i valori della donna casalinga dedita esclusivamente alla vita domestica e devota al marito, secondo i canoni del tempo, anche se non adottò quelli del femminismo più estremo. Ciò la rese bersaglio di diffidenza e disprezzo sia dal mondo femminile sia da quello maschile.

Nella foto sotto, Grazia Deledda con il marito Palmiro Madesani e i due figli Sardus (1901-1938) e Franz (1903-1966).

 

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4. La Sardegna nei suoi romanzi e Canne al vento

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Deledda scriveva esclusivamente in italiano, anche se la sua lingua madre era quella sarda, della cui cultura sono intrisi i suoi personaggi.

Altra costante delle sue opere è la nostalgia, molto radicata nella cultura del suo territorio.

Da buona parte della critica letteraria, la sua opera era considerata verista, ma da molti fu additata come regionalista, caratteristica che ha permesso di far luce su un mondo sconosciuto segnato da amori primitivi e destini ineluttabili.

Nel 1903 Deledda pubblicò il suo primo romanzo, Elias Portolu, fondato sulla lotta tra la forza di volontà e quella del destino e sulla battaglia spesso iniqua tra peccato e redenzione. Fu tradotto in diverse lingue e ne decretò il successo internazionale.

L’anno successivo fu la volta di Cenere, dove una madre, desiderosa di offrire un destino migliore a suo figlio, lo abbandona, ma assiste impotente al suo suicidio. Da questo libro fu tratto un adattamento cinematografico di cui fu protagonista la famosa attrice Eleonora Duse nel 1909.

 

Nel 1913, sulla rivista Illustrazione uscì a puntate uno dei più famosi romanzi di Deledda, Canne al vento, poi pubblicato da Treves in volume. La storia, ambientata come sempre in Sardegna, riprende il tema del destino, contro il quale poco o nulla si può.

Le tre sorelle Ruth, Ester e Noemi Pintor vivono nel palazzo della loro nobile famiglia, ormai in declino, rassegnate alla loro condizione e alle rigide regole imposte dal padre, mentre la quarta sorella, Lia, si ribella, fuggendo e sposando uno straniero dalla cui unione nasce un figlio, Giacinto.

Sarà lui a capovolgere i destini di tutti riportando, dopo tante disavventure e traversie che travolgono la famiglia, il sereno. Anche in questo romanzo, oltre al senso di colpa e al peccato, prevale la contrapposizione tra le antiche tradizioni contadine sarde e il mondo borghese continentale, portatore di un nuovo slancio di modernità e di speranza.

Anche nel romanzo del 1919, La Madre, pubblicato a puntate sul giornale Il tempo e nel 1920 come libro per Treves, Deledda tratta il fanatismo e la superstizione di questa terra retrograda, ma va oltre, scavando nella psiche dei protagonisti e approfondendo il rapporto conflittuale tra madre e figlio, un prete che si scopre innamorato di una sua parrocchiana, Agnese.

Il libro ben descrive la lotta perenne tra la sorte già segnata e il desiderio di sfidarla, ma si conclude con la decisione sofferta da parte di Paulo di lasciare Agnese, mentre la madre, che non aveva mai accettato i sentimenti del figlio, muore dalla sofferenza.

 

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5. Arriva il premio Nobel

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Fu proprio grazie al romanzo La Madre che Deledda ricevette la candidatura al Nobel per la letteratura e lo vinse nel 1926.

Le fu attribuito con questa motivazione: «Per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi».

La scrittrice fu ovviamente felice e lusingata di ricevere il prestigioso premio, ma da donna riservata e solitaria qual era, si sentiva preoccupata di dover tenere un discorso ufficiale in occasione della consegna del premio a Stoccolma, detestando parlare in pubblico.

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Si limitò quindi a ringraziare soltanto il re d’Italia, dimenticando, con ogni probabilità volontariamente, il Duce.

Il suo fu uno dei più concisi discorsi della storia e anche uno dei più puntuali. Dieci anni dopo, il 15 agosto 1936, Deledda morì di cancro a Roma.

È sepolta nella chiesa della Madonna della Solitudine a Nuoro, dove la sua casa natale è stata adibita a museo.

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I 6 Nobel della letteratura italiana prima e dopo Deledda: tutti uomini:
- Giosuè Carducci (Valdicastello di Pietrasanta, 1835 – Bologna, 1907) fu il primo italiano a essere insignito del Nobel per la letteratura, nel 1906. Lo vinse in virtù della “purezza dello stile e la forza lirica che caratterizza le sue poesie”.
Carducci

 

- Luigi Pirandello (Agrigento, 1867 – Roma,1936) ebbe il Nobel qualche anno dopo Deledda, nel 1934. In questo caso la motivazione fu “il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale”.
Pirandello

 

- Salvatore Quasimodo (Modica, 1901 – Napoli, 1968) lo vinse nel 1959: “Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”.
Quasimodo

 

- Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981) fu insignito del premio nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.
Montale

 

- Dario Fo (Sangiano, Varese, 1926 – Milano, 2016) vinse il Nobel per la letteratura nel 1997 con la motivazione: “Seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

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