Fare l’inventore è un mestiere ricco di fascino, ma difficile.
In un mondo in cui le grandi innovazioni tecnologiche possono scaturire solo da un intenso lavoro di équipe e da una ricerca scientifica che richiede tempo e investimenti, è sempre più rara la figura del genio solitario in grado di sfornare con le sue sole forze un’idea rivoluzionaria.
Ciò non toglie che restino ampi margini per inventare prodotti, per migliorarli, per ideare nuovi processi industriali o per sviluppare idee commerciali innovative.
Soprattutto per quei giovani con tanta volontà e formazione, dottorandi o ricercatori universitari, che sulla base di un’invenzione possono avviare una start-up.
Questo particolare tipo di azienda deve infatti avere contenuti innovativi, magari fondati proprio sulla proprietà di uno o più brevetti, deve occuparsi di un settore tecnologico di sicuro sviluppo e dedicare una consistente percentuale dei ricavi in ricerca.
Per le start-up con meno di cinque anni il recente “Decreto Sviluppo” ha messo a disposizione 200 milioni di euro, sotto forma di fondi e incentivi.
L’idea è solo l’inizio. Ecco come proteggerla e quanto costa farlo. Tutti i consigli per valorizzare al massimo le proprie invenzioni.
1. Tutelarsi dai “copioni” e come muoversi
Prima ancora di pensare ad avviare un'attività, l’inventore (o gli inventori) deve però occuparsi di proteggere la propria idea, rivendicandone la paternità e la proprietà, per trasformarla in qualcosa di spendibile sul mercato.
In altre parole, deve brevettarla.
Il termine brevetto è usato nel linguaggio comune con un'accezione generica, ma tecnicamente si distinguono quattro tipologie di tutela della proprietà intellettuale: il brevetto vero e proprio, il modello di utilità, il design industriale e il marchio registrato.
Soltanto i primi due si applicano alla sostanza e ai contenuti tecnologici di un prodotto o di un processo, mentre il marchio o il design riguardano il logo o l'aspetto estetico di un oggetto.
Il brevetto protegge un'invenzione con contenuto tecnologico innovativo che, cioè, non sia già stato ideato da nessuno in precedenza. Il modello di utilità è invece una miglioria apportata a un prodotto già esistente.
Facciamo l'esempio di un'invenzione semplice; un ferro da stiro. Se sviluppo un nuovo materiale, una ceramica o una lega metallica, che rende la piastra più scorrevole ho inventato qualcosa di completamente nuovo, che può essere protetto da un brevetto.
Se invece ho realizzato un manico più ergonomico, con comandi più comodi per l'utilizzatore, ho semplicemente migliorato qualcosa che esisteva già e posso applicare il modello di utilità.
Ma come bisogna muoversi? Chiunque voglia registrare un brevetto in Italia, deve passare per l'Ufficio italiano Brevetti e Marchi (www.uibm.gov.it), che fa capo al ministero dello Sviluppo economico e ha il compito di riconoscere la proprietà intellettuale e di proteggerla dalle contraffazioni.
Non si tratta però di un passaggio obbligato, perché è anche possibile decidere di registrare il proprio brevetto all'estero, per esempio all'Ufficio europeo.
Ma per chi vuole contenere inizialmente i costi, la strada più semplice è avviare la pratica in Italia e soltanto in seguito procedere alla registrazione anche in altri Paesi, magari quando si è capito che la propria idea ha un reale valore commerciale.
Qual'è l'iter da seguire?
- L'invenzione viene sottoposta all'ufficio brevetti con una relazione, che deve essere la più esauriente possibile.
- Si articola in un'introduzione che deve inquadrare lo stato della tecnica, facendo riferimento ad altri dispositivi o soluzioni simili già esistenti.
- Poi si passa alla descrizione vera e propria dell'invenzione, indicando quale sia il suo contributo allo sviluppo della tecnica.
- Bisogna anche descrivere in modo dettagliato almeno una forma realizzativa, cioè un'ipotetica versione in cui il prodotto si potrebbe presentare nella realtà. Il tutto, se possibile, accompagnato da disegni o progetti.
Ovviamente, se si parla di un processo industriale e non di un oggetto fisico può essere sufficiente una spiegazione dettagliata.
2. Errori da evitare
In questa fase valgono tre raccomandazioni d’oro, fondamentali per il buon esito della domanda:
- rivolgersi a un professionista e non fare da sé;
- non essere reticenti quando si racconta la propria idea e, soprattutto,
- essere sicuri di non averla mai rivelata a nessuno.
Rivolgersi a un consulente è importante perché la richiesta di brevetto deve essere redatta secondo criteri ben precisi, con una struttura e una sintassi tipiche.
Spesso chi non è abituato a realizzare questi documenti tende a trascurare certi aspetti, per poi scoprire amaramente di non aver sviluppato completamente l'idea, lasciando libero margine ai concorrenti per realizzarla.
La redazione della domanda deve essere l'atto finale di un sincero confronto con il professionista che elaborerà il documento, in cui l’inventore spiega chiaramente che cosa vuole proporre e il consulente solleva una serie di domande e di obiezioni, anche sulla base della propria esperienza.
Non raccontare tutto, e produrre una relazione lacunosa o incompleta, può comportare anche il rifiuto della richiesta da parte dell’ufficio brevetti, con una perdita di tempo e denaro.
In molti si rivolgono ai consulenti pensando di poter tenere nascosti degli aspetti dell’invenzione e non capiscono che si tratta di un errore grossolano.
Del resto, pochi sanno che i professionisti che fanno questo lavoro sono iscritti all'Albo nazionale dei consulenti per la proprietà intellettuale, hanno superato un esame di Stato per svolgere la professione e sono vincolati, proprio come i medici o gli avvocati, al segreto professionale.
Altri inventori arrivano a brevettare un'idea solo dopo averla già sottoposta ad altri, magari in una fiera o ad aziende, perché ne hanno riscontrato l’interesse commerciale.
Anche questo è un errore madornale perché se qualcuno può dimostrare, anche con una foto o un video ripresi in una fiera, che l'invenzione era già nota prima della concessione del brevetto, la tutela decade automaticamente.
3. Idea unica o copiata e valore territoriale
Ma come si può essere sicuri che qualcuno non abbia già avuto prima di noi la stessa idea?
Fino a poco tempo fa, l’Ufficio brevetti italiano non svolgeva un'indagine storica sulle invenzioni proposte: si limitava a fare un controllo formale della domanda e a concedere la tutela per il numero di anni richiesto.
La verifica dell'originalità dell'invenzione si faceva soltanto in tribunale, in caso di contenzioso. In pratica, se il titolare di un brevetto scopriva una copia della propria invenzione faceva causa al contraffattore, il quale poteva a sua volta rispondere con una controcausa di nullità del brevetto.
Soltanto in questo caso il giudice richiedeva un esame storico vero e proprio, al termine del quale prendeva una decisione e si aveva la reale verifica dell'originalità.
Ora, questo problema è stato parzialmente superato in seguito all’accordo definito dall'Ufficio brevetti italiano con quello europeo, che invece effettua la ricerca storica su ogni domanda proposta e, nel caso di dubbi, convoca l'inventore o gli sottopone una serie di obiezioni.
Se l’inventore risponde in modo esauriente si procede alla registrazione del brevetto, altrimenti gli accertamenti proseguono finché tutti i dubbi non sono fugati oppure l’inventore rinuncia.
Non si elimina il rischio di trovarsi in una causa, perché ci possono essere sempre contraffattori o altri inventori che contestano il brevetto, ma il vantaggio, una volta in causa, è di poter esibire al tribunale la ricerca dell'Ufficio europeo e abbreviare i tempi del procedimento.
Questo accordo definito nel 2008, prevede un iter di controllo da parte dell'Ufficio europeo a carico dello stato italiano, senza costi per il richiedente. Se invece si procede direttamente a richiedere un brevetto europeo, questi costi sono sostenuti direttamente dall'inventore.
Non solo. Il brevetto europeo va poi applicato ai singoli stati nazionali, ognuno dei quali ha richieste diverse: per esempio l'Italia esige una traduzione integrale in italiano della richiesta, mentre per altri Paesi non è necessaria.
Tutto ciò va a incidere sul costo finale dell'operazione, che può anche raggiungere cifre molto elevate e può essere calcolato soltanto caso per caso.
Il brevetto è un diritto territoriale, quindi ha valore soltanto nel Paese dove è stato registrato. Se si decide di commercializzare la propria invenzione a livello internazionale, bisogna individuare dove lo si vuole depositare e poi scegliere quale procedura seguire.
La strategia più utilizzata è quella di “bloccare" il brevetto nel proprio Paese d'origine. Chi registra la propria invenzione in Italia ha tempo 12 mesi per estendere i diritti anche all'estero, mantenendo come data di deposito quella della prima registrazione in Italia.
Per brevettare all'estero si può inoltrare domanda in tutti i Paesi che interessano attraverso l'ufficio brevetti locale (quindi, nel nostro caso, quello italiano), ma con costi che possono diventare molto alti.
In alternativa, si può ragionare su base regionale. Nel mondo sono attivi vari uffici brevetti che coprono un certo numero di Paesi associati da accordi commerciali o politici: è il caso dell'Ufficio europeo dei brevetti (Epo, www.epo.org) o dell’Organizzazione africana per la proprietà intellettuale (Oapi, www.oapi.wipo.net) o, ancora, dell’Organizzazione per il brevetto eurasiatico (Eapo, www.eapo.org).
4. Il costo della domanda e le tariffe all’estero
Se il numero di Paesi su cui si vuole estendere il brevetto è troppo ampio per rientrare nelle competenze di una di queste organizzazioni, non resta che seguire il percorso internazionale, che fa capo al Trattato di cooperazione sui brevetti (Pct, Patent cooperation treaty), a cui aderiscono 143 stati.
In questo caso si fa una domanda unica all'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, la Ompi,con sede a Ginevra (www.wipo.int).
La domanda ha un valore preliminare in tutti i Paesi aderenti e dura 30 mesi dalla data di primo deposito. Allo scadere di questo periodo, il richiedente decide dove portare avanti la domanda e quindi sostenere i costi di applicazione nazionali del brevetto, che sono estremamente variabili.
Per fare un esempio riguardante le domande Pct, il solo inoltro della pratica ha un costo di 1.330 franchi svizzeri (1.094 euro), che però aumenta di 12 euro a pagina per tutte le pagine oltre le prime 30.
Ci sono poi un costo di trasmissione, che varia per ogni Paese (per esempio in Italia è di 30,99 euro) e un costo aggiuntivo per la ricerca storica sui brevetti già depositati, che ammonta a 1.875 euro, cui si possono aggiungere altri 1.875 euro se si rendono necessarie ricerche supplementari.
Insomma, come minimo il percorso Pct comporta un esborso iniziale di 3.000 euro per una richiesta entro le 30 pagine di descrizione dell'invenzione. Ma se il brevetto è complesso, e richiede per esempio 200 pagine di spiegazione, la spesa sarà di oltre 5.000 euro.
L'esborso per il brevetto italiano, che vale naturalmente solo sul territorio nazionale è, tutto sommato, contenuto. Chi decide di tutelare una propria idea deve trovare una buona società di consulenza e farsi fare un preventivo da un operatore del settore.
Può poi depositare la domanda all'Ufficio Marchi e Brevetti a un costo di circa 3.000 euro, che prevede la tutela per 4 anni. Si può però decidere di estendere il brevetto a un tempo più lungo fino a un massimo di 20 anni, con una tassa che cresce di valore con il passare del tempo.
Questo meccanismo di tassazione a salire si spiega con il rapporto di reciproco beneficio che si instaura tra lo Stato e l'inventore: da una parte lo Stato garantisce la protezione dell'idea e dall'altra riceve in cambio un contributo, da parte dell'inventore, allo sviluppo tecnologico del Paese.
Ma quali sono le tariffe all’estero? Al decadere della tutela l’idea diventa di pubblico dominio e, quindi, quanto più a lungo l'inventore vuole mantenere l'esclusiva, tanto più dovrà pagare allo Stato.
Negli Stati Uniti, per fare un paragone con i costi italiani, si pagano invece 625 dollari per depositare la domanda, altri 870 dollari quando il brevetto viene rilasciato e un'imposta di mantenimento del brevetto che costa 565 dollari al compimento del terzo anno e mezzo, 1.425 dollari dopo 7 anni e mezzo e 2.365 dollari dopo 11 anni e mezzo dal primo deposito.
5. Cosa non si può tutelare e le 4 forme di protezione dell'idea
- Cosa non si può tutelare
* Le scoperte (per esempio di un nuovo elemento chimico).
* Le teorie scientifiche e i metodi matematici (Pitagora non avrebbe mai potuto brevettare il suo celeberrimo teorema, così come Darwin non avrebbe potuto avanzare diritti di proprietà sulla teoria dell’evoluzione).
* I piani e i metodi per attività intellettuali, commerciali e per il gioco (come per esempio una tecnica di vendita o una procedura per scrivere un libro).
* I software in quanto tali (si possono però brevettare i processi innovativi consentiti dai software, come un sistema di controllo a distanza).
* La presentazione di informazioni (come per esempio tabelle, formulari).
* Le invenzioni contro l’ordine pubblico.
* Le razze animali e vegetali.
* I metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale (questo divieto vale in Europa, ma non per esempio negli Usa e riguarda solo le metodologie e non gli strumenti necessari per applicarle). - Le 4 forme di protezione dell'idea
- Brevetto
Tutela l’invenzione, cioè l’ideazione di un prodotto, di un procedimento o di un servizio totalmente nuovi.
- Modello di utilità
Protegge le migliorie a un prodotto già esistente, che non costituiscono quindi un’invenzione vera e propria.
- Design industriale
Riconosce l'unicità dell'aspetto estetico di un determinato prodotto, per esempio la carrozzeria di un’auto, un giocattolo, un accessorio di moda o un oggetto d’arredo. Si ottiene attraverso la presentazione di un disegno bidimensionale o di un modello tridimensionale.
-Marchio
Protegge la proprietà di un logo, cioè di un segno che distingue i prodotti di un’azienda dagli altri. Riguarda il nome ma anche il carattere tipografico usato o i colori. - Quanti brevetti in Italia?
In Italia non siamo particolarmente prolifici in fatto di innovazione. Secondo i dati della Wipo, l'organizzazione mondiale che raccoglie i dati di tutti gli uffici brevetti nazionali, a fronte di 92.823 richieste di registrazione di marchi, abbiamo circa 9.600 richieste di brevetto (dati 2015, confermati nel 2016), 2.456 applicazioni per il modello di utilità e 1.368 domande di protezione di design industriale.
Per quanto riguarda i brevetti veri e propri, quelli che indicano la reale propensione all'innovazione tecnologica di un Paese, non figuriamo nemmeno tra i primi 15 del mondo, preceduti da colossi come Stati Uniti, Cina, Giappone o Germania, ma anche da Canada, India, Messico, Hong Kong.
Più o meno l’Italia sviluppa in un anno la stessa quantità di brevetti di Singapore, che ha una popolazione complessiva di circa 5 milioni di persone, contro i nostri 60 milioni.