Heinrich Schliemann: sulle tracce di Omero

Proprio all’ingresso dello Stretto dei Dardanelli, dove l’Egeo si incontra con il Mar Nero, a pochi chilometri dalla costa si erge una collina alta circa 40 metri, chiamata Hissarlik.

Nel 1868 un ricchissimo uomo d’affari, archeologo dilettante, dopo aver girato in quella zona con l’Iliade in mano, si ferma proprio lì: è convinto che nel sottosuolo di Hissarlik troverà i resti della leggendaria Ilio (il nome greco di Troia) cantata da poeta Omero.

Da tempo si sapeva che la zona dove poteva essere sepolta la rocca di Troia si trovava nel Nord-Ovest della Turchia, vicino ai Dardanelli. Ma Heinrich Schliemann, che allora aveva 46 anni e prendeva alla lettera ciò che aveva tramandato Omero, era certo che quello fosse il posto.

Anche perché, arrivato in Turchia, aveva conosciuto Frank Calvert, console onorario americano, fine collezionista e proprietario di metà di Hissarlik: a casa sua aveva notato manufatti molto antichi trovati proprio scavando quella collina.

Doveva solo convincere l’amico a vendergli la sua parte del prezioso luogo: con le autorità ottomane per l’altra metà della collina, se l’era già vista lui.

1. VIA CON GLI SCAVI

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Inutile dire che Schliemann ottenne ciò che voleva (Calvert era travolto dai debiti e aveva bisogno di soldi).

Così, nel 1870, l’uomo che parlava 15 lingue tra cui il greco antico, nato in Germania ma all’epoca cittadino americano, iniziò a scavare, con ben 100 uomini a disposizione.

Sulla base dell’Iliade, Schliemann era convinto che la città dove secondo Omero era fuggita Elena, la donna più bella del mondo, si trovasse negli strati più antichi, sulla roccia madre della collina.

Così, decise di tagliare il corpo dell’altura con trincee lunghe più di 40 metri e profonde fino a 17, per arrivare al più presto agli strati che riteneva più importanti. Ma con un taglio così profondo, oggi noto come Trincea Schliemann, inevitabilmente distrusse molto.

La collina di Hissarlik (foto sotto) celava infatti ben nove città stratificate una sopra l’altra, dall’Età del bronzo fino alla tarda antichità.

La Troia della celebre guerra (combattuta verso il 1250 a.C. o intorno al 1190 a.C.) è probabilmente nello strato chiamato Troia VI, e non nel II, come Schliemann credeva perché vi trovò molte tracce di incendi.

Siccome poi, tra la fine del 1870 e l’inizio del 1871, l’archeologo-avventuriero trovò le metope di un grande tempio di Atena, la dèa che ha un ruolo chiave nel poema omerico, si persuase di avere finalmente intercettato il livello di Ilio.

2. IL TESORO

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Il 31 maggio del 1873, all’imbrunire, Schliemann fece la scoperta che entrò nella Storia: trovò quello che chiamò Tesoro di Priamo, attribuendolo al leggendario re di Troia.

Subito dopo lo riseppellì nel timore che qualcuno dei suoi uomini potesse rubarlo.

In effetti il “bottino” poteva far gola: 4 vasi d’oro e 5 d’argento, 3 diademi, 50 orecchini e migliaia tra anelli e borchie d’oro, un grande scudo e 7 spade di rame, 7 lame d’argento, 13 punte di lancia di bronzo.

Non poco, per gente avida. Schliemann tornò quindi nella notte con la moglie (foto sotto) e mise al sicuro tutte le incredibili opere di oreficeria, che già nell’estate 1873 vennero portate nella sua grande casa di Atene, e che tra mille peripezie sono arrivate sino a noi.

Il 31 maggio 1873 Schliemann inviò a due importanti quotidiani, uno tedesco e uno inglese, la dichiarazione di aver trovato l’Oro di Troia. Scrisse di aver trovato una casa sotto una massa di cenere rossa e successivamente di aver iniziato a vedere gioielli sempre più belli.

Fuori dalla casa aveva scoperto anche uno scheletro. Suppose quindi che le ossa appartenessero a un uomo che aveva cercato di scappare dall’incendio della città con la cassetta del tesoro, e di aver rinvenuto l’ultima testimonianza di Priamo e della sua corte. Un’immagine che destò molta suggestione.

Ma probabilmente quando fece questa dichiarazione mediatica aveva messo insieme tutto quanto aveva trovato negli scavi precedenti. In ogni caso, la scoperta ebbe un’eco enorme e sembrò dimostrare che Omero aveva raccontato una guerra vera.

Oggi però sappiamo che quel tesoro non poteva appartenere al re troiano: è stato infatti datato a circa mille anni prima la presunta epoca della Guerra di Troia.

3. MITO E VERITÀ

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La futura star dell’archeologia continuò gli scavi di Troia nel 1878 e nel 1879, nel 1882 e nel 1890, scoprendo qualcosa come 10mila pezzi in tutto.

Per essere un dilettante, se la cavava bene. Forse perché, come racconterà lui stesso, era mosso da una vera passione.

Da piccolo il padre gli aveva donato un libro sui miti greci, con una copertina che gli era rimasta impressa: vi era illustrato Enea che fuggiva da Troia in fiamme con il vecchio Anchise sulle spalle.

E sempre il padre, un pastore protestante che si occupava anche dell’istruzione dei suoi figli, gli lesse l’Iliade e l’Odissea, affascinandolo.

Non è però del tutto vero che Schliemann, nato povero in un piccolo paese del Mecleburgo, diventò dal nulla un uomo d’affari ricchissimo per poter materializzare il sogno di trovare Troia.

Questo è quello che scrisse nella sua autobiografia del 1881, all’apice del successo, ovviamente in modo un po’ romanzato. In realtà si era trasformato in un self made man di gran successo perché voleva progredire socialmente.

Divenne un viaggiatore instancabile e un uomo colto, ma quando tornò in Europa gli aristocratici e gli studiosi del tempo lo consideravano poco più di un parvenu. Aveva bisogno di compiere un’impresa eccezionale per essere celebrato dagli uni e agli altri.

L’epoca era propizia. In quello stesso periodo erano stati ritrovati gli antichi insediamenti di Ninive e Babilonia, le favolose città raccontate anche nella Bibbia. Così, gli tornò in mente il suo entusiasmo per Omero ed ebbe la geniale intuizione di ripercorrerne i passi per dimostrare che luoghi, guerre ed eroi potevano essere realmente esistiti.

Generazioni e generazioni di letterati e studiosi si erano formati studiando Iliade, Odissea ed Eneide di Virgilio, dal Medioevo in poi. Ma a parte alcuni viaggiatori inglesi all’inizio dell’Ottocento, nessuno era andato a scavare nell’Asia Minore.

4. VIAGGIO A MICENE

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Dopo aver portato alla luce il cosiddetto Tesoro di Priamo, Heinrich si recò nel Peloponneso con un nuovo obiettivo: scovare i resti degli Atridi, la dinastia greca di Agamennone.

Si sapeva già dove sorgesse Micene, di cui erano state trovati resti di mura e tombe.

Sulla gloriosa città greca, oltre ad Omero, aveva scritto il geografo greco Pausania, che la visitò nel II secolo d.C. e che riferì di molte tombe monumentali (le tholoi, tombe a forma circolare cui si accedeva da un lungo corridoio), depredate nella maggior parte dei casi.

Nella foto sotto, la Porta dei Leoni, l'entrata monumentale della rocca di Micene (1250 a.C. circa).

Pausania le aveva attribuite ai personaggi del mito: Clitennestra, Agamennone, Egisto. Schliemann, prendendo per buone le parole di Pausania, che parlava di cinque tombe reali, nel 1876 iniziò a compiere scavi.

E senza alcuna esitazione riconobbe nel circolo funerario il Tesoro di Atreo, ovvero la tomba di Agamennone, il capo supremo degli Achei nell’omerica narrazione della guerra di Troia. 

Scavando scavando, tra i ricchi corredi delle sei tombe rinvenute (che contenevano 19 corpi) trovò un gran numero di armi e gioielli, e diverse maschere mortuarie in oro, tra cui la cosiddetta “maschera di Agamennone” (foto sotto), chiamata così da Schliemann perché la attribuì al mitologico re di Micene.

Ma anche in questo caso si sbagliava: si trattava di tombe di nobili micenei sepolti 400 anni prima dei presunti fatti narrati da Omero.

Eppure, le fonti antiche per lui rimasero la bussola delle sue ricerche archeologiche: Omero, Pausania e poco prima di morire il grande storico Erodoto, con gli scritti del quale tornò in Grecia alla ricerca dei luoghi della leggendaria battaglia delle Termopili.

Nella foto sotto, la tomba di Heinrich Schliemann al Primo cimitero di Atene.





5. FUNERALE MODELLO

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Al di là delle scoperte di Schliemann, è vero che l’Iliade fornisce preziose informazioni sui riti funerari dei Greci arcaici.

Nel XVII canto si combatte per un’intera giornata per recuperare il cadavere di Patroclo, l’amato amico di Achille, rimasto in mano ai Troiani.

Il re Menelao esorta i suoi a restituire agli Achei almeno il corpo nudo del giovane, dato che Ettore, il principe troiano che l’aveva ucciso, l’aveva spogliato delle armi.

La descrizione del funerale di Patroclo è un’enorme messe di particolari su come si diceva addio a un nobile guerriero di epoca micenea. Sotto, "I funerali di Patroclo" di Jacques-Louis David, 1778.

L’Iliade descrive l’intero rituale: il banchetto; la preparazione della pira accanto alla quale vengono sacrificati diversi animali e 12 troiani; la disposizione di otri di miele e olio; il taglio dei capelli dei guerrieri greci in segno di lutto; la deposizione delle ceneri in un’urna d’oro.

Alla fine del funerale Achille organizza gare sportive cui partecipano i capi achei. Quanto alle numerose armi trovate nelle tombe micenee, dimostrano che era una società guerriera: la Grecia dei piccoli regni, pronti a combattersi l’un altro, evocata nei poemi omerici.

Le fonti letterarie, continuano a parlarci. Omero fa davvero da guida per la ricostruzione della Grecia delle origini, ancora oggi.

Sotto, la “tomba di Agamennone” (Micene), chiamata così dall’archeologo tedesco, che la scoprì.








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