Per oltre trent’anni tra il 1957 e il 1978, migliaia di europei occidentali e nordamericani lasciarono casa e lavoro e intrapresero un viaggio.
La meta? L’Oriente, in particolare India e Nepal.
Mezzi? Qualsiasi: treni, pullman, autobus, mezzi propri o l’autostop. L’importante era mettersi in viaggio su quello che è stato definito il “sentiero hippie”.
La parola “hippie” ha origine dallo slang afro-americano dell’inizio del XX secolo. Deriverebbe da hip o hep, “al passo coi tempi, aggiornato”. Il termine iniziò a essere usato negli USA dal 1965 e due anni dopo era già diffuso in Inghilterra.
Il suo utilizzo radicò a San Francisco, la città californiana dove dalla seconda metà degli anni ’60 si stabilì un numero crescente di giovani “che si rifiutavano di svolgere lavori ordinari e non facevano altro che immergersi nella nuova musica psichedelica, nelle spiritualità alternative, nella stampa underground e nelle sostanze allucinogene”.
Questi ragazzi venivano definiti “la comunità hip”, che in breve divenne “hippie”.
1. Verso la libertà con un famoso servizio di trasporti
Come raccontano Sharif Gemie e Brian Ireland, co-autori di Hippie Trail. Una generazione in viaggio 1957-78 (Odoya Editore), questa esperienza ha coinvolto uomini e donne sui 20-30 anni, che aspiravano a qualcosa di diverso da quanto offriva loro la società in cui erano cresciuti e della quale spesso contestavano i capisaldi.
Ad esempio, la famiglia: gli hippie, infatti, erano a favore dell’amore libero, svincolato dalle regole della società classica che prevedevano il matrimonio come unica forma di unione per una coppia.
In realtà, era l’intera società a essere finita nel loro mirino: peace&love, pace e amore, assieme a fratellanza e libertà personale, erano le parole d’ordine di questa nuova filosofia di vita nella quale, nel 1968, si riconosceva poco meno dello 0,2 per cento della popolazione degli USA, cioè circa 400mila persone.
Sul piano politico, la decisa presa di posizione contro la Guerra in Vietnam (1955-1975) e la contestazione dello status quo accomunavano questi giovani americani ed europei, spinti sul “sentiero hippy” da una sana sete di avventura, dal desiderio di vedere qualcosa di diverso e scoprire il mondo o anche per approfondire la propria spiritualità o per provare nuove droghe.
Il viaggio non era sempre facile e bello perché prevedeva passaggi in zone a rischio come l’Iran e l’Afghanistan. Erano molti i pericoli che mettevano a repentaglio la vita dei viaggiatori: solo per citarne alcuni, rivoluzioni, carestie, banditismo, malattie tropicali, disastri naturali e schermaglie di confine.
Per rintracciare l’inizio di questa avventura occorre risalire al 1957 e fare la conoscenza di un certo Paddy Gallow-Fisher, ex ingegnere dell’aeronautica inglese che viveva in India.
La sua vita sarebbe passata nel più completo anonimato, se non fosse stato perché proprio quell’anno decise di trasformare il suo furgone in un autobus per trasportare i viaggiatori dall’Inghilterra all’India.
Nacque così il servizio di trasporti Indiaman, inaugurato con il primo viaggio Londra-Delhi a Pasqua 1957. Visto l’alto numero numero di richieste, già a settembre Gallow-Fisher organizzò il secondo viaggio e ben presto il suo Magic Bus divenne un punto di riferimento per tutti gli europei desiderosi di raggiungere l’India.
Ovviamente anche altre agenzie fiutarono l’affare e misero a disposizione i propri mezzi, ma Indiaman rimase un mitico sinonimo di viaggio, libertà e scoperta.
2. L’importanza del passaparola
Il romanzo che più di ogni altro ispirò migliaia e migliaia di giovani è Sulla strada, di Jack Kerouac.
Qui l’autore descriveva “un nuovo modo di viaggiare e di concepire il viaggio”, cioè proponeva una concezione alternativa al classico viaggio organizzato basata soprattutto sulle esperienze di quanti avevano già fatto lo stesso itinerario e potevano fornire consigli a chi si apprestava a partire.
«Era a suo modo un viaggio facile», racconta nel suo Viaggio all’Eden. Da Milano a Kathmandu (Laterza) Emanuele Giordana, oggi giornalista, ai tempi hippie, che viaggiò per sei mesi dal capoluogo lombardo al Nepal nel 1974, «costava poco perché era fatto in assoluta economia e sfruttava la solidarietà del gruppo e della gente che s’incontrava per strada».
A quei tempi c’era anche la guida Bit, nata nel 1972 per raccogliere le esperienze dei viaggiatori.
Sulla strada (titolo originale On the Road) è un libro che ha ispirato generazioni e generazioni di giovani a mettersi in viaggio e affrontare l’avventura in totale libertà.
Scritto nel 1951 dallo scrittore statunitense Jack Kerouac (1922-1969), si basa sul viaggio in autostop attraverso gli Stati Uniti che l’autore intraprese nel 1947, all’età di 25 anni, in compagnia dell’amico Neal Cassady.
Scritto nel 1951 in appena tre settimane, On the Road venne rifiutato da diverse case editrici fino a quando, nel 1957, venne pubblicato dalla Viking Press. Il successo fu immediato e presto Kerouac divenne il punto di riferimento della cultura giovanile degli anni Sessanta.
Nel 2012 il regista Walter Salles ha diretto On the road, adattamento cinematografico del libro con Sam Riley nella parte di Jack Kerouac e Garrett Hedlund, che interpreta Neal Cassady (foto sotto).
3. Ricerca spirituale... e droghe da provare
Ma cosa facevano gli hippie una volta giunti a destinazione?
Chi era preso da un bisogno di spiritualità non aveva che l’imbarazzo della scelta fra le “migliaia di siti religiosi in India”, sia indù sia buddisti, e la magia di Kathmandu, capitale del Nepal.
Il Buddismo, in particolare, veniva percepito come una filosofia di crescita e illuminazione, un percorso che conduceva alla “pace interiore”.
Un viaggio spirituale che poteva avvalersi anche degli insegnamenti di alcuni dei più noti guru indiani come Paramahansa Yogananda, Jidhu Krishnamurti, Swami Prabhavananda, Maharishi Mahesh Yogi (il mistico e filosofo fondatore della meditazione trascendentale che ebbe tra i suoi discepoli personaggi illustri come i Beatles o l’attrice Mia Farrow) o il più pittoresco e famoso Sai Baba, “un mistico indù in grado di compiere materializzazioni e guarigioni”.
Per altri, invece, il viaggio verso l’Asia rappresentava un’occasione per sperimentare ben altre esperienze. A Kathmandu, ad esempio, la maggior parte degli hippie soggiornava all’hotel Quo Vadis: “Qui le stanze erano gratis, per cui l’albergo era pieno di gente. Il proprietario si guadagnava da vivere attraverso la vendita legale di hashish e oppio”, scrivono Gemie e Ireland.
Alla metà degli anni ’60, in Occidente, e soprattutto negli Stati Uniti, la diffusione delle droghe come allucinogeni, cannabis, canapa indiana omarijuana, LSD e mescalina conobbe un notevole incremento e “molti di coloro che avrebbero poi viaggiato sul sentiero hippie avevano fatto uso di droghe già nelle loro città di origine”.
Nella filosofia hippie, infatti, l’impiego di tali sostanze liberava la mente e apriva nuovi orizzonti, permettendo quelli che venivano definiti trip, cioè viaggi mentali psichedelici durante i quali i soggetti sperimentavano allucinazioni e alterazioni della realtà.
Per chi voleva approfondire la conoscenza degli stupefacenti, dunque, il viaggio verso l’Oriente metteva a disposizione alcune delle zone più produttive di diverse sostanze: l’Afghanistan, ad esempio, era il “regno” degli amanti dell’hashish e al mercato di Kabul era decisamente semplice trovare “oppio, eroina, cocaina” a prezzi estremamente convenienti.
4. Luoghi distanti da casa ma tutto finì prima degli Anni 80
Un’ultima ragione che poteva spingere un giovane a salire su un pullman diretto verso l’Oriente era anche la semplice, ma irrefrenabile voglia di visitare luoghi distanti e ammirarne le bellezze naturali e architettoniche, come il gettonatissimo Taj Mahal ad Agra (India settentrionale), tra le mete più apprezzate degli hippie turisti.
L’obiettivo era quello di conoscere territori nuovi e interagire con le popolazioni locali alla ricerca di un contatto con la gente comune.
Un incontro tra culture distanti che avveniva nei mercati delle città o anche sui mezzi di trasporto locali, come ad esempio sui treni indiani, dove gli hippie spesso diventavano oggetto di curiosità e non di rado erano sottoposti a raffiche di domande anche a causa del loro abbigliamento stravagante: jeans a zampa di elefante o lunghe gonne colorate abbinate a grandi camicie a fiori (dai cui il soprannome “figli dei fiori”) o magliette con disegni innovativi per l’epoca erano infatti la loro “divisa” abbinata a collane o bracciali dalle forme stravaganti.
Dopo anni di successo, verso la fine degli anni ’70 il sentiero hippie iniziò a essere meno frequentato e la sua fine fu segnata dalla rivoluzione iraniana del 1978-79.
Gli avvenimenti geopolitici infatti determinarono la chiusura della frontiera turca con l’Iran, impedendo ai viaggiatori il passaggio più frequentato per arrivare in Afghanistan e Pakistan.
“Non esistevano altri percorsi via terra: a nord c’erano le repubbliche sovietiche, ostili e blindate; a sud il Golfo Persico”, si legge infatti nel libro di Gemie e Ireland.
Con il passare degli anni e l’intensificarsi delle guerre in quei territori venne anche meno l’idea alla base dei viaggi hippie, quella cioè di abbandonare la vita occidentale alla ricerca di una pace materiale e spirituale in Oriente. La via “peace &love” aveva lasciato posto ai conflitti e il sogno hippie svaniva dopo due decenni di viaggi.
5. Le loro avventure al cinema e a teatro e le guide Lonely Planet
- Le loro avventure al cinema e a teatro
La cultura hippie ha ispirato alcuni dei film più importanti della storia cinematografica: come Easy Rider, film del 1969 diretto da Dennis Hopper, che è anche uno dei protagonisti assieme a Peter Fonda e Jack Nicholson.
Premiato come miglior opera prima al Festival di Cannes del 1969, racconta l’avventuroso viaggio da Los Angeles a New Orleans (Louisiana) dei due protagonisti a bordo delle loro motociclette.
Più politicamente impegnato (soprattutto per la dichiarata opposizione alla guerra nel Vietnam) è invece Hair, nato come musical nel 1967, scritto da James Rado e Gerome Ragni con musica di Galt MacDermot, e divenuto famoso nel 1979 nel suo adattamento cinematografico firmato dal regista Miloš Forman (foto sotto).
- Le guide Lonely Planet furono inventate da una coppia di hippie
Tony e Maureen Wheeler (foto sotto), sono i coniugi inglesi che hanno inventato le guide turistiche più famose al mondo: le Lonely Planet.
Across Asia on the Cheap, la prima guida di viaggio scritta proprio da loro, è infatti il resoconto delle esperienze fatte sul sentiero hippie nel 1972.
Il viaggio cominciò a Londra a bordo di uno sgangherato furgone e terminò a Sydney nove mesi più tardi, dopo l’attraversamento di Balcani, Turchia, Iran, Pakistan, India, Nepal, Thailandia, Malaysia e Indonesia con autobus scassati, treni e camion in autostop.