Non stupisce il fatto che alcuni potenti della Storia si siano macchiati le mani di sangue, vessando e trucidando migliaia dei loro stessi sudditi.
Quel che sbalordisce è l’estrema varietà dei crimini perpetrati nei secoli dall’alto dei troni o al sicuro dei palazzi presidenziali.
Spesso si trattò di crudeltà scaturite più dal capriccio o dalla follia che dalla necessità di mantenere il potere a ogni costo. Comunque sia, quasi sempre traspare una certa dose di malvagità gratuita.
Abbiamo raccolto 10 brevi ritratti di sovrani, dittatori e condottieri che la Storia ha bollato come esecrabili e relegato nella lista nera dei grandi criminali.
Abbiamo volutamente escluso i nomi di Hitler e Stalin, le cui azioni disumane sono fin troppo note, per fare posto a personaggi meno conosciuti o più lontani nel tempo.
Perché ogni epoca, popolo e latitudine ha avuto sul trono i suoi piccoli o grandi demoni.
1. Caligola e Attila
1) Caligola, quando la malvagità è malattia
Secondo quanto leggiamo negli scritti di Svetonio e Dione Cassio, durante i suoi quattro anni di regno, dal 37 al 41 d.C., Gaio Giulio Cesare Germanico fece davvero di tutto per assicurare al suo nome la peggior fama possibile.
Passato alla Storia con il soprannome di Caligola, per l’abitudine di indossare i sandali militari, detti caligae, il terzo imperatore di Roma si proclamò dio vivente.
Pare che pretendesse di essere chiamato Neos Helios, il “Nuovo Sole’’, ed era solito mandare a morte gli avversari politici obbligando i loro parenti ad assistere all’esecuzione.
Costrinse le tre sorelle a intrattenere rapporti incestuosi con lui, mentre obbligò la sua amante, Ennia Trasilla, suo marito e i suoi figli a togliersi la vita.
In un gesto più folle che crudele, avrebbe eletto senatore il suo amatissimo cavallo Incitatus o, più probabilmente, si accontentò di nominarlo console.
Un’altra stravaganza riguarda i bagni nell’oro e le mense dei banchetti apparecchiate con corni aurei, in cui l’imperatore beveva perle naturali disciolte nell’aceto.
Non stupisce scoprire che il suo regno terminò con trenta coltellate, inferte da un gruppo di congiurati che favorirono l’ascesa al potere di Claudio.
Alcuni degli episodi tramandati furono certamente ingigantiti dagli avversari politici di Caligola, che inizialmente meritò i favori del popolo in virtù di una condotta politica accorta e tollerante.
La situazione cambiò drammaticamente in seguito a una malattia (forse una complicazione dell’epilessia) che ne compromise la sanità mentale, accentuando un carattere instabile e irascibile e moltiplicando gli accessi d’ira e di violenza.
Che siano stati o meno amplificati ad arte dai suoi detrattori, questi aneddoti contribuirono a definire il prototipo del tiranno crudele.
2) Attila, l'odio genera flagelli
Quando si parla di violenza, è difficile superare la fama di Attila, l’Unno. Nato intorno al 406 d.C. nel Caucaso, come tutti i bambini della sua gente a 5 anni era già in grado di cavalcare e di usare arco e frecce.
Dopo aver trascorso l’infanzia a Ravenna come ostaggio a garanzia del trattato di pace tra il suo popolo e Roma, Attila tornò tra gli Unni insieme al fratello Bleda, che nel frattempo era succeduto allo zio Rua.
Cominciò a compiere razzie, aggredire le carovane di mercanti, mettere a ferro e fuoco le città. Ma era solo che l’inizio: nel 445, Bleda morì e Attila prese il suo posto sul trono degli Unni, pronto a rivolgere lo sguardo verso l’odiatissima Roma.
La sua calata nella penisola italica fu contrassegnata da massacri e violenze inaudite. Le conquiste di Attila si concludevano spesso con torture e uccisioni di massa.
Quando, dopo un lungo assedio, prese la città di Aquileia, la rase al suolo, cancellando ogni traccia della sua presenza.
Morì nel 453, letteralmente affogato nel suo sangue, vittima di un banale attacco di epistassi notturna.
2. Ivan il Terribile e Tamerlano
3) Ivan il Terribile, la tortura come arma politica
Ivan IV, detto poi il Terribile, granduca di Mosca prima, poi zar di tutte le Russie, concentrò la sua attività politica sulla riorganizzazione del regno, sia da un punto di vista militare che economico.
Ridimensionò il potere dei membri dell’alta nobiltà russa, i boiardi, che fino a quel momento avevano condotto una sotterranea guerra di potere.
Al di là delle ragioni politiche, Ivan aveva altri validi motivi personali per combattere la nobiltà russa.
Rimasto orfano nel 1538, all’età di otto anni, aveva avuto modo di sperimentare in prima persona la crudele ambizione dei boiardi, potendo contare solo sull’aiuto del futuro metropolita Macario.
Ivan cominciò a mostrare la sua indole appena quattordicenne, quando assistette impassibile allo strangolamento del capo della famiglia Sujskij, da lui stesso commissionato.
Dopo un’adolescenza punteggiata da episodi di violenza, e durante i quali i suoi sbalzi d’umore divennero sempre più repentini e temibili, egli divenne finalmente zar.
Fu, anzi, il primo a potersi fregiare di tale titolo e si dedicò all’eliminazione sistematica degli avversari politici con una creatività degna di miglior causa.
«Faceva sbranare dai cani gli avversari, divorare i monaci ribelli da orsi selvaggi tenuti in gabbia», racconta il giornalista Piero Citati, «stuprava ragazze e donne sposate... massacrava chi si rifiutava di danzare con lui ad un ballo mascherato, fece arrostire i corpi degli abitanti di Novgorod... fece stringere i figli alle madri per poi gettarli nel fiume, mentre i suoi uomini in barca trapassavano con le lance coloro che risalivano a galla, tagliava a strisce la pelle degli interrogati».
Il tutto veniva però intervallato da pellegrinaggi presso i monasteri per chiedere perdono a Dio.
4) Tamerlano, un uomo da perdere la testa
Confrontando le diverse fonti che ne fanno menzione, Tamerlano, il cui vero nome era Timor i-lang, o Timur lo Zoppo, emerge come una delle personalità più contraddittorie ed enigmatiche dei suoi tempi.
Nato a Samarcanda nel 1336, venne descritto come un uomo dal carattere mite e generoso, protettore di artisti e poeti, ma allo stesso tempo un condottiero spietato e capace dei gesti più crudeli.
In poco più di trent'anni di guerre, riuscì a governare un impero che dalla Mesopotamia arrivava fino all’India, ma anche a crearsi una terribile fama, soprattutto tra le popolazioni ebree e cristiane che ebbero la sfortuna di affrontarlo.
Si narra che, dopo la presa di una città che si era arresa senza opporre resistenza, Tamerlano abbia comunque ordinato la decapitazione di circa 100 mila abitanti.
Doveva avere una certa predilezione per le teste dei nemici, visto che dopo la conquista di Aleppo, in Siria, ordinò di utilizzarle per erigere piramidi alte fino a cinque metri.
A Damasco, poi, avrebbe fatto rifugiare migliaia di cittadini nella moschea cittadina, promettendo loro di avere salva la vita, per poi far sigillare le porte dell’edificio e appiccare il fuoco, bruciando vivi gli occupanti.
3. Leopoldo II del Belgio e Francisco Macías Nguema
5) Leopoldo II del Belgio, l'inferno in Africa
Pochi uomini hanno ricevuto dalla Storia un giudizio così severo come il re del Belgio Leopoldo II, al punto da essere indicato come l’autore di uno dei peggiori crimini degli ultimi secoli.
Nascondendosi dietro la patina di filantropo e promotore della conoscenza e dello sviluppo scientifico, Leopoldo, di fatto, costruì in Africa un impero coloniale personale, fondando lo Stato Libero del Congo.
Nel 1865, sfruttando le capacità del celebre esploratore inglese Henry Morton Stanley, riuscì a mettere le mani su un territorio enorme, quasi ottanta volte più esteso del Belgio.
E sulle sue ricchezze, rappresentate inizialmente dall’avorio e di altre materie pregiate, ma ben presto dal caucciù, per ottenere il quale il re non esitò a impegnare per intero la popolazione indigena, trasformando i suoi sudditi in veri schiavi che lavoravano senza percepire compenso.
Anzi, erano sottoposti alle angherie di un esercito di circa 16 mila mercenari, pronti a punire in modo spietato ed esemplare chi non consegnasse abbastanza caucciù.
Si arrivò al punto di amputare gli arti a chi non riusciva a raggiungere la quota minima di materia prima: si calcola che, tra il 1880 e il 1920, la popolazione del Congo venne dimezzata.
Leopoldo era conscio degli orrori commessi: quando, nel 1908, fu finalmente costretto a cedere la colonia al Governo del suo Paese, dichiarò: «Regalerò il mio Congo ai belgi, ma costoro non potranno sapere quel che vi ho fatto».
6) Francisco Macías Nguema, lo sterminatore nero
L'Africa Nera ha conosciuto un gran numero di dittatori crudeli, da Amin i Dadà a Bokassa, ma Francisco Macías Nguema ha pochi concorrenti nel macabro conteggio delle vittime inflitte da un uomo politico al suo stesso Paese.
Proveniente da una famiglia povera, divenne il primo presidente della Guinea Equatoriale nel 1968, quando gli spagnoli tolsero le tende da una delle loro colonie africane.
Nguema non organizzò mai elezioni, e nel 1972 si dichiarò addirittura presidente a vita.
Si fece subito conoscere come un ladro di proporzioni notevoli: gran parte delle ricchezze del suo Paese veniva custodito in valigie nascoste sotto il suo letto, pronte per essere portate via in caso di colpo di Stato.
Nguema non si limitò a rubare, ma uccise o costrinse all’esilio un terzo dei suoi compatrioti, ossia 100 mila persone circa.
Proprio come Pol Pot, detestava gli intellettuali, che perseguitò con particolare ferocia, e fece predisporre un campo di concentramento tanto disumano da essere definito “una Dachau preindustriale”. Le vittime della sua dittatura furono almeno 50 mila.
Nguema fu giustiziato dal nipote, Teodoro Obiang Mbasogo, che lo rovesciò nel 1979 con un colpo di Stato e si trova tuttora al governo della Guinea Equatoriale. Purtroppo, anch'egli di è dimostrato un feroce tiranno.
4. Mátyás Rákosi e Augusto Pinochet
7) Mátyás Rákosi, e l'allievo superò il maestro
Alla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, l'Ungheria venne inclusa nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica, ritrovandosi soggetta all’autorità di Stalin, al pari di altre nazioni dell’Europa Orientale.
A rappresentare l’autorità di Mosca venne designato Màtyàs Ràkosi.
Soprannominatosi “il miglior allievo di Stalin”, Ràkosi fece davvero l’impossibile per dimostrarsi degno di tale appellativo, distinguendosi per la sua determinazione nell’instaurare un regime tirannico perfettamente allineato alle posizioni sovietiche.
Nel febbraio del 1947 iniziò a far incarcerare i rappresentanti dei contadini, poi fece condannare all’ergastolo il cardinale e impiccare il suo rivale, Rajk.
Pare abbia fatto giustiziare oltre 2.000 persone, mettendone in galera 100 mila.
La sua solerzia fu tale che, quando Stalin morì, nel 1953, gli stessi dirigenti dell’Urss decisero di sollevarlo dal suo incarico, perché il suo regime si era dimostrato troppo brutale.
Del resto, la “tattica del salame” (termine da lui stesso coniato) consisteva nell'eliminare i nemici politici uno dopo l’altro, proprio come se stesse affettando un salame.
8) Augusto Pinochet, uccisioni, rapimenti e scomparse
Da un punto di vista meramente economico, la dittatura del generale Augusto Pinochet Ugarte non può essere considerata fallimentare.
Sotto la sua guida, il Cile conobbe un periodo di apertura al libero mercato, una drastica riduzione del tasso d’inflazione, la sparizione del traffico degli stupefacenti e una spinta che, a partire dalla fine degli anni Settanta, portò il Paese a vantare una delle migliori economie dell’area sudamericana.
A fronte di tali risultati, però, vanno considerati i tremendi crimini commessi nei 17 anni di un governo inaugurato con il colpo di Stato del 1973 (avallato dagli Stati Uniti), grazie al quale il generale rovesciò il potere legittimo di Salvador Allende.
È difficile tracciare un bilancio delle vittime del regime di Pinochet: i rapporti ufficiali parlano di oltre 3.000 uccisioni, quasi 30 mila persone torturate o imprigionate per motivi politici e oltre mezzo milione di uomini e donne internati oppure mandati in esilio. Inoltre, sono annoverati oltre 1.200 casi di “sparizioni forzate”: è il caso dei tristemente noti desaparecidos, alcuni dei quali vennero imbarcati su aerei dell’esercito e gettati fuori bordo ad alta quota per farli inabissare nelle acque dell’oceano Pacifico.
5. Pol Pot e Radovan Karadžić
9) Pol Pot, delirio rosso sangue
I sogni, si sa, possono generare mostri. Lo dimostra il sogno comunista di Pol Pot che, in soli 4 anni, provocò la morte di oltre 2 milioni di persone.
Nato nel 1925 in quella che all’epoca era conosciuta come Indocina, e che poi sarebbe diventata Cambogia, Sloth Sar (questo il suo vero nome) proveniva da una famiglia benestante.
Nel 1949 si trasferì a Parigi per proseguire gli studi, entrando in contatto con gli ideali marxisti.
Tornato in patria, aderì al Partito Comunista locale, per poi mettersi a capo dell’esercito di contadini che, il 17 aprile 1975, entrò nella capitale Phnom Penh, prendendo il potere e iniziando una radicale riforma agraria.
La rivoluzione rossa prevedeva l’evacuazione forzata dei grandi centri urbani e la “rieducazione” dei cittadini attraverso il lavoro in grandi fattorie comuni con turni di 18 ore e un solo giorno di riposo ogni dieci. Ai dissidenti spettava la morte.
In particolare, gli intellettuali erano considerati i veri “nemici del popolo”: bastava portare gli occhiali o conoscere una lingua straniera per rischiare la vita.
Vi furono altre assurde mostruosità, come i medici e gli ingegneri bambini, considerati adatti a operare perché mai entrati in contatto con il perfido mondo borghese e capitalista.
La lunga parabola politica di Poi Pot terminò con la morte, avvenuta il 15 aprile 1998, poche ore dopo che i dirigenti dei Khmer Rossi avevano annunciato la decisione di consegnare il loro ex leader al Tribunale internazionale.
10) Radovan Karadžić, un nuovo genocidio europeo
Fu il primo presidente della Republika Srpska, l’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, creatasi nel 1992 dopo lo smembramento della Iugoslavia.
Forte di tale titolo, Radovan Karadžić promosse e supervisionò una vera campagna di pulizia etnica contro i musulmani bosniaci, tramite azioni che sono state incluse tra le più gravi violazioni dei diritti umani commesse sul suolo europeo nel secondo dopoguerra.
L’episodio che connota più chiaramente la statura criminale di Karadžić è il massacro di Srebrenica, avvenuto a luglio 1995: in tre giorni, le milizie serbe inseguirono e catturarono migliaia di cittadini bosniaci musulmani che si erano rifugiati nell’enclave di Potocari.
In teoria, il sito avrebbe dovuto essere difeso dalle truppe dell’Onu, che in quel momento erano sotto il comando olandese, le quali invece si ritirarono.
Le truppe serbo-iugoslave guidate dal generale Mladic entrarono quindi nel villaggio, presero tutti i maschi, adulti e bambini, li portarono nei boschi e li trucidarono: le vittime superarono il numero di 8.000.
Al termine della guerra civile, Karadžić riuscì a ricostruirsi una vita e una nuova identità, riciclandosi come esperto di omeopatia e firmando diversi articoli sull’argomento.
Finalmente, nel 2008, è stato arrestato in Serbia e inviato al Tribunale internazionale per l’ex Iugoslavia.
Nel 2016 è stato condannato in primo grado a 40 anni di carcere, ma nel processo d’appello del marzo del 2019 la giuria ha ritenuto la pena troppo leggera per i crimini dei quali era stato ritenuto colpevole: oltre al genocidio di Srebrenica, a suo carico vi erano i bombardamenti che martoriarono la città di Sarajevo.