Le manifestazioni di panico, i timori, le fobie, la depressione, l’ansia, la rabbia, o la delusione sono solo alcune delle varie forme di “mal d’essere” che si possono presentare nell’arco della nostra vita e che si tende a voler affrontare affidandosi completamente a un approccio medico e/o psicologico.
Il rischio, e il limite, di questa scelta è delegare la soluzione di problemi e disagi a qualcosa di esterno, fuori da noi, a prodotti della farmacopea ufficiale o alternativa o a modelli comportamentali che non ci appartengono, rinunciando a gestire in modo autonomo e consapevole la nostra vita.
Il primo passo è individuare i motivi che possono essere origine e base di disagio, cercando di cogliere il senso e il significato che hanno per la persona.
È un’operazione che aiuta a focalizzare l’attenzione su di sé e a essere consapevoli di quelli che possono essere bisogni, desideri ed esigenze individuali e dello scarto che si crea tra la spinta personale a soddisfarli e realizzarli e la realtà.
L’aspetto su cui bisogna riflettere invece è che, al di là degli interventi che si possono fare e delle soluzioni che si possono applicare, ognuno è, e dovrebbe essere, responsabile delle proprie scelte.
La meditazione esiste da sempre e la sua radice è la stessa nelle diverse culture perché è comune a tutti i popoli, malgrado le apparenti differenze, e dà voce a tutti i tentativi compiuti dall’uomo per essere in sintonia con la propria natura.
«Meditazione è imparare a lavorare abilmente sulla propria mente per condurla, per gradi, fino alla tranquillità, alla visione profonda, alla purificazione spontanea e alla totale liberazione da tutti gli stati negativi», diceva il famoso psicologo e scrittore Rob Nairn.
La meditazione, come esercizio della mente di tipo religioso, affonda le sue radici in ambito occidentale con Platone, Agostino, Ignazio de Loyola, e nel mondo orientale con il Buddismo, lo Yoga della conoscenza e la disciplina Zen e la si è sempre considerata come un modo originale e unico di entrare in relazione con la parte più profonda di sé e con la realtà, attraverso tecniche particolari e specifiche.
Le tecniche, secondo Joel Levey, autore di libri sul rilassamento e la concentrazione, possono essere di due tipi:
• concentrative – caratterizzate da una modalità attiva che prevede la scelta dell’oggetto meditativo e /o passiva che mira a un solo elemento della realtà come un’idea, un oggetto, un concetto, una parte o una funzione del proprio corpo;
• aperte o contemplative – centrate sull’accettazione, libera e non discriminativa, del usso delle associazioni e delle immagini mentali.
In ogni caso quello che occorre considerare è che se anche il livello di coscienza tipico della condizione meditativa si può ottenere talvolta in modo spontaneo e accidentale, nella maggior parte dei casi è la pratica costante che consente di ottenerlo in modo continuo e regolare.
Come si può dedurre ci sono numerosi sistemi e metodi differenti per meditare, ognuno dei quali ha uno scopo determinato e uno specifico risultato: infatti, non ci si limita genericamente a meditare.
Questa pratica, al di là delle differenti definizioni, si fonda su alcuni pilastri fondamentali che dovrebbero essere comuni e trasversali alle diverse forme di impostazione e scuole. Vediamoli insieme.
1. L'atteggiamento mentale
La meditazione porta alla luce l’inganno in cui si è caduti, rivelando lo stato di fissazione su se stessi, egocentrato, della mente per arrivare a scoprire che in realtà, a livello psicologico, siamo saldamente aggrappati a modi di essere improduttivi, inefficaci e distruttivi.
E allora, si medita per creare le condizioni per poter cambiare lo stato delle cose.
Con questa pratica si lavora con l’energia, adottando la giusta posizione fisica e mentale che ci indica la via per “lasciare la presa” e liberarci.
Entrare nello stato meditativo permette di cogliere e di sperimentare la grande capacità che ha la mente di lavorare con estrema chiarezza e immediatezza, condizioni indispensabili per generare una profonda trasformazione della coscienza.
E il cambiamento avviene proprio là dove c’è spazio solo per una chiara visione che, a livello interiore, equivale all’azione.
Meditare è creare uno stato mentale simile a quello che si può verificare se: «Entrate in una stanza poco illuminata, raccogliete dal pavimento qualcosa che sembra una corda e non appena l’avete in mano vi accorgete che in realtà è un serpente»...
È una constatazione che genera uno stato mentale estremamente lucido e chiaro che spinge, senza ombra di dubbio, a seguire il consiglio della mente che dice: «Lasciatelo cadere!» e voi lasciate cadere il serpente senza pensarci.
Si tratta di uno stato mentale che si genera dalla presa di coscienza diretta e non dall’elaborazione di teorie o dal confronto: questa è la caratteristica della mente meditativa.
E precisiamo che in questo contesto con il termine “mente” intendiamo il pensiero razionale e le facoltà di raziocinio, i sentimenti e le emozioni.
Se una persona non si sente soddisfatta e ha la sensazione di limitarsi a sfiorare le cose della vita, senza mai viverle pienamente, e di non portare nulla a compimento, potrebbe avvicinarsi naturalmente alla meditazione intendendola come via che porta alla parte più profonda di sé, che si allontana dalla superficialità in direzione della realizzazione interiore e della totale soddisfazione.
2. L'accettazione
Per meditare è essenziale adottare un atteggiamento mentale di auto-accettazione che significa imparare a entrare in relazione con la propria mente accogliendo e accettando senza giudizio tutto ciò che in lei abita e che da lei “deriva”: pensieri, idee, sentimenti, emozioni, pulsioni e desideri.
Qualsiasi intenzione di modificare o manipolare la mente, oppure di rinforzare uno stato mentale, al momento presente costituisce una mancanza di accettazione che può creare problemi o difficoltà.
È un po’ come se si dovesse vivere con qualcuno che non ci accoglie per come siamo, ma cerca continuamente di cambiarci, di manipolarci o di modellarci in base alla sua idea di come dovremmo essere...
Difficilmente staremmo bene in tale condizione, ma più probabilmente avvertiremmo disagio e ci sentiremmo rifiutati e avremmo una gran voglia di ribellarci, instaurando con quella persona una relazione conflittuale.
Accettazione non è rassegnazione. Kabat Zinn ci ricorda che accettazione del momento presente in cui “così stanno le cose” non significa rassegnazione di fronte alla situazione del momento; si tratta di una semplice ammissione del fatto che ciò che accade... accade.
Ed essere in uno stato di accettazione non ci dice come agire. Infatti quello che potrà accadere dopo e ciò che potremo fare dipenderà anche dalla nostra interpretazione dell’attimo che può anche essere dettata dalla valutazione conseguente a una maggiore conoscenza (consapevolezza) di “come stanno le cose”.
3. La meditazione di consapevolezza
La “meditazione di consapevolezza” è uno dei più antichi e sperimentati sistemi di meditazione fra quelli noti.
Questo procedimento deriva dal metodo di base insegnato dal Buddha, il Vipassana, e viene tradotto solitamente con “consapevolezza”, “visione profonda” o “vedere le cose come sono”.
Essere consapevoli di ciò che accade al momento presente nel presente è il primo passo, e fondamentale, in ogni sistema di allenamento della mente ed è ben noto in tutte le scuole in cui si pratica la meditazione.
Negli ultimi cinquant’anni, questa pratica ha avuto un notevole successo fra gli occidentali e ora sta attirando sempre di più anche l’interesse degli psicologi, essendosi dimostrata una via semplice e valida per liberare la coscienza da stress, tensioni e pensieri ossessivi.
La meditazione di consapevolezza è graduale ed è costituita da fasi ben distinte che sono raggiungibili solo se sperimentate e sviluppate completamente.
4. L'importanza di rallentare e di stare in silenzio
In meditazione ciò che conta di più è l’atteggiamento mentale e per il buon esito della pratica quello che assume il meditante è fondamentale.
Nairn ritiene che: «Ogni essere umano ha in sé un grande potenziale che può essere realizzato».
E proprio per questo ogni individuo potrebbe essere in grado di dimorare in uno stato permanente di gioia totale, di amore, di chiarezza e di apertura, in uno stato che si dice essere indescrivibile perché le nostre idee e i nostri concetti di esperienza umana sono inadeguati rispetto alla sua grandezza.
Cosa fare in pratica: «Per meditare è necessario inizialmente stare fermi e in silenzio per sviluppare l’osservazione non giudicante. Così la meditazione diviene una via verso l’interno, una via che porta al profondo di noi stessi, che si allontana dalla super cialità in direzione della realizzazione interiore e della totale soddisfazione», Nairn.
5. Il desiderio come ostacolo
Il desiderio di realizzare qualcosa, oppure di cambiare qualcosa nella mente, impedisce di meditare e innesca tensione e un conflitto mentale.
Molti pensano che lo scopo della meditazione sia quello di fare “tabula rasa”, di smettere di pensare o di controllare o manipolare in qualche modo i processi mentali o emozionali e probabilmente ritengono anche che meditare consista nell’assumere una postura corporea orientaleggiante, magari fissando il proprio ombelico e aspettare non si sa bene cosa.
Questo atteggiamento, però, invece di condurre a una condizione di pace interiore, rischia di accentuare la tensione e incrementare l’emotività rimossa che, alla fine, rischia di irrompere in maniera incontrollata nella coscienza, creando disorientamento, confusione e talvolta anche panico.
La pratica costante quotidiana promuove lo sviluppo della stabilità, della calma interiore e una condizione di mente non reattiva, indispensabile per affrontare gli eventi della vita, compresi paura, dolore e ansia.
La vita è un mix di stati e di esperienze che solo di rado danno una risposta alle nostre aspettative. E quando poi i nostri desideri vengono esauditi il senso di soddisfazione e pienezza che proviamo non dura a lungo, perché siamo portati, ben presto, a desiderare la stessa cosa in quantità maggiore.