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I batteri della felicità

Nel IV secolo a.C. Ippocrate sosteneva che le malattie avessero origine nell’intestino. Al giorno d’oggi, il progredire delle ricerche scientifiche confermano il ruolo chiave di quest’organo e del suo microbiota per la salute dell’uomo in generale, anche extra intestinale.

Sulla base delle evidenze scientifiche emerge che i microrganismi che albergano l’intestino possono comunicare col sistema nervoso centrale (SNC).

Per questo motivo il mondo scientifico sta identificando ceppi di probiotici che possono avere effetti positivi su disturbi della sfera psichiatrica – da qui il termine Psicobioti.

Il termine è stato poi esteso anche ai prebiotici ed include le funzioni emozionali, cognitive e comportamentali che vengono modulate attraverso l’asse microbiota-intestino-cervello.

Nel nostro corpo abitano vaste colonie di microrganismi. Ora la scienza ha cominciato a rendersi conto che essi non solo influenzano la nostra salute, ma anche il nostro stato mentale: benvenuti nel mondo della psicobiotica.

 

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1. Alimenti probiotici contro ansia e depressione

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C’è una scuola di pensiero secondo la quale noi non siamo singoli organismi, ma piuttosto super-organismi composti da una moltitudine di altri organismi.

Le cellule umane costituiscono meno della metà di quello che siamo abituati a considerare “il nostro corpo”: il resto è formato da miliardi di miliardi di batteri, funghi e virus che vivono sulla nostra pelle, nei nostri intestini e all’interno di tutti i nostri tessuti.

Noi abbiamo bisogno di loro perché giocano un ruolo nella nostra digestione e nel mantenimento del nostro sistema immunitario, e loro hanno bisogno di noi perché siamo il luogo in cui si sono adattati a vivere.

Ma oggi dalla ricerca scientifica sta emergendo in modo sempre più chiaro un’altra ragione per avere a cuore i microrganismi che abitano nelle profondità delle nostre budella: se loro sono felici, siamo felici anche noi.

Per quanto possa sembrare ridicola formulata in questi termini, l’idea che quel che accade nel nostro intestino influenzi il nostro umore è scientificamente solida, come lo è quella che la responsabilità è proprio dei batteri intestinali: sono loro a comunicare con il cervello e a determinare molti nostri stati mentali.

Gli scienziati stanno cercando di capire come funziona questo collegamento, che per il momento viene definito “asse microbioma-intestino-cervello”, e hanno appurato che alterando la flora batterica intestinale con la somministrazione di probiotici (supplementi per i batteri) e prebiotici (fibre alimentari che incoraggiano la crescita batterica) si può migliorare la nostra risposta allo stress, ridurre l’ansia e mitigare gli effetti di vari altri stati mentali.

Queste scoperte hanno dato vita a una branca della medicina totalmente nuova: la psicobiotica, che nelle speranze degli studiosi fornirà nuovi e più potenti mezzi nella lotta contro la depressione e altre malattie mentali, oltre a darci strumenti efficaci per affrontare meglio l’ansia e lo stress quotidiani.

Quest’anno sono stati portati a termine numerosi studi che dimostrano come gli alimenti probiotici abbiano un limitato ma apprezzabile effetto nel mitigare ansia e depressione.

Uno studio su scala più ridotta, pubblicato dalla rivista Translational Psychiatry, ha scoperto che l’introduzione del probiotico Bifidobacterium negli intestini di alcuni volontari in buona salute ha avuto l’effetto di diminuire lo stress e rafforzare la memoria.

“Abbiamo appurato che il collegamento è reale”, dice Tim Spector, docente di Epidemiologia genetica presso il King’s College London. “Ormai nessuno in questo campo di studi nega più che esistano legami tra la flora intestinale e la salute mentale”.

 

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2. Collegamento tra cervello e bioma

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Simili associazioni tra mente e corpo a prima vista potrebbero sembrare più “di casa” nella medicina alternativa.

Eppure i medici sono consapevoli già da molto che problemi mentali come il disturbo bipolare o anche l’autismo si associano spesso a problemi all’intestino, per esempio alle infiammazioni.

In tempi più recenti un indizio importante che questo fenomeno dipenda dalla flora intestinale è venuto dagli esperimenti sui ratti, dai quali è emersa chiaramente l’esistenza di un collegamento di qualche genere tra le viscere e il cervello.

Una ricerca condotta dall’Università di Colorado Boulder, per esempio, ha mostrato come lo stress interrompa il rapporto di normale stabilità tra i batteri intestinali e il loro ospite e provochi infiammazioni.

Ai ratti in questa situazione è stato somministrato un probiotico contenente un batterio importante per la funzionalità del sistema immunitario: il risultato è stato non solo la risoluzione dell’infiammazione ma anche una riduzione dei comportamenti legati allo stress.

I molti studi condotti nell’ultimo anno hanno appurato per la prima volta che questo meccanismo è presente anche negli esseri umani: gli stati di ansia e depressione hanno precisi legami con determinati comportamenti della flora intestinale.

L’analisi dei dati raccolti su un migliaio di persone in Olanda e Belgio ha evidenziato che la presenza di determinati batteri nell’intestino dei soggetti si associa a una migliore qualità della vita, e la loro assenza alla depressione.

Dopo la pubblicazione dei risultati Jeroen Raes, microbiologo presso la Belgium’s Katholieke Universiteit Leuven in Belgio e autore dello studio, ha commentato: “Se dieci anni fa aveste chiesto a un neuroscienziato se ci sono correlazioni tra la flora intestinale e la depressione, probabilmente vi sareste sentiti dare dei pazzi”.

Tim Spector, che dalle proprie ricerche sul microbioma ha tratto il libro Il mito della dieta. La vera scienza dietro a ciò che mangiamo, concorda sul fatto che le ricerche più recenti stiano cambiando la mentalità degli scienziati.

“Gli studi più importanti sugli esseri umani, però, devono ancora essere fatti”, assicura. “Il primo passo è stato stabilire che esiste senza dubbio un collegamento, ma la via per comprendere come funziona esattamente e per formulare delle terapie corrispondenti è ancora lunga”.

 

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3. Come comunicano tra loro

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Gli studi più avanzati sul funzionamento dell’asse microbioma-intestino-cervello sono attualmente condotti dall’Alimentary Pharmabotic Centre (APC), parte dell’University College Cork in Irlanda, dove si è scoperto per la prima volta che trasferire microbi intestinali da un roditore depresso a uno non depresso provoca in quest’ultimo cambiamenti coerenti con lo stato depressivo.

Ora gli scienziati stanno cercando di capire come utilizzare questa scoperta per migliorare la salute e lo stato mentale degli esseri umani.

Secondo Ted Dinan (foto sotto), docente di Psichiatria presso l’University College Cork e capo della sezione dell’APC dedicata allo studio dell’asse microbioma-intestino-cervello, le “vie di comunicazione” tra flora intestinale e cervello sono tre: 
- La prima è costituita dalle sostanze chimiche prodotte dai batteri, che possono influenzare i segnali inviati dalle terminazioni nervose presenti a milioni nell’apparato digestivo. Questi segnali viaggiano lungo il nervo vago, che parte dal colon, e con un percorso ininterrotto raggiungono direttamente il tronco encefalico.
- La seconda sarebbe da ricercare in alcuni batteri, come i bifidobatteri: essi producono un amminoacido, il triptofano, che costituisce una componente fondamentale della serotonina, il neurotrasmettitore maggiormente responsabile del nostro umore. “Il cervello necessita di un rifornimento costante di triptofano”, dice Dinan, “e il microbiota ha un ruolo nella sua produzione”.
- La terza è costituita dalla possibilità che i batteri influenzino l’espressione dei geni nel cervello. Quando i microbi digeriscono fibre, generano come prodotto di scarto acidi grassi a catena corta, che secondo gli studi dell’APC vengono trasportati nel sangue fino al cervello e lì fungono da modulatori epigenetici, ossia riprogrammano alcune funzioni cerebrali e influenzano l’umore.

 

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4. Potenziali trattamenti, prevenzione e i rischi dell’eccessiva pubblicità

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Ora le ricerche dell’APC si sono focalizzate sugli effetti di probiotici e prebiotici più su soggetti volontari in salute che non su soggetti già clinicamente depressi, ma è già abbastanza chiaro che in futuro i medici prescriveranno supplementi alimentari per riequilibrare il microbiota dei pazienti con disturbi mentali.

“In questo scenario per ora futuribile”, dice Dinan, “a chi soffre di forme lievi di ansia o depressione verranno consigliati integratori probiotici o prebiotici. Non siamo ancora alla fase di test di questi trattamenti, ma ci arriveremo”.

Il potenziale di tutto ciò è interessante soprattutto per quei disturbi oggi ancora particolarmente difficili da trattare, o le cui terapie comportano gravi effetti collaterali.

Alcune ricerche indicano che si potrebbe utilizzare il trapianto di flora intestinale per trattare i disturbi dello spettro autistico: ricercatori dell’Arizona State University riferiscono che microbi trapiantati da donatori sani su bambini autistici con disturbi gastrointestinali hanno non solo curato questi ultimi ma anche migliorato le capacità linguistiche, il comportamento e le interazioni sociali dei soggetti.

I probiotici potrebbero dunque trasformarsi in una nuova arma nella lotta contro la depressione, una condizione scatenata da una complicata mescolanza di fattori ambientali e genetici.

“La maggior parte dei farmaci antidepressivi non ha grandi effetti”, spiega Spector. “I risultati degli esperimenti condotti finora sembrerebbero suggerire che i probiotici possano sortire gli stessi effetti dei farmaci attualmente più in uso, che spesso comportano gravi rischi collaterali”.

I suoi studi sui gemelli hanno infatti indicato che, per quanto la componente genetica della depressione sia fondamentale, una corretta regolazione del microbioma può aiutare a minimizzare tali fattori genetici. “È uno scenario assai incoraggiante”, dice Spector.

Nella foto sotto, il triptofano, una sostanza necessaria alla produzione della serotonina., 

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Probiotici o prebiotici potrebbero incrementare anche la salute mentale a lungo termine, persino in soggetti che hanno già sofferto di disturbi psichici: da un affascinante esperimento condotto da alcuni ricercatori di Baltimora è emerso che la somministrazione di probiotici a pazienti con sindrome bipolare appena dimessi dall’ospedale dopo una crisi della “fase maniacale” riduce notevolmente il rischio di ricadute e nuovi ricoveri.

Purtroppo, però, nulla di tutto ciò diventerà realtà in tempi brevi. Per cominciare, ancora non sono stati fatti studi sui dosaggi in cui i probiotici andrebbero assunti per sortire effetti concreti.

Un secondo problema, puntualizza Spector, è la differenza tra i vari microbiomi individuali: “Questo significa che un trattamento standard non funziona su tutti. Servirebbero trattamenti probiotici personali, studiati per ciascun paziente, che inevitabilmente risulterebbero molto costosi”.

Anche il pubblico, poi, potrebbe reagire male. Le campagne pubblicitarie del passato, che sostenevano che i cibi zuccherini addizionati di probiotici e prebiotici avessero effetti benefici sulla salute dell’intestino e sul sistema immunitario, in molti casi non hanno mai ricevuto alcun serio avvallo scientifico.

Alla luce di questo, ci sarebbe il rischio che nuovi prodotti della psicobiotica realmente funzionanti vengano sottostimati. “Finora i regolamenti nell’industria alimentare sono stati all’acqua di rose”, dice Dinan. “Troppo spesso si è permesso alle aziende di fare grandi proclami senza dati solidi alle spalle. Per fortuna la situazione sta cambiando”.

In ogni caso, rimanendo semplicemente in attesa di nuovi trattamenti psicobiotici si rischia di trascurare la più importante lezione che deriva da tutte queste ricerche, ovvero che la nostra alimentazione ha un’influenza cruciale sulla nostra salute mentale.

Peraltro tanto gli psichiatri quanto i dietologi sostengono da lungo tempo che modificare le nostre abitudini alimentari può renderci più felici o, nei casi peggiori, aiutarci almeno a mantenere in buon equilibrio il nostro stato emotivo.

Nella foto sotto, la serotonina è un neurotrasmettitore importantissimo per la regolazione dell’umore. I suoi livelli più bassi sono associati alle sindromi depressive.

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5. Buona alimentazione, buona salute mentale

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“Per il momento non esistono ancora studi da cui ricavare prescrizioni precise”, dice Dinan, “ma già ora in psichiatrica non esistono dubbi sul fatto che la cattiva alimentazione si associ alla cattiva salute psichica. Io stesso ho in cura pazienti gravemente depressi che non rispondono alle normali terapie ma che, quando si danno loro specifiche prescrizioni alimentari coadiuvate da antidepressivi, ottengono risultati impossibili da conseguire soltanto con i farmaci”.

La chiave è una dieta variegata. I probiotici agiscono come una terapia perché vanno a colmare delle mancanze nel microbioma che interferiscono con il suo normale funzionamento.

Esistono già prove di laboratorio sufficienti a poter affermare con certezza che un’alimentazione molto varia genera una flora intestinale a sua volta molto varia, e la diretta conseguenza di tutto questo è una migliore salute psichica.

In particolare, spiega Dinan, è importante mangiare tanti vegetali diversi: i suoi studi indicano che oggi noi possediamo in media microbiomi meno variegati di quelli dei nostri nonni e bisnonni, principalmente a causa della diffusione dei cibi lavorati.

“In altre parole ci mancano dei microbi intestinali, e questo potrebbe avere un effetto negativo sulla nostra capacità di gestire lo stress”.
Anche Spector concorda: “Prima di pensare a integratori probiotici, sarebbe il caso di migliorare la nostra alimentazione. È importante che si diffonda la comprensione che gli alti livelli di depressione e ansia osservabili oggi nel mondo occidentale derivano anche dalle nostre cattive abitudini alimentari e dalla gran quantità di cibi lavorati che assimiliamo. Prima di ricorrere alla psicobiotica dovremmo tornare a una dieta più varia e meno ricca di prodotti chimici”.

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Frutta e verdure fresche, pesce e olio d’oliva. È questa la dieta della felicità? La cosiddetta “dieta mediterranea”, da sempre famosa per i suoi presunti effetti benefici, oggi viene raccomandata anche come “cura” capace di migliorare il nostro umore aumentando la varietà e la salute del nostro microbioma.

Né gli scienziati né i professionisti della salute, peraltro, hanno una definizione precisa di cosa sia la dieta mediterranea: si parla in genere di mangiare molta frutta e verdura fresche, fagioli e lenticchie, noci, cereali integrali e olio d’oliva, occasionalmente integrati con pesce, pollo, uova e latticini.

Sarebbero invece da evitare le carni rosse, i dolciumi e i biscotti. In linea di massima si può dire che le cucine tradizionali di Italia, Grecia, Cipro, Croazia, Marocco, Spagna e Portogallo si adattano alla definizione.

Nell’ottobre dello scorso anno sono stai pubblicati i risultati di quattro vasti studi che hanno preso in esame 36mila individui adulti da Spagna, Francia, Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti, dai quali è emerso che chi segue la dieta mediterranea ha il 33 per cento di probabilità in meno di chi non la segue di sviluppare sindromi depressive.

Anche una ricerca indipendente sottoposta quest’anno all’Associazione degli Psichiatri Americani indica che questa dieta protegge dalla depressione nella fase più avanzata della vita.

Ted Dinan, principale ricercatore dall’Alimentary Pharmabotic Centre (APC) presso l’University College Cork, sostiene che il “segreto” della dieta stia nella varietà di alimenti vegetali, che incoraggiano la proliferazione negli intestini di un microbioma vasto e variegato.

L’APC si sta ora occupando di appurare che cosa accade quando le persone cambiano la propria alimentazione: per ora i risultati indicano che chi passa alla dieta mediterranea vede un incremento della propria salute e un corrispondente cambiamento nella propria flora intestinale rispetto ai gruppi di controllo.

 

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