L’era della robotica sta vivendo un’evoluzione incredibile, grazie a nuove tecnologie che prendono ispirazione dal mondo biologico. Tra queste spiccano i Bio Bot, una nuova generazione di robot che combinano la potenza della tecnologia con i principi fondamentali della biologia.
I Bio Bot sono progettati per imitare e riprodurre le caratteristiche dei sistemi biologici e trovano applicazione in una vasta gamma di settori. Prendendo spunto dalla natura, questi robot incorporano principi come la flessibilità, l’adattabilità e l’autonomia dei sistemi viventi.
Ciò consente loro di superare alcune delle sfide che i robot tradizionali devono affrontare, come la rigidità e la limitata capacità di adattamento a nuove situazioni.
Inoltre, i Bio Bot sono dotati di sistemi sensoriali altamente sviluppati, che consentono loro di percepire l’ambiente circostante in modo simile agli organismi viventi. Grazie a sensori avanzati e algoritmi sofisticati, sono in grado di adattarsi alle variazioni ambientali, prendere decisioni in tempo reale e interagire in modo efficace con gli esseri umani.
I Bio Bot rappresentano una promettente frontiera nella robotica, unendo le potenzialità della tecnologia all’efficienza dei sistemi biologici.
Con ulteriori sviluppi e ricerche, questi robot ispirati alla biologia potrebbero rivoluzionare settori come la medicina, l’esplorazione spaziale e molte altre applicazioni, aprendo la strada a un futuro in cui le macchine e gli organismi viventi coesistono in armonia.
1. PISTRELLO ULTRA SOTTILE E UN FALCO (ROBOT) TRA I PICCIONI
- PISTRELLO ULTRA SOTTILE
Il volo dei pipistrelli è un sistema molto complesso, che coinvolge muscoli, ossa, articolazioni e prevede il ripiegarsi e il distendersi delle ali a ogni battito.
La forza generata durante il volo deriva dalla pelle, flessibile e resistente, che si estende tra le dita degli arti anteriori, a differenza delle piume usate dagli uccelli, che invece sono rigide e immodificabili. Fondamentalmente, se voleste imitare uno tra tutti gli animali con le ali, il pipistrello sarebbe l’ultimo.
E invece i ricercatori Usa, cercando di capire meglio le dinamiche del volo di questi mammiferi, hanno realizzato un bio robot, chiamato B2, che imita proprio i pipistrelli. In un articolo pubblicato su Science Robotics, hanno spiegato come siano riusciti a stendere una “pelle” basata su siliconi, spessa 56 micrometri (un micrometro = un millesimo di millimetro), sulle ali del B2, permettendogli di “modificare la sua struttura articolare a mezz’aria, senza perdere in aerodinamicità”.
Così, il B2 riesce a eseguire manovre a tuffo, brusche deviazioni e a imitare i meccanismi di volo dei veri pipistrelli, in modo che i ricercatori possano studiarli approfonditamente. Da questi studi, inoltre, si possono trarre informazioni per progettare robot volanti dal design più manovrabile, aiutandoci così a raggiungere località altrimenti inaccessibili, senza danni a piloti umani.
- UN FALCO (ROBOT) TRA I PICCIONI
Un falco robot sta aiutando i ricercatori a rispondere a una delle domande più interessanti riguardo al comportamento animale: gli animali sono egoisti per natura o cercano di proteggere il proprio gruppo sociale, perché lo sentono parte di sé?
Se la teoria del “branco egoista” fosse fondata, una volta attaccato da un uccello da preda, ogni piccione in uno stormo dovrebbe gravitare verso il centro del gruppo, usando la protezione della moltitudine per salvarsi dall’aggressione.
Ma non è quel che è successo quando ricercatori inglesi e olandesi hanno mandato i loro predatori robot in mezzo a uno stormo di piccioni. Invece di affollarsi tutti assieme, gli uccelli si sono allineati in modo da aiutare tutto lo stormo a sfuggire.
“Non abbiamo trovato alcuna prova che sostenga la tesi del ‘gruppo egoista’ negli stormi dei piccioni”, conclude un articolo pubblicato nel 2021 su Current Biology.
Al contrario, i piccioni sembrano preferire comportamenti cooperativi, che potrebbero essersi evoluti per dare maggior possibilità di sopravvivenza al gruppo, che, in altre parole, significherebbe offrire maggiori possibilità di sopravvivenza anche per il singolo individuo.
2. APPOLLAIATI
L’idea di questo robot appollaiato è venuta a William Roderick, ingegnere presso l’Università di Stanford che, con le sue competenze di robotica, cercava un modo per interagire positivamente con l’ambiente.
“Osservavo gli uccelli sui rami o in volo nel bosco – ha detto – e mi è venuto in mente che se un robot avesse potuto comportarsi come un uccello si sarebbero aperte vie del tutto nuove per studiare l’ambiente”.
Così, Roderick e il suo collega Mark Cutkosky, hanno unito le forze e, insieme a David Lentink, dell’Università di Groningen, hanno cominciato a progettare robot aerei con artigli simili a quelli degli uccelli, che potessero atterrare e “appollaiarsi” su rami dalla forma irregolare.
Robot simili potrebbero essere usati per un controllo dell’ambiente, per esempio per lanciare l’allarme in caso di incendi o semplicemente studiare gli animali selvatici. Per adesso, anche solo capire e imitare quello che fanno gli uccelli si è dimostrata una sfida. Appollaiarsi sui rami richiede arti inferiori forti e una presa ferma.
Inoltre, il ramo va avvicinato col giusto angolo di impatto e la velocità adatta per un atterraggio sicuro. In un articolo pubblicato su Science Robotics nel 2021, i ricercatori hanno descritto come hanno modellato gli arti del robot su quelli di un falco pellegrino, incorporando motori per far ruotare i “fianchi” in direzione dei rami, e tendini artificiali per flettere le “dita” e stringere la presa.
3. ROBO RODITORE
Quando gli scienziati vogliono imparare qualcosa sui disturbi mentali degli esseri umani, piuttosto spesso finiscono con l’osservare i topi o i ratti, che hanno un cervello simile al nostro.
Questi animali possono rappresentare un modello per i disturbi umani, anche se l’impatto sociale dei disturbi mentali può essere difficile da cogliere negli animali, per le differenze individuali che presentano nel modo con cui interagiscono tra di loro, oltre che nella loro personalità specifica.
Per questo, nel tentativo di standardizzare queste interazioni, almeno per una quota parte, ricercatori cinesi e giapponesi hanno collaborato per realizzare il WR-5, un ratto robotico che interagisce con ratti in carne e ossa, così da studiarne le forme di integrazione sociale.
I ricercatori ammettono che il WR-5 deve essere migliorato perché possa avere comportamenti sociali più articolati, come lo spulciamento reciproco, ma anche così com’è, ha avuto un impatto notevole nel comportamento del gruppo sociale verso un ratto che è diventato “bersaglio” delle sue attenzioni e che quindi è diventato “bersaglio” anche degli altri ratti, che hanno cercato di accoppiarsi con lui.
I ricercatori suggeriscono addirittura che, con le giuste migliorie, il WR-5 potrebbe aiutare a calmare ratti stressati dalla vita di laboratorio.
4. TUTTI INSIEME VELOCEMENTE
Spesso e volentieri, in una classifica d’intelligenza, i pesci risultano agli ultimi posti, ma c’è ancora molto che possiamo imparare da loro, specialmente riguardo alle interazioni sociali.
Ecco perché alcuni ricercatori tedeschi hanno usato un pesce robotico per decifrare il comportamento collettivo di coppie di pesci milione.
In un articolo pubblicato nel 2020 su Biology Letters, il team ha spiegato come sia stata utilizzata una replica in 3D dei pesci, mossa attraverso magneti attratti da un robot a ruote, posizionato sotto l’acquario test.
Il robot era programmato per copiare la velocità e la direzione dell’esemplare singolo con cui era “appaiato”, così da rimanere sempre alla stessa distanza.
Osservare il comportamento di 20 diversi esemplari di pesci milione – alcuni veloci e altri più lenti – seguiti dal pesce controllato dal robot, ha fatto capire al team di ricerca quanto sia importante la velocità del nuoto nel determinare le dinamiche di gruppo.
Quando il pesce vero nuotava più veloce, le coppie erano meglio coordinate e appaiate. Secondo i ricercatori, lo studio “mostra come la velocità del singolo individuo e gli elevati livelli di risposta sociale siano importanti per le performance collettive dei gruppi”.
5. SU PER I MURI E UNA (ROBO)APE INFILTRATA
- SU PER I MURI
Può avere quattro zampe invece di sei, ma questo robot-scarafaggio lungo 4.5 cm, zampettando in giro e arrampicandosi sui muri, è alla pari con gli insetti che imita.
Progettato e realizzato dagli ingegneri dell’Università di Harvard, il robot dal peso di 1.5 grammi si basa su un precedente design per robot in miniatura e può scalare superfici sia curve che dritte, compresi elementi all’interno di un motore per jet.
In effetti, la Rolls-Royce, azienda che fabbrica anche motori d’aereo e che ha finanziato i lavori, aveva specificatamente chiesto al team se era in grado di progettare un esercito di minuscoli ispettori di motori per jet, in grado di raggiungere parti inaccessibili a un normale essere umano.
Per venire incontro a questa richiesta, gli ingegneri hanno preso in esame il modo in cui insetti come gli scarafaggi scalino pareti verticali usando membrane adesive sulle zampe. Così, hanno progettato membrane per le “zampe” del robot, basate sul principio della elettroadesione, che funziona inducendo cariche elettriche opposte sulla superfice e sull’arto che la tocca.
Anche se la capacità di aderenza è ancora limitata, non tanti robot con gambe così piccole sono riusciti ad arrampicarsi come questo piccoletto.
- UNA (ROBO)APE INFILTRATA
Api e pesci possono essere amici? Probabilmente non lo sapremo mai, ma di sicuro possono prendere decisioni in comune – se un robot li aiuta.
Per quanto possa sembrare strano, nel 2019, un team di ingegneri di quattro università europee è riuscito a far sì che api da miele australiane parlassero con pesci zebra svizzeri, inviando api robot e pesci robot – definiti come “agenti” – che si sono infiltrati nei due gruppi sociali.
Questi robot “ponte” modellavano i messaggi sulle specie di riferimento, con i pesci-bot (robot) che usavano colori e movimenti della coda, e l’ape-bot (l’apparecchio bianco nell’immagine) che vibrava e cambiava temperatura per trasmettere informazioni.
Gli agenti interagivano digitalmente per coordinare i movimenti delle due specie, che nella realtà erano a 680 km di distanza. In mezz’ora dall’avvio del test, erano riusciti a sincronizzare i loro movimenti ed erano addirittura riusciti a far adottare a una specie alcune delle caratteristiche dell’altra, con le api che si muovevano meno come sciame e i pesci che rimanevano vicini più del solito.