Fin dall’antichità i colori sono stati utilizzati nei rituali e nelle pratiche spirituali.
Sono un importante tramite tra noi e la nostra parte più nascosta, il nostro inconscio, portano luce nella nostra anima.
Il colore è la percezione che noi abbiamo di una fascia ben delimitata dello spettro elettromagnetico, quindi si può dire che è strettamente legato alla luce, è una sua espressione.
La luce è individuata come fonte di vita in tutte le culture, anche nelle epoche più remote, e il sole con il suo arcano potere di far tramutare il giorno nella notte e la notte nel giorno è sempre stato identificato con la divinità.
Non a caso la costante ricerca dell’essere umano di trascendere la sua natura e di avvicinarsi a Dio viene chiamata “illuminazione”.
L’influenza dell’energia dei colori nell’esistenza di ognuno è costante e la loro presenza è fonte di forti emozioni, stati d’animo, sollecitazioni psichiche e fisiche.
I colori fanno parte della nostra vita e, come gli odori per l’olfatto o i sapori per il palato, sono il nutrimento principale della vista.
Infatti sono la prima cosa che il neonato riesce a mettere a fuoco al momento della nascita: nei primi mesi di vita i bambini scelgono le cose che si trovano di fronte grazie alle emozioni che vengono loro date dai colori e solo in un secondo momento riescono a relazionarli con gli oggetti.
Inoltre la percezione cromatica è diversa da individuo a individuo e quindi la scelta dei colori è distintiva e specifica, permettendo così il loro utilizzo a livello terapeutico in maniera unica e personalissima.
Il colore, le sue tonalità, le sue sfumature possono aiutare ogni persona ad accompagnare il proprio processo di crescita e di individuazione portando in evidenza le paure e i possibili blocchi.
Il segno e il colore ci permettono di portare nella realtà i nostri pensieri e le nostre immagini, dando loro concretezza e permettendo a ognuno di riconoscere e quindi di comunicare le proprie sensazioni e il proprio vissuto emotivo.
Inoltre ci aiutano a elaborare le informazioni ricevute sia dal mondo esterno che dall’universo interiore, favorendone l’integrazione a livello cosciente.
Fin dall’antichità l’uomo ha percepito il grande potenziale del colore e ha cercato di sfruttarlo a proprio vantaggio, inizialmente in maniera intuitiva ed empirica, poi cercando di trovare un modo scientifico per spiegare le sue manifestazioni e i suoi effetti.
Ma quali sono state le più importanti teorie sui colori? Vediamole insieme.
1. Le teorie del colore
Fin dall’antichità l’uomo ha percepito il grande potenziale del colore e ha cercato di sfruttarlo a proprio vantaggio, inizialmente in maniera intuitiva ed empirica, poi cercando di trovare un modo scientifico per spiegare le sue manifestazioni e i suoi effetti.
Le interpretazioni che sono state date ai fenomeni correlati alla percezione dei colori sono state le più disparate.
Ad esempio, per Pitagora il colore si manifestava tramite una sorta di flusso vibratorio che, partendo da una sorgente, colpiva direttamente l’occhio. In pratica credeva nell’esistenza di particelle che si staccavano dagli oggetti per poi colpire gli occhi.
Platone al contrario si concentrò sull’occhio, identificando una luce che partiva dalla pupilla e colpiva l’oggetto, sul quale poi rimbalzava, riportando l’immagine e il colore all’occhio.
Aristotele fu il primo che parlò di onde per spiegare la percezione dei colori e della luce ed è stato solo in tempi recenti, grazie alle teorie di Einstein, che gli studiosi hanno scoperto che i raggi luminosi sono composti sia da onde che da particelle.
Uno dei primi scienziati che studiò l’occhio e i meccanismi percettivi fu invece Leonardo da Vinci, che nei suoi scritti ci ha lasciato diverse pagine sull’argomento.
I suoi studi ancora oggi denotano un approccio moderno in quanto le sue riflessioni spaziano dall’anatomia del globo oculare all’analisi dei fenomeni della visione, soffermandosi anche sull’aspetto più spirituale che essa comporta.
Le più importanti teorie sui colori sono state però esposte da Isaac Newton (1642-1727) e Johann Wolfgang Goethe (1749-1832).
Grazie ai principi da loro evidenziati è stato possibile per gli studiosi contemporanei sviluppare un lavoro di ricerca che ha portato alle conoscenze attuali.
Newton ha posto le basi per quanto riguarda la realtà fisica della luce, dimostrando la possibilità di scomporla in fasci colorati.
Goethe ha invece introdotto il concetto di percezione del colore da parte dell’occhio e ha sviluppato l’idea secondo la quale il colore ha un’incidenza importante sullo stato psicologico ed emotivo dell’essere umano.
2. La teoria di Isaac Newton
La teoria di Isaac Newton è alla base della moderna ricerca scientifica e venne esposta nel libro scritto nel 1660 La teoria dei colori.
Il presupposto da cui partì Newton era la convinzione che predominava nel suo tempo secondo la quale si credeva che la luce fosse bianca e che tutti i colori prendessero vita grazie alla sua contaminazione da parte della materia vivente e inanimata.
Newton con il suo esperimento distrusse questa credenza. Infatti, all’interno di una stanza oscurata per mezzo di una tavola con un piccolo foro centrale, pose un prisma e lo collocò lungo la traiettoria del raggio di luce che passava nel foro nella tavola.
Il raggio di luce, attraversandolo, venne scomposto nello spettro dei colori, i quali furono proiettati sulla parete bianca che si trovava di fronte.
Dati i risultati ottenuti, Newton formulò la teoria che "i colori sono manifestazioni della luce e sono composti da una miscela di corpuscoli colorati di spessore diverso, che vengono evidenziati nel momento in cui la luce incontra un materiale diverso dall’aria e che esiste una rifrazione diversa per ogni componente cromatica".
Nella seconda parte dell’esperimento riuscì a ricomporre la luce: facendo passare i raggi colorati attraverso un prisma rovesciato. La risultante fu di nuovo la luce bianca. In questo modo evidenziò anche che quei determinati colori non potevano essere scomposti ulteriormente.
Newton decise di dividere il suo arcobaleno prismatico in sette colori (rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, viola) per fare un parallelo con la scala musicale, influenzato dal fatto che il numero sette aveva un significato mistico esoterico di grande importanza.
In realtà i colori che si possono distinguere nell’arcobaleno a occhio nudo sono il rosso, il giallo, il verde e il blu. Grazie a questi esperimenti Newton evidenziò come il colore degli oggetti è dato dalla reazione della loro superficie rispetto alla rifrazione della luce: il colore che vediamo è quello che il corpo colpito dal fascio luminoso ci rimanda.
Ad esempio, se il colore di un oggetto è rosso, ciò significa che tutte le altre fasce di colori sono state assorbite. Se il colore risultante è bianco tutti i colori sono stati respinti, se invece il colore che vediamo è nero tutti i colori sono stati assorbiti.
Secondo le teorie di Newton i colori si presentano in linea retta e quindi il rosso non potrà mai toccarsi con il viola. Per Goethe invece i colori costituiscono un cerchio nel quale il rosso intensifica la sua tonalità e sfocia così nel viola, ed il viola si rischiara e si stempera nell’azzurro in un continuum armonico e circolare.
Con gli strumenti del tempo, Newton riuscì solo a intuire la relazione esistente tra la luce e l’apparato visivo (occhio-cervello), senza però riuscire a elaborare una teoria organica.
3. La teoria di Johann Wolfgang Goethe
Goethe espose la sua teoria nell’opera Teoria del colore, composta da cinque volumi e pubblicata nel 1810.
Fu seguita in un primo momento solo dal mondo artistico, ma fu rivalutata come base per un percorso scientifico da Jung e Maxwell.
Goethe era convinto che la teoria di Newton presentasse notevoli lacune e la paragonò a una grandiosa rocca fortificata oramai in disuso. In realtà questa presa di posizione di Goethe derivava da un suo errore di valutazione.
Cercò infatti di riprodurre l’esperimento di Newton ma sbagliò l’ambientazione: lo riprodusse in una stanza illuminata invece che in una buia. Al momento di utilizzare il prisma non riuscì a vedere nessuno degli effetti ipotizzati da Newton.
Solo quando lo orientò verso una zona chiara della parete confinante con una più scura, riuscì a vedere dei colori. Concluse che per vedere il colore attraverso un prisma era necessario un confine di luce e ombra e che era grazie a questa dualità che il colore si manifestava.
Per Goethe era sbagliato il presupposto da cui era partito Newton, poiché sosteneva che non era possibile studiare il colore tramite la luce perché la luce sarebbe solo la condizione necessaria affinché lo studio del colore sia possibile.
Proporre un esperimento su queste basi sarebbe come studiare l’aria per conoscere gli animali con il pretesto che è a questa che devono la loro esistenza.
Secondo Goethe non si può dividere la natura del colore in parte fisica, chimica, pittorica ma queste parti devono essere assunte come un pacchetto inscindibile, dando la possibilità di spiegare l’interazione di esperienze che l’uomo ha con il colore.
Uno dei più grandi meriti di Goethe è quello di avere posto in relazione la luce con l’occhio, sostenendo che la visione, pur partendo da dati oggettivi, non può che essere soggettiva ed esperienziale. L’occhio ha bisogno del colore come ha bisogno della luce e i colori non sono altro che “azioni della luce, azioni e passioni”.
Goethe inoltre ha indagato su come il contesto modifichi le sensazioni dei colori, contribuendo non solo a riportare l’attenzione sull’azione della luce (e di conseguenza il colore), ma anche sul modo in cui l’uomo percepisce il colore a livello sensoriale ed emotivo.
Secondo le teorie dello scrittore tedesco, le due polarità dei colori sono la luce (il bianco), a cui viene dato un segno positivo (+), e l’oscurità (il nero), a cui viene dato un segno negativo (–). Il colore giallo è quello più vicino alla luce, l’azzurro all’oscurità. La sequenza che ne consegue è: luce-giallo-verde-azzurro-oscurità.
La nascita di un colore ha quindi bisogno di luce e oscurità. Il colore non può nascere direttamente dalla mescolanza di queste polarità estreme in quanto la presenza di uno esclude l’altro, ma ai loro confini, nella zona ombreggiata che va dal buio alla luce; quest’ombra, data dalla mescolanza del bianco con il nero, è grigia e secondo Goethe sarebbe il colore che fonde in sé tutti gli altri.
Giallo e azzurro assumono quindi il valore di questi confini. Quando i due poli vengono mescolati questi non si annullano, ma danno vita a una nuova unità: il verde. Un altro fenomeno verificato è che sia il giallo che l’azzurro hanno una qualità rossiccia che tende ad aumentare con l’intensificazione della saturazione del colore.
Se vengono inseriti i due colori-poli in un cerchio, uno opposto all’altro, si vedrà che possono unirsi verso il basso (dando vita al verde), oppure verso l’alto (dando luogo al rosso-porpora). Il risultato sarà un cerchio di colori armonico in cui i colori sfumano uno nell’altro.
Se si inseriscono i colori così ottenuti in un cerchio cromatico si osserverà come da due opposizioni cromatiche nasce un intero armonioso.
Per Goethe ogni singolo colore ha in sé una propria e particolare natura, ed è per questo che suscita uno specifico stato d’animo nell’osservatore, così come ogni colore si adatta, esalta o stempera stati d’animo e condizioni di vita specifici.
Per questa sua natura può essere utilizzato per scopi sensibili, morali, estetici, simbolici, allegorici, mistici. Per aiutarci a comprendere la complessità della percezione cromatica, Goethe distingue i colori in quattro momenti percettivi:
– colori fisiologici: sono dati da un’azione-reazione momentanea dell’occhio; sono i colori che rimangono impressionati sulla retina quando guardiamo un colore o una zona luminosa e poi spostiamo lo sguardo su una zona bianca-chiara.
È così che avviene il fenomeno dell’immagine residua: se si guarda per un certo lasso di tempo un oggetto rosso e poi si sposta velocemente lo sguardo su una parete bianca, ecco che sulla parete si “proietterà” l’immagine dell’oggetto (immagine residua), non però nel suo colore originario (il rosso) ma in quello ad esso complementare, quindi l’immagine che si vedrà sarà verde;
– colori patologici: sono dati da un’azione-reazione duratura dell’occhio, come discromia, daltonismo, vedere lampi di luce o scintille, ombre, bolle, bastoncini, durata eccessiva dei colori fisiologici;
– colori fisici: sono dati dall’azione transitoria di corpi incolori, traslucidi, trasparenti e non sull’immagine: nascono grazie a un medium esterno che può essere di varia natura (nebbia, acqua, gas, vetro, ecc.);
– colori chimici: sono colori permanenti, appartenenti ai corpi e nascono per reazioni chimiche. Si trovano nelle terre, nei metalli, nelle piante, negli animali. Di questa categoria fanno parte i pigmenti.
Le immagini che arrivano alla retina si possono distinguere in primarie e secondarie.
- Le primarie sono suscitate nell’occhio da un oggetto esterno effettivo, senza mediazioni (come nei colori chimici).
- Le secondarie sono date dalle “impressioni” che rimangono quando l’oggetto non è più davanti a noi (come nei colori fisiologici) o quando le immagini sono mediate da fattori esterni come nel caso di immagini riflesse da vetri (come nei colori fisici).
4. La teoria di Rudolf Steiner
Rudolf Steiner (1861-1925) partì per i suoi studi dalle ricerche svolte da Goethe, soprattutto per quanto riguarda l’ultima parte della sua teoria, quella che si basa sulle emozioni e sensazioni che i colori suscitano in chi li percepisce.
Steiner sviluppò la teoria dell’euritmia, affermando che i ritmi dell’essere umano dovrebbero essere in sintonia con i ritmi della natura e del cosmo.
Grazie a questo unisono è possibile ottenere un risanamento del rapporto animico-spirituale-corporeo. Attraverso l’euritmia si può conoscere la vera natura dei colori e le sfumature di sentimento ad essi associate.
Per il fondatore dell’Antroposofia i colori sono molto importanti perché la malattia è vista come una separazione tra coscienza terrena e percezione superiore e la guarigione è data dalla forza del colore e dal suo utilizzo artistico e creativo.
Steiner ha diviso i colori in due gruppi che ha chiamato colori immagine e colori splendore:
- i primi comprendono il bianco, il nero, il verde, il fiore di pesco;
- i secondi comprendono invece il rosso, che simboleggia lo splendore del vivente, il giallo, che simboleggia lo splendore dello spirito, e il blu, che simboleggia lo splendore dell’animico. Anche qui abbiamo sette colori, anche se non corrispondono a quelli dell’arcobaleno.
I colori splendore “hanno in sé la natura di ciò che irradiano”, mentre i colori immagine sono proiezioni, rappresentano l’immagine del mondo.
5. La teoria di Itten, Kandinsky, Klee e la stagione del Bauhaus
Nella Germania degli inizi del XX secolo l’architetto Walter Gropius istituì lo Staatliches Bauhaus, grazie all’unificazione dell’Accademia delle Belle Arti con la Scuola di Arti Applicate di Weimar.
Itten, Kandinsky (nella foto accanto) e Klee presero parte al progetto come insegnanti, dando vita a una stagione artistica particolarmente feconda.
Lo spirito della scuola, infatti, non consisteva solo nell’insegnare le tecniche dell’arte, ma nell’esplorare nuove possibilità, in una situazione in cui l’attività artistica era il perno di un nuovo processo formativo.
Ad esempio, Itten, durante le sue lezioni, insegnava anche tecniche di respirazione e meditazione per aiutare lo sblocco delle emozioni e la fluidità espressiva.
Negli scritti che questi tre artisti ci hanno lasciato, emerge chiaramente l’importanza dell’arte e del colore e di come, richiamando emozioni e sensazioni particolari, inducano stati d’animo specifici che aiutano nell’elevazione spirituale.
Le loro teorie si basano quindi sui processi di percezione del colore da parte dell’essere umano e sulla conseguente ripercussione a livello fisico, emotivo, psicologico.
A questo proposito Itten cita come esempio un esperimento eseguito su un gruppo eterogeneo di persone sedute davanti a una tavola imbandita, che venne illuminata prima con una luce rossa, poi con una blu, infine con una gialla; le pietanze, sotto l’effetto delle luci colorate persero completamente la loro appetibilità, fino a quando non fu ristabilita la luce bianca.
È chiaro che il cibo era il medesimo, sia che fossero accese le luci colorate che quelle bianche; l’esperimento puntualizzò ancora una volta il potere emotivo e psicologico del colore. Insieme a quella di Steiner, le teorie in questione hanno segnato il passaggio fra le teorie scientifiche e quelle psicoanalitiche.
Nella teoria di Kandinsky il colore può avere due effetti principali:
– fisico, è una sensazione immediata che può svanire nel momento in cui il soggetto non è più sollecitato. È uno stimolo sensoriale, come quando si gusta un buon cibo, si tocca del ghiaccio o si passano le dita vicino alla fiamma di una candela;
– psichico, è una sensazione non immediatamente riconducibile a una causa ma provoca una “vibrazione spirituale”.
Secondo Kandinsky l’opera d’arte è una “via mistica”, è in grado di emanare vibrazioni talmente intense da far convibrare l’osservatore con l’opera stessa, toccandolo profondamente e facendogli provare nuove sensazioni.
L’emozione che l’artista ha trasmesso nel suo quadro trova così riscontro nell’anima di chi guarda; il dipinto diviene un tramite che può veicolare un vissuto, delle emozioni.
La forma è determinata dal contenuto e non è altro che l’esternazione dell’interiorità dell’artista. Per questo è fondamentale l’essenza interiore: senza questa l’opera è soltanto convenzione, un involucro senza anima.
L’arte è “nutrimento spirituale”, il vero artista è colui che riesce a donare cibo alle anime affamate. Gli artisti si fanno messaggeri di un potente contenuto spirituale: l’arte è un mezzo molto efficace che permette all’uomo di guardare dentro se stesso.
Per Klee invece l’arte è un mezzo di comunicazione e la sua importanza risiede nell’essere il tramite fra l’inafferrabilità di ciò che esiste al di là del mondo reale e la concretezza dell’esistenza in questo tempo e in questo spazio, quasi a voler riempire un vuoto angoscioso con qualcosa creato dall’uomo, dando una forma all’indefinibile, un ordine al caos.
Così come nel cosmo l’ordine naturale è uno spostamento continuo e regolare fra il bianco e il nero, la luce e l’ombra. È questa dinamica fra le due polarità che dà luogo alla vita, perché la vita altro non è che movimento e trasformazione.
In questo concetto risiede l’idea di polarità o di tesi e antitesi, secondo cui l’equilibrio si basa sulla compensazione degli opposti: l’uno non esiste senza l’altro.
Materiale e immateriale, luce e ombra, bianco e nero sono i termini di una dualità che va vista nella sua unità complementare.