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I falsi miti della mascolinità

L’educazione di genere è un tema molto dibattuto in ambito psicopedagogico.

Diventa sempre più urgente però riflettere su alcuni aspetti dell’educazione riservata oggi ai maschi.

Molti progetti ministeriali si sono succeduti negli anni per favorire il concetto di pari opportunità, da declinare poi nell’ancor più importante concetto di “pari diritti, pari doveri”.

Una forte attenzione, in questo dibattito, è stata posta sul “femminile” e spesso con straordinari risultati.

Il “maschile” invece è una dimensione che spesso è sfuggita nella progettazione educativa, sottovalutando, per più di un motivo, l’importanza anche per i maschi di alcuni aspetti dell’“educazione femminile”.

Intanto le professioni educative sono quasi completamente appannaggio delle donne.

Inoltre, gli stessi “uomini” svalutano gli approcci educativi in cui una forte focalizzazione viene posta sugli aspetti correlati all’educazione emotiva, considerati frequentemente come “elementi marginali” o “squisitamente femminili”.

Parlare di educazione emotiva per i maschi, di sviluppo di competenze e sensibilità che toccano la sfera più intima e privata, sembra a molti un tradimento del modello di “maschio” che centra la propria esistenza sul “fuori”, sulla professione e sul ruolo sociale.

Del resto, la maggioranza degli uomini, quando si incontrano, dialoga intorno a temi “pubblici” quali sport e politica.

Sono davvero pochi i maschi inclini a condividere, all’interno delle relazioni tra pari, dubbi, fatiche, eventi e scoperte associati alla loro vita intima e privata.

Oggi vedremo alcuni falsi miti associati allo stereotipo di genere maschile che frequentemente obbligano i maschi ad aderire a un copione che, soprattutto in età evolutiva, può rivelarsi autolesivo e comunque diventare ostacolo alla piena realizzazione di sé.

Si tratta di false credenze spesso associate all’imperativo: “Sii un vero uomo” che, così formulate e condivise, impediscono – soprattutto a chi cresce – di essere invece “persone vere” ovvero persone che cercano dentro di sé, e non in un modello precostituito e predefinito (questi sono appunto gli stereotipi), il copione al quale ispirare aspetti importanti della propria esistenza.

1. "I veri uomini non piangono mai"

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Dietro a questa affermazione, si nasconde l’idea che i maschi che piangono stiano manifestando debolezza e fragilità, differenziandosi dal modello di virilità condiviso che, invece, richiede loro di non mostrare mai la propria sofferenza.

Per esempio, nel corso di un funerale, per gli uomini è difficile “esprimere” il proprio dolore attraverso il pianto, cosa invece comune per il genere femminile.

Ai bambini maschi che sperimentano tristezza viene spesso detto: ”Devi essere forte” oppure “Non piangere come una femminuccia”.

Questo lascia, sin dall’età più precoce, i maschi soli e confusi di fronte alle proprie emozioni di disagio.

La tristezza, così invalidata e negata dall’intervento educativo, ancorato ad uno stereotipo associato al genere, spesso viene trasformata in rabbia.

Rispetto a questo falso mito, ai maschi dovrebbero essere garantite attività di educazione emotiva che li aiutino ad esprimere la tristezza e a richiedere aiuto e conforto in situazioni in cui essa si attiva in modo evidente e necessario.

In particolare, in passaggi critici del ciclo di vita, associati ad eventi ad alto impatto emotivo – quali un lutto importante o la separazione dei genitori – i maschi dovrebbero essere aiutati a parlare di ciò che provano, ad esprimere quello che sentono, a chiedere aiuto nel caso in cui si percepiscano in balia di stati di intensa attivazione emotiva.

Utili in questo senso sono attività con il singolo soggetto, ma anche con il gruppo classe basate sulla visione di film oppure sulla lettura di libri i cui protagonisti sono maschi che stanno attraversando una fase critica o importante del loro percorso di crescita.

2. "Il vero uomo non deve chiedere mai"

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"Il vero uomo non deve chiedere mai"... Questa frase ha spesso costretto gli uomini a rimanere soli nelle situazioni di difficoltà e di emergenza emotiva.

I maschi considerano sconveniente dichiarare la propria fatica o incapacità a gestire relazioni complesse e situazioni complicate.

Quando soffrono tendono a fare tutto da soli o a negare quello che sta loro succedendo.

Spesso, quando si trovano nell’incapacità di gestire una situazione problematica, tendono a risolvere tutto entrando in un conflitto fisico, e facendo ricorso alla violenza.

La cronaca ci ha mostrato, in questi anni, un numero crescente di conflitti di coppia esplosi in atti di estrema violenza agiti dal partner maschile verso la compagna, nel tentativo estremo di riprendere il controllo della situazione e riaffermare il proprio potere.

I maschi devono imparare che nessuno “si salva da solo” e che di fronte alle tempeste della vita è normale, anzi auspicabile o necessario, chiedere aiuto a chi ci sta vicino o eventualmente ad un professionista.

Chi fa psicoterapia sa quanto è difficile vedere entrare nel proprio studio un uomo che si fa aiutare e che lo fa in modo spontaneo.

Aiutare un figlio maschio a riconoscere le situazioni complesse che sta affrontando e che magari da solo non è in grado di gestire e risolvere oppure presentare ad una classe di scuola superiore un servizio di consulenza psicologica operante sul territorio, specificando l’importanza che esso può assumere in modo specifico per i maschi che stanno fronteggiando questioni personali o relazionali complesse o dolorose, può essere di enorme aiuto per molti ragazzi.

3. "Il vero maschio è un latin lover"

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Sono moltissimi i ragazzi convinti che, soprattutto in gioventù, ciò che conta non è l’amore, ma avere partner sessualmente disponibili.

Questo falso mito viene potentemente alimentato da molti prodotti culturali ad alta diffusione tra i giovani maschi, prima fra tutti la pornografia, che presenta una relazione uomo/donna esclusivamente funzionale al raggiungimento del piacere, indipendentemente da qualsiasi legame affettivo.

Di recente anche la musica rap, i cui protagonisti sono quasi tutti di sesso maschile, tende a mostrare un modo di stare in relazione dove l’uomo “prende” e la donna “dà”, all’interno di una logica puramente pulsionale, spinti dal desiderio di divertirsi e di provare piacere.

Ci sono molti studi scientifici che hanno analizzato i contenuti dei testi e le immagini musicali dei video rap, mettendo in evidenza come essi propongano frequentemente uno stile relazionale maschio/femmina in cui la donna è un oggetto sessuale nelle mani di un maschio, spesso anche violento.

In parte ciò esisteva anche in passato, seppur con modalità e suggestioni differenti: si pensi a Don Giovanni e Casanova, assurti, nell’immaginario collettivo, a veri e propri modelli di ruolo per il genere maschile.

Ma avvicinarsi all’amore e al sesso con l’attitudine del “playboy” rischia di compromettere in modo significativo la capacità dei giovanissimi di vivere esperienze amorose in cui la connessione emotiva e intima e la relazione con il partner siano in grado di soddisfare bisogni profondi.

Lavorare con i maschi su questi temi significa proporre percorsi di educazione affettiva e sessuale in cui i miti del latin lover e del playboy e i modelli proposti dalla sessualità pornografica vengono affrontati aiutando i giovani a “sganciarsi” da una visione della sessualità puramente ludica e pulsionale, o addirittura violenta.

4. "Se hai il potere, hai anche il successo"

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Nel codice maschile, forza e potere sono due elementi spesso associati all’identità di genere.

Quando questi due termini vengono declinati secondo il principio della prepotenza e dell’affermazione violenta sugli altri, essi si traducono in un autogol capace di produrre effetti auto- ed eterolesivi in ambito relazionale.

Il bullismo, in cui qualcuno umilia e denigra un’altra persona, sottomettendola a vessazioni fisiche e morali in seguito a dinamiche violente e prepotenti, rappresenta un espediente con cui spesso i maschi, soprattutto in età evolutiva, cercano di aderire ad un modello vincente e di successo e di pervenire al potere e al controllo sul gruppo sociale di appartenenza.

Dove imparano i maschi che chi ha il potere ha anche il successo? Il mondo degli uomini è affollato da potenti “attaccati” al potere perché questo conferisce loro uno status e di conseguenza li rende persone di successo.

  • Si pensi ai “potenti della politica” (quasi tutti uomini) che nei talk show cercano di affermare la propria idea insultando e mettendo a tacere i propri avversari.
  • Si pensi ai “bulli” e ai “tronisti” che nelle trasmissioni popolari sono amatissimi dal pubblico femminile e rinforzano il mito del “bello e maledetto” che fa impazzire le donne.
  • Si pensi a molti sportivi, che intorno alla forza e all’arroganza hanno costruito la propria immagine fuori e dentro l’ambiente sportivo.
  • Si pensi anche allo stile di certi giornalisti e conduttori televisivi che con fare denigratorio e intimidatorio si rendono responsabili di un giornalismo “urlato e prepotente”, che rappresenta un modello che ha avuto un successo sempre crescente negli ultimi anni.

 

Aiutare un giovanissimo a crescere con l’aspirazione alla conquista di un successo che è frutto di competenza e non di potenza significa aiutarlo a smontare la legge del taglione, la legge del più forte.

Significa aiutarlo ad apprendere, per esempio, le competenze individuali presenti all’interno del modello della Life Skills Based Education, competenze che l’Organizzazione Mondiale della Salute definisce i reali prerequisiti necessari per raggiungere la realizzazione di sé e un progetto di vita orientato alla conquista non del potere, ma della felicità.



5. La relazione padre e figlio

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Così come “complicate” e “faticose” sono le conversazioni su temi intimi nelle relazioni tra pari al maschile, lo stesso può essere detto di ciò che avviene nel contesto intergenerazionale, in particolare nella relazione padre/figlio.

L’evidenza ci dimostra che quasi tutte le bambine vengono preparate al loro menarca (ovvero il primo ciclo mestruale) dalle mamme, che, in questo modo, hanno cambiato il copione educativo in cui si erano trovate coinvolte quando erano figlie.

Invece, la quasi totalità dei maschi arriva al proprio “spermarca” (ovvero la prima emissione di sperma per polluzione notturna o per masturbazione) senza che mai un adulto significativo abbia mai parlato con loro di sessualità, sviluppo e pubertà.

I padri, in particolare, sembrano in seria difficoltà nell’affrontare questi temi con i figli e riproducono pedissequamente quel copione silenzioso che hanno visto tramandato dalle generazioni di uomini dalle quali provengono.

Riflettere sul bisogno di un’educazione di genere per i maschi oggi, perciò, ha più che mai senso.

La nozione di genere può irrigidirsi, divenire stereotipo vincolante e limitare la libertà delle persone, che si sentono e sono costrette ad adeguarsi ad alcune immagini precostituite.

Gli imperativi “sii uomo o sii donna”, anche se non pronunciati, possono divenire dei dover essere faticosi, talvolta dolorosi, in ogni caso degli ostacoli allo sviluppo e crescita libera soprattutto di chi è piccolo o piccola.

Crescere un figlio maschio, educarlo al rispetto e alla valorizzazione della differenza di genere oggi è un compito fondamentale e da promuovere in tutti gli ambiti: famiglia e scuola in primo luogo.

Riuscirci significa trasformare le relazioni tra maschi, tra padri e figli e in generale declinare il concetto di “maschile” in un modo nuovo e inedito rispetto al passato.

Pur essendo molto complesso, è una sfida che va colta e giocata, per prevenire i due rischi seguenti:
a) il primo rischio è che bambine e bambini, ragazze e ragazzi, non abbiano gli strumenti per porsi in modo vigile rispetto a modelli di mascolinità e femminilità che oggi vengono loro proposti; e, prima ancora, per rendersi conto che si tratta appunto di modelli, di costruzioni sociali, in quanto tali negoziabili e modificabili. 
b) E – secondo rischio – se e quando vorranno farlo, non avendo ricevuto in eredità storie, esempi, pratiche e domande a cui appoggiarsi è come se ogni volta dovessero ricominciare daccapo.






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