Capirli non è facile. Affascinanti e sfuggenti, i gatti sono molto più simili ai loro antenati selvatici di quanto lo siano i cani odierni ai lupi. M
an mano che si sono adattati a vivere accanto a noi sono diventati più socievoli e ci accettano più facilmente, ma non ci sono evidenze che siano cambiati molto nel corso dei millenni.
Analizzarne i comportamenti è difficile anche per gli scienziati. Rispetto ai cani, sono meno collaborativi durante i test per misurare le loro inclinazioni sociali e ciò spiega, almeno in parte, perché nei decenni siano state prodotte centinaia di ricerche sul comportamento dei cani, mentre i gatti siano rimasti confinati in pochi angoli della letteratura scientifica.
Oggi, però, ricercatori di tutto il mondo hanno avviato nuovi studi sulla cognizione felina dimostrando che le abilità dei gatti sono pari a quelle dei cani e aprendo nuove prospettive sui loro processi di addomesticazione e sulla trasformazione da animali selvatici a “sociali”.
In un certo senso sono i gatti ad avere addomesticato noi, concedendoci la loro compagnia. Secondo gli scienziati, questi felini non accettano la gerarchia e quindi non riconoscono l’uomo come dominante, ma si limitano a sfruttarlo, come hanno sempre fatto, fin dall’inizio della convivenza.
1. Con noi da diecimila anni
La presenza semi-domestica dei gatti risale a un’epoca molto più antica di quanto ritenuto finora.
Lo ha dimostrato un nuovo studio condotto da Eva-Maria Geigl e Thierry Grange, ricercatori specializzati in paleogenetica all’Istituto Jacques Monod di Parigi.
Le analisi condotte sul DNA dei resti di 209 felini ritrovati in oltre 30 siti archeologici ne hanno attestato la presenza in Medio Oriente ben dieci millenni fa.
Qui, in seguito alla comparsa dell’agricoltura, il gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica, foto sotto) o gatto del deserto si avvicinò per la prima volta all’uomo, attratto dalla presenza nei villaggi di numerosi topi che infestavano le scorte di orzo e grano.
Per ovvi motivi di convergenti interessi, uomini e felini diedero così vita a un’alleanza protrattasi fino ai nostri giorni.
Grazie agli Egizi, che li utilizzavano come “scaccia-topi” anche sulle navi, i felini, chiamati con il nome onomatopeico di Mau, divennero il simbolo della benevolenza degli dei, tanto da guadagnarsi l’onore supremo della mummificazione.
I fitti contatti commerciali con i trafficanti egizi fecero conoscere il gatto dapprima ai Greci, quindi ai Romani, ai Galli e ai Britanni.
Così l’abile cacciatore peloso dal caratteristico mantello tigrato si conquistò un posto in tutto il Vecchio Mondo, adattandosi via via alle varie condizioni ambientali e diversificandosi nella struttura del corpo e della testa.
Solo nel tardo Medioevo si diffusero in Europa le mutazioni che rendono bianco, rosso, nero o pezzato il loro mantello: una selezione effettuata per ragioni estetiche che non ha comportato praticamente alcun cambiamento genetico della specie.
Il gatto selvatico africano (foto sotto) era presente in Medio Oriente già 10mila anni fa. Si avvicinò all’uomo attratto dai topi che nei villaggi infestavano le scorte di cereali.
2. Abili manipolatori
Come ben sa chi ne possiede uno, l’addomesticamento del gatto è ben diverso da quello del cane. Il che, in realtà, non deve sorprendere: i cosiddetti “animali domestici” sono quelli che vivono in branchi e sono abituati a una gerarchia, condizione preliminare per accettare gli umani come animali alfa, cioè dominanti.
Ma questo non è il caso del gatto. A differenza dei socialissimi lupi, gli antenati selvatici dei gatti erano animali solitari e individualisti che si avvicinarono agli esseri umani perché presso di loro potevano cacciare indisturbati le loro prede preferite.
Secondo una ricerca guidata dall’archeologo Thomas Cucchi del Museo di Storia Naturale di Parigi, i gatti non si sarebbero fatti addomesticare come è accaduto al cane, ma con il tempo si sono semplicemente adattati a una convivenza opportunistica con l’uomo.
In un certo senso sarebbero stati loro ad addomesticare noi, concedendoci benevolmente il beneficio della loro presenza e trovando il modo di farci fare esattamente ciò che vogliono.
Lo dimostrerebbe anche uno studio condotto da Karen McComb dell’Università inglese di Brighton.
La ricercatrice ha trovato che un particolare modo di fare le fusa, mescolato a un miagolio basso che ricorda il pianto di un neonato, rappresenta l’arma segreta usata dai gatti quando vogliono attirare la nostra attenzione per ottenere ciò che desiderano.
Analizzando la reazione a diversi tipi di miagolii da parte delle persone partecipanti allo studio, sia possessori di gatti sia non, si è arrivati a stabilire che le fusa miste a tale tipo di pianto suscitano attenzione anche in quanti non hanno mai avuto un micio.
Secondo la studiosa inglese, infatti, tali suoni sono emessi a una frequenza che agisce sul cervello umano attivando l’istinto di protezione che normalmente entra in gioco quando ci si deve prendere cura dei bambini.
In pratica, quando il micio emette questo verso, sentiamo la necessità impellente di accontentarlo purché smetta.
3. La voce del padrone
Del resto, anche la maggior parte delle persone tende a cambiare voce e intonazione quando parla con il suo gatto, proprio come fa quando si rivolge a un bambino.
Le parole si semplificano, le sillabe si ripetono e la voce si fa acuta. Gli amici felini se ne accorgono?
Hanno una reazione specifica quando gli si parla in questo modo? Secondo le conclusioni di un team guidato da Charlotte de Mouzon, etologa presso l’Université Paris Nanterre, i gatti non solo sono in grado di distinguere la voce di chi si occupa di loro da quella di un estraneo, ma riescono anche a capire quando chi li accudisce si sta rivolgendo a loro con un tono particolare.
Per dimostrarlo i ricercatori hanno coinvolto 16 gatti in tre tipi di scenari in cui venivano fatte ascoltare loro delle registrazioni nelle quali si alternavano in vario modo le voci del proprietario con quelle di un estraneo: entrambi a volte discorrevano fra loro e a volte si rivolgevano al gatto, usando toni diversi.
Monitorando il comportamento degli animali, come i movimenti delle orecchie e della coda e la dilatazione delle pupille, si è constatato che la maggior parte dei gatti non presta particolare attenzione alla voce di uno sconosciuto, ma riconosce e reagisce quando il “suo umano” gli parla.
Lo studio fornirebbe quindi un’ulteriore prova che i gatti non percepiscono i proprietari come semplici fornitori di riparo e cibo, ma che quanto li lega a loro va ben oltre la soddisfazione dei bisogni fondamentali.
La loro sintonia con l’uomo è attestata anche da uno studio condotto da un team della Oregon State University (USA). La ricerca è consistita nel mettere coppie di gatti e padroni di fronte a un insolito macchinario rumoroso.
Tutti gli animali tendevano in un primo momento a muovere gli occhi rapidamente dall’oggetto ai padroni: se questi fingevano di mostrarsi spaventati, i gatti si tenevano a distanza di sicurezza, ma se gli umani mostrano di maneggiarlo gli animali tendevano anch’essi ad avvicinarsi all’oggetto per esplorarlo. Segno, ha concluso la ricerca, che i gatti adattano molti dei loro comportamenti alle emozioni che mostrano i loro padroni.
4. Il linguaggio del corpo. Noi siamo i loro “genitori”
A differenza dei cani, i gatti non accolgono il loro padrone scodinzolando o saltandogli addosso, ma ciò non significa che non nutrano affetto nei suoi confronti.
Il fatto è che lo esprimono in modo più sottile. Lo fanno fin dalle prime settimane di vita adottando un particolare linguaggio del corpo: lo stesso che riservano ai membri del loro gruppo sociale.
Se per esempio il micio ci viene incontro con la coda alzata, è un buon segno: denota familiarità, fiducia e affetto. Una coda a forma di punto interrogativo può invece significare che vuole salutare qualcuno che gli piace o che vuole giocare.
Una testata sulla parte posteriore del ginocchio, solitamente riservata agli amici felini più stretti, sembra essere dedicata alle persone di cui si fidano di più. Anche rotolarsi sulla schiena ed esporre la pancia, la parte del corpo più vulnerabile, è un atteggiamento che denota fiducia assoluta.
I gatti preferiscono però essere accarezzati sulla testa e sul collo, mentre indugiare troppo a lungo con la nostra mano sulla pancia ha spesso per risposta un graffio irritato. Anche il modo in cui i gatti ci guardano è importante.
Quando incontrano persone o consimili sconosciuti, di solito li salutano con gli occhi spalancati. Ma se hanno un buon rapporto con chi li avvicina tendono ad ammiccare in segno di profonda soddisfazione e affetto. Secondo alcune ricerche recenti, un lento battito di palpebre è paragonabile al sorriso di un essere umano.
Un altro studio condotto alla Oregon State University, ha rivelato che i gatti mostrano stili di attaccamento a chi si prende cura di loro simili a quelli espressi da cani e neonati.
Non importa quanto arroganti o distaccati possano sembrare, in realtà considerano colui o colei che si prende cura di loro come se fosse il proprio padre o la propria madre. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno coinvolto un grup- po di 70 gatti, sia giovani sia adulti, in uno specifico esperimento chiamato “secure base test”.
L’esperimento si è svolto lasciando ogni gatto a trascorrere due minuti in una nuova stanza con il proprio padrone, trascorsi i quali veniva fatto rimanere da solo per altri due minuti. Subentrava quindi una fase di ricongiungimento, nella quale il padrone ritornava nella stanza.
Osservando come reagivano al ricongiungimento dopo quella breve assenza, è risultato che i gatti si comportano esattamente come i bambini, stabilendo da subito con il proprietario rapporti profondi. Essi rimangono tali anche nell’età adulta, quando cioè i gatti non sono più dei cuccioli insicuri.
Lo dimostreranno avvicinandosi al loro “umano preferito” con la coda alta e gli occhi semichiusi, strofinandosi alle sue gambe, seguendolo ovunque come un’ombra, leccandolo o mordicchiandolo. In altre parole, mettendo in atto quella ben nota serie di comportamenti che lo rendono assolutamente irresistibile.
5. Il “radar” nei baffi, occhi che vedono al buio e gli altri super poteri dei gatti
- Baffi come radar
Chiamati vibrisse, sono costituiti da 16 a 24 peli divisi equamente ai due lati del muso. Più lunghi e rigidi rispetto agli altri peli, sono profondamente ancorati a zone con un’alta concentrazione nervosa.
Sono così sensibili da captare i minimi spostamenti d’aria, tanto da permettere al gatto di monitorare anche al buio la distanza, la direzione e persino la consistenza della preda, nonché di percepire in anticipo l’arrivo di un terremoto.
Le vibrisse permettono al gatto anche di comunicarci il loro umore: quando è arrabbiato le porta all’indietro in direzione delle orecchie, mentre quando è tranquillo, felice o curioso le mantiene rilassate e protese in avanti.
- Olfatto prodigioso
La struttura esterna del naso felino è conica, costituita da pelle pigmentata di colore rosa, nera o, in alcuni casi, di entrambi i colori ed è provvista di circa 200 milioni di recettori olfattivi contro i 5 milioni dell’uomo.
Ciò fa sì che le sue capacità di percepire e classificare un odore siano 14 volte più potenti delle nostre. La struttura interna è invece costituita da una complessa rete di pieghe ossee che intrappolano l’aria carica di odori in modo da tenerla a contatto con le cellule sensoriali.
All’interno della bocca, sotto il palato è inoltre presente un organo di senso olfattorio ausiliario, il cosiddetto “organo del Jacobson”, grazie al quale il felino può captare i feromoni e comunicare con gli animali della sua specie.
- Udito finissimo
I nostri amici pelosi sentono di più e meglio dell’uomo. Mentre noi non udiamo frequenze superiori ai 20.000 Hertz, i gatti adulti arrivano fin a 65.000 e i piccoli fino a 100.000.
Un’altra capacità, altrettanto sorprendente, è quella di riuscire a roteare fino a 180 gradi le orecchie in modo indipendente l’una dall’altra grazie a ben 32 muscoli per ognuno dei padiglioni auricolari.
Questo permette loro di determinare l’esatta provenienza dei suoni, perfino quelli che vengono da due direzioni diverse e si differenziano pochissimo tra loro.
Tale capacità è dovuta al fatto che il cranio del gatto contiene due camere risonanti ampie, le bolle timpaniche, che sono un ingrossamento dell’osso del timpano: i suoni vi passano attraverso e ne risultano molto amplificati.
- Occhi che vedono al buio
Senso altamente specializzato, la vista dei gatti è molto diversa da quella umana. I gatti sono in grado di distinguere il giallo, il viola, il blu, il verde ma non il rosso e, conseguentemente, arancione e marrone.
Il loro campo visivo arriva inoltre fino a circa 200 gradi contro i 180 dell’uomo. Gli amici felini fanno più fatica di noi a mettere a fuoco gli oggetti lontani, ma in compenso godono di un’ottima visione crepuscolare e notturna, ideale per la caccia.
Tutto merito di un maggior numero di bastoncelli e di una struttura chiamata Tapetum lucidum: una membrana riflettente a forma di mezzaluna che si trova dietro alla retina che ha il compito di aumentare la quantità di luce in arrivo.