I have a dream: 60 anni da quello storico discorso, un sogno di uguaglianza e libertà

“Quando si alzò, un grande boato si alzò dalla folla. Quando iniziò a parlare, calò il silenzio”.

Così scrisse l’inviato del New York Times, Edwin Wentworth Kenworthy, detto Ned, per raccontare l’inizio del più celebre discorso del reverendo Martin Luther King Jr.: “I have a dream”, “Io ho un sogno”.

Un discorso tenuto il 28 agosto 1963 nella cornice del Lincoln Memorial di Washington DC, la capitale degli Stati Uniti, davanti a 200mila partecipanti. King Jr. divenne allora il simbolo della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti e un’icona della storia antirazzista del Novecento.

Sono passati 60 anni dal giorno in cui Martin Luther King pronunciò il suo celebre discorso. Parlava di un sogno di uguaglianza e libertà per gli afroamericani, ma non solo.  Cosa accadde quel giorno? E perché fu così importante? Scopriamolo insieme.

1. ANTI-SEGREGAZIONE

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Nato nel 1929 ad Atlanta, in Georgia, Martin Luther King Jr. era un reverendo battista e un uomo impegnato.

Divenne noto a livello nazionale, nel 1955, per essersi distinto in una particolare forma di protesta: il boicottaggio dei bus di Montgomery, in Alabama, a seguito della disobbedienza e dall’arresto di Rosa Parks, la donna afroamericana che si era rifiutata di cedere il suo posto su un autobus a una persona bianca.

L’azione collettiva durò più di un anno e, quando la Corte Suprema dichiarò incostituzionale la segregazione razziale sui mezzi pubblici, si concluse con una vittoria per i manifestanti. 

Da lì emerse con forza il movimento per i diritti civili in favore della comunità afroamericana, animato da vari gruppi, e King Jr. ne divenne subito una figura di riferimento.

Negli Anni ’50 fondò una nuova e dinamica associazione che doveva coordinare il movimento: il Congresso dei leader cristiani degli Stati del Sud (Southern Christian Leadership Conference).

King Jr. guidò sit-in pacifici e manifestazioni di massa per porre fine alla discriminazione razziale nei luoghi pubblici (ristoranti, negozi, scuole), si distinse per le doti oratorie e le abilità organizzative, ma dovette subire ritorsioni, offese, minacce, denunce, finendo anche in carcere. 

Non fu semplice scontrarsi con un potere così regressivo e monolitico, spesso fondato sul razzismo e sostenuto da milioni di americani e americane convinti dell’inevitabilità della disuguaglianza razziale e, in particolare, dell’inferiorità degli afroamericani di fronte ai bianchi, considerati unici detentori della piena cittadinanza.

A tutto ciò King rispose con un messaggio politico di pace e uguaglianza, credendo fermamente che la Storia si stesse muovendo sulle ali della libertà e che l’ora del cambiamento, dopo anni di soprusi e vessazioni, fosse finalmente scoccata.

Nella foto sotto, Martin Luther King Jr. con il presidente Lyndon Johnson alla Casa Bianca (18 marzo 1966).

2. INSIEME SI VINCE

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Il 28 agosto 1963 fu dunque una tappa essenziale di un percorso lungo e articolato per chiedere la fine della segregazione razziale e della subordinazione economica degli afroamericani, e quindi l’inizio di una nuova convivenza tra bianchi e neri.

La Marcia su Washington per il lavoro e la libertà (“March on Washington for Jobs and Freedom”), fu organizzata da diverse associazioni sindacali, attirò l’attenzione della stampa e raccolse persone da tutti gli Stati Uniti, che raggiunsero la capitale con ogni mezzo possibile.

La battaglia ingaggiata contro l’odio, la disuguaglianza sistemica e l’inerzia conservatrice fu quindi affrontata in una dimensione collettiva, attraverso il principio della nonviolenza e con una partecipazione democratica. Fu un giorno di orgoglio e di protesta, in cui presero la parola molte voci autorevoli in grado di rappresentare segmenti diversi della frastagliata società americana e delle sue componenti più discriminate.

Quando fu il suo turno, King Jr. mise tutto se stesso per farsi ascoltare ed essere incisivo. Cominciò seguendo la traccia di un testo preparato precedentemente, almeno nei primi passaggi, ma poi non esitò a uscire dagli schemi con grande maestria.

Utilizzò un ricco repertorio retorico con rimandi biblici e riferimenti storici, trasmise la sincerità e l’urgenza di cui erano intrise le sue argomentazioni e riuscì a toccare nel profondo cittadini e cittadine che sentivano di vivere una fase di trapasso e di inevitabile evoluzione, nel segno di una maggiore eguaglianza e di una migliore giustizia sociale.

Tutti allora parvero condividere il sogno evocato da King Jr. (“I have a dream”): vivere in un Paese finalmente libero dalla segregazione razziale.

Arnaldo Testi, già docente di storia degli Stati Uniti presso l’Università di Pisa e autore di saggi come Il secolo degli Stati Uniti e I fastidi della storia. Quale America raccontano i monumenti (entrambi editi da Il Mulino), spiega: «Il discorso di Martin Luther King Jr. fu l’ultimo e il più ispirato ma non il più emblematico del significato di quella lunga giornata. Veniva dopo altri discorsi di denuncia e di rivendicazione, e anche il suo, con il testo che aveva preparato, parlava di eguaglianza e giustizia economica, tema che gli era familiare, e che sarebbe diventato centrale negli ultimi tempi della sua vita. Ma King Jr. abbandonò il testo scritto, e prese il volo con la celebrazione delle durezze e delle speranze del Civil Rights Movement e con la visione di un futuro di integrazione razziale. Infiammò i presenti».

3. EREDITÀ INCANCELLABILE

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King Jr. dimostrò di padroneggiare al meglio le doti necessarie per esercitare in modo convincente la sua leadership: passione, carisma, lungimiranza.

E ottenne un grande successo anche perché, così come tutta la marcia su Washington, le sue parole vennero trasmesse in diretta dalla rete televisiva Cbs e poi, grazie ai nuovi satelliti Telstar, al mondo intero, o almeno a quello transatlantico.

Così, nel dibattito pubblico il discorso I have a dream ottenne una visibilità assoluta. Da un lato fu usato per rinsaldare l’unità del movimento per i diritti civili, non sempre compatto e ben organizzato. Nella foto sotto, King Jr. (quarto da sinistra) e altri leader dei movimenti per i diritti civili alla marcia di Washington del 1963.

Dall’altro – in un tempo in cui il radicalismo politico si andava diffondendo tra gli afroamericani – giornalisti, opinionisti e politici progressisti bianchi elogiarono l’approccio conciliante e dialogante di King Jr., facendone un interlocutore privilegiato. 

Il 28 agosto 1963 fu uno dei momenti più alti della carriera di attivista del reverendo nato ad Atlanta. La profondità dei temi sollevati e l’eco suscitata in tutto il Paese, anche grazie alla copertura dei mezzi di comunicazione, ebbero un ruolo di spinta e propulsione per la questione dei diritti civili, alimentando la determinazione di milioni di persone.

Si giunse così, con la firma del presidente democratico Lyndon B. Johnson (succeduto a John F. Kennedy, assassinato in quello stesso 1963) all’approvazione nel 1964 del Civil Rights Act, che proibiva la discriminazione razziale sul lavoro, nell’istruzione, nella ricerca di un alloggio e in altri ambiti.

In quel 1964 King Jr. fu insignito del Nobel per la pace. E nel 1965, finalmente, fu approvato il Voting Rights Act, che garantiva il diritto di voto agli afroamericani.

Nella foto sotto, il balcone della stanza del Lorraine Motel a Memphis, Tennessee, dove King Jr. fu ucciso il 3 aprile.

4. MARTIRE

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Il discorso "I Have a Dream" è stato pronunciato in un periodo di profonda segregazione razziale negli Stati Uniti. Gli afroamericani erano ancora soggetti a discriminazioni sistemiche, alla segregazione nelle scuole, nei trasporti pubblici e in molte altre aree della società.

La marcia durante la quale fu tenuto il discorso era un appello a porre fine a queste ingiustizie e a garantire l'uguaglianza per tutti i cittadini americani, indipendentemente dalla loro razza. Il discorso di Martin Luther King Jr. è rimasto impresso nella memoria collettiva grazie alla sua visione ottimistica e al suo potente richiamo all'uguaglianza.

La lotta per una piena emancipazione, però, non era ancora vinta. Le tensioni continuarono e la polarizzazione si accentuò. L’America si rivelò profondamente divisa e l’odio razzista colpì lo stesso King Jr., assassinato con un colpo di fucile in un motel di Memphis, nel 1968.

Di lui rimase un ricordo indelebile: non solo per le qualità morali, ma anche per i metodi utilizzati nel confronto politico. Continua Testi: «King Jr era un sognatore dalla vista e dall’immaginazione lunga, ma anche un sognatore militante di cose concrete.

Evocava obiettivi storici, cambiare le condizioni civili, politiche ed economiche dell’America nera, quindi cambiare l’America. Ma era anche un dirigente pragmatico che chiudeva accordi, faceva compromessi, apprezzava le conquiste parziali: non che bastino, ma sono qualcosa che prima non c’era.

Era infine un militante che usava mezzi militanti per ottenere le mete vicine e avvicinarsi alla meta lontana: l’azione in prima linea, nonviolenta ma provocatrice di violenza altrui, guardando il potere negli occhi, mettendo in gioco il suo corpo, rischiando la vita». Per questo, ancora oggi, il potente I have a dream scandito dal reverendo King smuove le coscienze a latitudini e in generazioni diversissime.

Nella foto sotto, i funerali del reverendo ad Atlanta (9 aprile 1968).





5. LE PAROLE DI KING JR.

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Il discorso I have a dream è stato analizzato da moltissimi studiosi di diverse discipline e rappresenta un modello per ritmo, intensità, scelte lessicali, significato.

A partire dall’inizio, quando King Jr. disse: “Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla Storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro Paese”.

In un passaggio particolarmente coinvolgente, con una citazione esplicita della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776, King Jr. si rivolse ai presenti affermando: “E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno.
È un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali”.

La conclusione, poi, fu fulminante: “E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni Stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: ‘Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente’ ”.








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