I No vax nella storia: un dibattito che viene da lontano

L’ultima persona a morire di vaiolo fu Janet Parker, una fotografa medica, che contrasse accidentalmente la malattia lavorando a Birmingham (Regno Unito), in uno dei pochi laboratori al mondo dove si conservavano campioni del virus.

Il professor Henry Bedson, responsabile della struttura, viste le gravi condizioni in cui versava la fotografa, si tolse la vita.

Cinque giorni dopo, l’11 settembre 1978, morì anche la Parker, ultima delle centinaia di milioni di vittime che il vaiolo, attestato in Europa sin dal XVI secolo, si era già portato via.

Due anni dopo, nel 1980, l’Oms dichiarò il Pianeta libero da questa malattia.

La guerra al morbo che per secoli aveva martoriato Asia, Africa Settentrionale ed Europa, e che dopo i viaggi di Cristoforo Colombo aveva devastato anche il Nuovo Mondo, era stata vinta. Ma per debellare il virus ci erano voluti tempo, fortuna e una forte volontà politica.

Ieri come oggi, i vaccini si portano dietro un pesante fardello di polemiche, paure e dibattiti sulla libertà di scelta. Una reazione già vista tra ’800 e ’900, durante le campagne vaccinali obbligatorie che hanno eradicato il vaiolo.

 

1. ESITAZIONE VACCINALE

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Oggi, con il senno di poi, sappiamo che il virus del vaiolo era relativamente semplice da eradicare: «Non ha un serbatoio animale e se lo si elimina negli uomini sparisce per sempre», afferma Charles Kenny nel saggio La danza della peste (Bollati Boringhieri).

«Inoltre il vaccino costava poco ed era stabile: non richiedeva né refrigerazione né procedure d’iniezione complicate. Una volta individuato chi presentava sintomi, bastava vaccinare rapidamente tutti coloro che gli stavano intorno (la cosiddetta vaccinazione ad anello)».

Eppure per portare a compimento “l’annientamento della più tremenda piaga della specie umana”, come la definì Edward Jenner (1749-1823), il medico inglese che mise a punto il vaccino, non bastò aver scoperto come immunizzarsi.

Fu necessario vincere le resistenze della propaganda antivaccinista, che prese piede in tutta Europa tra ’800 e ’900, parallelamente alla diffusione della profilassi vaccinale obbligatoria (in Italia, dal 1888).

 

Il movimento, appellandosi alla rivendicazione della libertà di scelta e all’etica della responsabilità individuale, limitate dallo Stato in nome della salute pubblica, mobilitò molte persone soprattutto nelle grandi città, suscitando ondate di proteste.

«Anche se in minoranza, gli antivaccinisti all’inizio del secolo trovarono nella stampa quotidiana una tribuna che dava spazio e amplificava dubbi e accuse per i possibili danni, attacchi all’amministrazione comunale e incitazioni alla disobbedienza civile contro una pratica che molti ritenevano priva di fondamento scientifico», spiega Eugenia Tognotti nel saggio Vaccinare i bambini tra obbligo e persuasione: tre secoli di controversie (Franco Angeli).

Ma facciamo un passo indietro. Perché, come sottolinea Eugenia Tognotti, fu la variolizzazione (una pratica empirica e rischiosa, antenata della vaccinazione antivaiolosa) «a rappresentare la preistoria dell’esitazione vaccinale dei nostri giorni, anticipandone i motivi: scetticismo, diffidenza, dubbi sull’efficacia e la sicurezza, resistenze culturali e obiezioni religiose».

Qua sotto, Edward Jenner mentre inocula il siero in un bambino di 8 anni attraverso 2 incisioni sul braccio.

 

2. LUMINARI?

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“Sempre il novo ch’è grande appar menzogna”, scriveva nel 1777 Giuseppe Parini (foto a sinistra) nell’ode intitolata L’innesto del vaiuolo, per sostenere i medici che inoculavano il virus (in questo consisteva, semplificando, la variolizzazione).

Ebbene sì, anche nel secolo dei Lumi le innovazioni in campo medico suscitavano grandi controversie, nonostante la ragione e la scienza avessero preso idealmente il sopravvento sulla superstizione e sulla religione.

Il dibattito era tra gli “illuministi”, che ritenevano la pratica una difesa contro la cieca ignoranza, e gli “oscurantisti”, che si opponevano a quella che consideravano un’offesa contro il Creatore.

 

Nelle Novelle letterarie, pubblicate a Firenze nel 1750, per esempio, si scriveva con grande sicurezza che l’inoculazione non “doveva farsi per alcun conto, perché sia contro la prudenza medica e contro la pietà cristiana tentando una cosa dubbia, e facendo venire un mal certo, che talora riesce mortale, a uno che è sano”.

A metà del Settecento, in contrapposizione all’oscurantismo religioso, in Italia si consolidò un movimento nei circoli aristocratici e alto borghesi, con il supporto di intellettuali come Cesare Beccaria e Pietro Verri, in difesa dei medici che lottavano contro il vaiolo.

A onor del vero, i contestatori della variolizzazione non avevano tutti i torti: la pratica di inoculare, attraverso un’incisione sulla pelle di un paziente sano, il pus prelevato dalle lesioni di un malato, in uso fin dal X secolo in Cina, se andava bene provocava una forma lieve di vaiolo (perché la via di trasmissione più aggressiva del virus è quella polmonare), ma poteva anche essere molto pericolosa: diffondeva il contagio usando un virus umano vivo, attenuato in modo rudimentale, e in alcuni casi portava a una forma della malattia che conduceva alla morte.

Qua sotto, pustola del vaiolo bovino.

 

3. INTUIZIONE

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Solo l’invenzione di un vaccino sicuro segnò il primo passo verso la liberazione dal vaiolo, che portava in dote un altissimo tasso di mortalità: centinaia di milioni di vittime e, soltanto nel XX secolo, un numero cinque volte superiore ai morti della Seconda guerra mondiale.

Il merito fu di Edward Jenner, che nel 1796 estrasse materiale dalle lesioni del vaiolo bovino di una donna infetta e lo iniettò in un bambino di otto anni, rendendolo immune.

Nel 1798 Jenner descrisse i risultati del suo esperimento nel trattato An Inquiry into the Causes and Effects of the Variolae Vaccinae (termine latino che significava “vaiolo delle vacche”, da cui Pasteur nel 1882 mutuò, in onore di Jenner, la parola “vaccino”).

L’intuizione di ricorrere al vaiolo bovino, che negli umani dava luogo solo a una forma blanda della malattia, fu geniale.

«La procedura era nata dall’esperienza degli allevatori delle campagne inglesi: chi aveva contratto il cowpox, la forma bovina del vaiolo, sfuggiva a quello umano, assai più temibile», spiega Kenny.

Nel 1802 il Parlamento britannico premiò Jenner con 10mila sterline e presto in Europa si cominciarono a pianificare campagne vaccinali per contrastare il vaiolo.

 

4. SANITÀ PUBBLICA, RISCHI-BENEFICI

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«La Danimarca rese il vaccino obbligatorio nel 1810, seguita dalla Russia nel 1812 e dalla Svezia nel 1816», racconta ancora Kenny. Gli effetti positivi non tardarono a farsi vedere: «Tra il 1801 e il 1822, le morti dovute al vaiolo in Svezia calarono da 12mila a 11».

Nel 1853 in Inghilterra fu approvato il Vaccination Act, che prevedeva l’obbligo di vaccinare contro il vaiolo tutti i bambini nati dopo il 1° agosto di quell’anno.

«Al termine del XVIII secolo, a Londra, il vaiolo era ancora responsabile del 9% di tutte le morti. Nella seconda metà del XIX la percentuale si era ridotta all’1%», ricorda Tognotti.

«In Italia, dopo la breve esperienza dell’obbligatorietà imposta nel 1806 nel Principato di Lucca e Piombino, durante la dominazione francese, si introdusse una riforma sanitaria che prevedeva la vaccinazione anti-vaiolosa universale solo con la legge del 1888».

 

L’entusiasmo della politica e la graduale accettazione ecclesiastica della pratica vaccinale non corrisposero a una altrettanto buona accoglienza da parte della popolazione.

La “componente animale” era vista con sospetto: la paura era che producesse effetti collaterali o predisponesse ad altre malattie, insomma che i rischi superassero i benefici.

«I rischi, ostinatamente negati dai vaccinatori e dai responsabili di strutture e commissioni vacciniche pubbliche, esistevano, per quanto la pratica fosse infinitamente meno rischiosa della variolizzazione», precisa Tognotti.

«Il “pus vaioloso”, prima che si arrivasse alla standardizzazione della produzione del vaccino, non sempre era di buona qualità per varie ragioni. Poteva essere contaminato da batteri. Col tempo, si moltiplicarono eventi avversi come la trasmissione della sifilide nel passaggio della linfa vaccinica di braccio in braccio».

In più, emerse un limite: «Il materiale immunizzante perdeva progressivamente la sua efficacia e non proteggeva dal vaiolo per tutta la vita, come “dogmaticamente” aveva sostenuto Jenner, quindi bisognava rivaccinarsi».

Qua sotto, caricatura della morte che impugna il Vaccination Act, pubblicata sulla rivista satirica Punch nel 1898.

 





5. FAKE NEWS E COOPERAZIONE

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Alla fine del XIX secolo, nonostante i progressi raggiunti nel frattempo sulla sicurezza delle vaccinazioni, nacque la prima Lega italiana antivaccinazione, fondata da Carlo Rauta, docente di Materia medica all’Università di Perugia.

Il “pioniere dei no vax”, nel 1898, nel primo dei tanti ricorsi presentati al ministro dell’Interno, contestava l’obbligatorietà della vaccinazione antivaiolosa con queste parole: “non dà il minimo vantaggio, mentre i danni che essa produce sono assai maggiori [...]. Moltissimi sono i casi di bambini sani e robusti che dopo la vaccinazione diventano macilenti, sparuti, e che non soltanto non riacquistano la salute, ma talora deperiscono fino alla morte”.

Durante la primavera del 1917, in parallelo alla diffusione di una nuova epidemia, mentre già infuriavano le proteste contro la guerra e la mancanza di generi alimentari, da Nord a Sud si diffuse una diceria complottista: il vaccino conteneva del veleno ed era un mezzo usato dal governo per sterminare i bambini, in modo da ridurre i sussidi alimentari alle famiglie degli uomini chiamati al fronte.

Ovunque le madri dei ceti più poveri ritirarono i figli dalle scuole pur di sfuggire al vaccino.

 

I tumulti si diffusero al punto che nel febbraio 1918 il ministro degli Interni Vittorio Emanuele Orlando diede ordine ai prefetti di svolgere “un’azione attivissima e illuminata per combattere l’insana propaganda”.

La tenace opposizione ai vaccini ha conosciuto anche periodi di tregua: in Italia, per esempio, durante gli anni del fascismo e nel secondo dopoguerra.

Dopo il continuo diffondersi di focolai di vaiolo in tutto il mondo, nel 1966 l’Oms fu costretta a lanciare un ennesimo appello agli Stati affinché si sforzassero di eradicare la malattia: fu l’unico caso di collaborazione tra Usa e Urss, durante la Guerra fredda.

Le due superpotenze inviarono oltre 140 milioni di dosi l’anno ciascuno, oltre a consulenti e attrezzature, in 20 Stati dell’Africa Occidentale. Nel giro di tre anni e mezzo la malattia fu debellata in quella zona del mondo.

L’obbligo vaccinale rimase ancora in vigore per un decennio, finché nel 1977 in Italia fu presentato un disegno di legge sulla sospensione della vaccinazione antivaiolosa, abolita definitivamente dall’Oms nel 1981. Ormai, non serviva più.

Qua sotto, "Il salotto dell’immunità". Un’illustrazione del XIX secolo raffigura pazienti pronti a vaccinarsi contro il vaiolo, con l’inoculazione del virus vivo di un vitello.

 








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