Tra il 1914 e il 1918, l’Europa fu il principale teatro della Prima guerra mondiale.
Lo scontro tra grandi potenze per il controllo di spazi, risorse e per la conquista dei mercati si sovrappose a rivendicazioni di tipo risorgimentale (la “cacciata dello straniero” dalla propria “patria”) e nazionalistico.
Tutti sappiamo che la Prima guerra mondiale è scoppiata in seguito all’attentato di Sarajevo. Non altrettanto chiari sono i motivi per cui i vari Stati si schierarono gli uni contro gli altri.
La Grande Guerra fu uno scontro tra blocchi guidati da due potenze aspiranti all’impero: da una parte l’Inghilterra che era imperiale da secoli e dall’altra un Paese emergente come la Germania.
Nel 1917, l’entrata in scena degli Usa a fianco dell’Intesa risultò decisiva, soprattutto per la forza economica che questi mettevano in campo, nel rompere il sostanziale pareggio tra i due blocchi.
Le cifre sono impressionanti: 65 milioni di combattenti, quasi 9 milioni di caduti e 6 di mutilati. Senza contare i milioni di vittime civili.
Ma quali sono stati i protagonisti della Grande Guerra? Re e imperatori, patrioti… Oggi vedremo chi contribuì, nel bene e nel male, a tale conflitto.
1. Guglielmo II e Paul von Hindenburg
Guglielmo II (1859-1941)
Chi era: fu l’ultimo imperatore della Germania (nella foto accanto), artefice di una lunga corsa al riarmo e della decisione di trascinare il Paese nel gorgo del conflitto mondiale.
Che cosa ha fatto: salito al potere nel 1888, mostrò notevole carisma a dispetto di un grave handicap al braccio sinistro, battendosi in ambito interno per pacificare le parti sociali secondo i principi del socialismo cristiano e adottando in politica estera scelte espansioniste impostate soprattutto sul riarmo navale.
Tale atteggiamento contribuì al deterioramento dei rapporti con la Gran Bretagna, lesta nell’avvicinarsi alla nemica storica della Germania: la Francia.
Per contrastare la politica di accerchiamento che si stava formando attorno a lui, tentò invano di stringere un’alleanza con lo zar russo Nicola II, consolidando intanto l’amicizia con l’Austria-Ungheria.
Proprio l’appoggio dato agli austriaci, autori dell’ultimatum alla Serbia dopo l’assassinio dell’erede al trono Francesco Ferdinando, condurrà la Germania verso il conflitto. Terminate le ostilità, abdicò e trascorse il resto della sua vita a Doorn, in Olanda. Prima di morire, nonostante avesse salutato con favore l’ascesa del nazismo, biasimò la persecuzione degli ebrei arrivando a dire: “Mi vergogno di essere tedesco”.
Paul von Hindenburg (1847-1934)
Chi era: proveniente dall’aristocrazia terriera, fu tra i leader militari più importanti della Prima guerra mondiale in qualità di guida di tutte le forze tedesche, validamente assistito dal capo di Stato Maggiore Erich Ludendorff, teorico della cosiddetta “guerra totale”.
Che cosa ha fatto: educato alle scuole per cadetti di Wahlstatt (Polonia) e di Berlino, combatté nella guerra franco-prussiana (1870-71) meritandosi nel 1903 la nomina a generale.
All’inizio della Prima guerra mondiale si distinse nelle battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri, dove diede filo da torcere all’esercito russo ottenendo nel 1916 il comando supremo di tutte le forze armate del Reich e dando il via l’anno seguente alla guerra sottomarina che contribuirà a determinare l’intervento statunitense nel conflitto.
Non riuscì in ogni caso a evitare la sconfitta tedesca, dopo la quale intraprese la carriera politica partecipando alla nascita della Repubblica di Weimar (1918-1933), di cui divenne anche presidente.
Nelle elezioni del 1932 ottenne il suo secondo mandato superando nei voti Adolf Hitler, ma nel 1933 (un anno prima di morire) nominò quest’ultimo Cancelliere del Reich, intrecciando il destino della Germania a quello del nazismo.
2. Gavrilo Princip e Francesco Giuseppe I d’Austria
Gavrilo Princip (1894-1918)
Chi era: fu un patriota bosniaco autore dell’attentato di Sarajevo (in cui perse la vita l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico), casus belli del primo conflitto mondiale in quanto usato a pretesto dall’Austria per dichiarare guerra alla Serbia (nella foto accanto).
Che cosa ha fatto: di umili origini, abbandonò gli studi per lasciarsi coinvolgere dal movimento nazionalistico serbo, unendosi in particolare all’associazione politico-rivoluzionaria “Giovane Bosnia”, il cui obiettivo principale era quello di liberare i territori bosniaci dal giogo dell’Impero austro-ungarico.
Per tale motivo, assieme ad altri patrioti sponsorizzati dalla società segreta Mano Nera (mirante a creare uno Stato indipendente slavo guidato dalla Serbia e che riunisse anche Bosnia, Erzegovina e Croazia), progettò un attentato ai danni di Francesco Ferdinando, rappresentante del dominio austro-ungarico sulle terre slave, e di sua moglie.
Il suo proposito omicida si concretò il 28 giugno del 1914, quando il patriota uccise le sue vittime con due colpi di pistola, scatenando di fatto il conflitto mondiale. Imprigionato, alla vigilia della fine della guerra morì di tubercolosi in carcere dopo un fallito tentativo di suicidio.
Francesco Giuseppe I d’Austria (1830-1916)
Chi era: appartenente alla casa d’Asburgo-Lorena, fu re d’Ungheria e ultimo imperatore d’Austria, ricordato per il lunghissimo regno (quasi 70 anni), le tragiche vicende familiari e per aver di fatto lanciato il conflitto.
Che cosa ha fatto: avviato alla carriera militare, combatté sul fronte italiano nel 1848 e nello stesso anno assurse al trono imperiale, in seguito all’abdicazione dello zio Ferdinando I.
Dopo il biennio 1848-1849, segnato da rivolte anti-austriache non solo in Italia ma anche in Ungheria, tentò con difficoltà di riportare in auge il prestigio del proprio Paese, supportato emotivamente dalla moglie Elisabetta di Baviera, nota ai più come Sissi.
I due si sposarono nel 1854, e fu proprio lei a favorire la pacificazione con il dissenso ungherese, tanto che nel 1867 l’imperatore assunse il titolo di re d’Ungheria.
Nel 1898 dovette dare addio all’amata moglie, uccisa da un anarchico italiano, mentre 9 anni prima era deceduto il figlio Rodolfo, probabilmente suicida.
Ormai ultraottantenne, nel 1914 fu indotto dall’assassinio del nipote ed erede al trono Francesco Ferdinando ad attaccare militarmente la Serbia, iniziando una guerra che dissolverà infine il suo impero, ma di cui non riuscirà a vedere la fine.
3. Thomas Woodrow Wilson, Philippe Pétain e Taisho
Thomas Woodrow Wilson (1856-1924)
Chi era: fu il 28° presidente statunitense, passato alla Storia per aver trascinato il Paese nella Prima guerra mondiale e per aver ideato la Società delle Nazioni (nella foto accanto).
Che cosa ha fatto: dopo una brillante carriera come docente universitario, nel 1910 fu eletto governatore del New Jersey e due anni dopo divenne presidente, insediandosi nella primavera 1913.
Tra le sue prime iniziative vi fu l’istituzione del Federal Reserve System, ma è ricordato anche per una politica discriminante verso i neri e, più in generale, verso i cittadini di origini straniere, che favorì indirettamente la rinascita del Ku Klux Klan, associazione xenofoba già debellata nel secolo precedente.
Nel 1917, nel pieno del primo conflitto mondiale, entrò in guerra contro la Germania dopo che questa aveva tentato di avvicinarsi al Messico inducendolo ad attaccare gli Usa. Terminati i combattimenti, avanzò la proposta di una Lega di nazioni che, sulla base del diritto all’autodeterminazione dei popoli, avrebbe assicurato in futuro l’integrità territoriale e l’indipendenza di ogni Paese associato.
Per tale impegno, culminato nel 1919 con la nascita della Società delle Nazioni (progenitrice dell’Onu a cui però non aderirono gli Usa), ricevette il Nobel per la pace.
Philippe Pétain (1856-1951)
Chi era: fu un acclamato generale francese che durante la Prima guerra mondiale riuscì a contrastare l’avanzata tedesca nella battaglia di Verdun. Più tardi fu a capo del regime di Vichy (1940- 44), entità politica sorta nel sud della Francia in seguito all’invasione nazista.
Che cosa ha fatto: dopo aver ricoperto diversi comandi, allo scoppio del conflitto fu nominato colonnello e poi generale di corpo d’armata, guadagnandosi un forte ascendente sui soldati in quanto sempre attento, laddove possibile, a risparmiarne le vite.
Apice della sua carriera fu la resistenza ai tedeschi nell’estenuante battaglia che dal febbraio 1916 si tenne presso Verdun, vicino al confine con il Belgio, dove Pétain tenne testa all’invasore ricorrendo con abilità all’ausilio dell’aeronautica.
Attraverso la cosiddetta Voie sacrée (“Via sacra”) riuscì inoltre a mantenere costante il rifornimento delle truppe e il trasporto dei feriti nelle retrovie, tenendo alto il morale dei combattenti.
Finita la guerra intraprese la carriera politica, fino a divenire nel 1940 presidente del Consiglio nel governo che sorse a Vichy durante l’occupazione nazista. Dopo la liberazione del Paese fu però processato per collaborazione con il nemico e condannato all’ergastolo.
Taisho (1879-1926)
Chi era: nato con il nome di Yoshihito, fu il 123° imperatore del Giappone e legò il suo nome (il cui significato è “grande rettitudine”) alla partecipazione alla Grande guerra, durante la quale riuscì a fare del proprio Paese una potenza di primo piano nello scacchiere geopolitico internazionale.
Che cosa ha fatto: figlio dell’imperatore Meiji, fu condizionato per tutta la vita da gravi problemi fisici e mentali, tanto che ebbe difficoltà negli studi e fu costretto a prolungati soggiorni in zone di mare.
Nonostante ciò, in seguito alla morte prematura dei quattro fratelli maggiori fu nominato erede al trono imperiale, su cui salì nel 1912.
Ottenute le redini del Paese, si rese protagonista di un rapido rinnovamento culturale e democratico, e allo scoppio della Prima guerra mondiale scese in campo contro la Germania (il Giappone era da tempo alleato della Gran Bretagna), cogliendo tale occasione per espandere i confini imperiali attraverso la conquista di colonie tedesche nell’oceano Pacifico e in Cina.
Fu così che il Giappone divenne a tutti gli effetti una grande potenza, fino a entrare nella Società delle Nazioni dopo la fine del conflitto. Nel 1921, Taisho abbandonò la vita pubblica e lasciò le funzioni imperiali al figlio Hirohito.
4. Pietro Badoglio e Armando Diaz
Pietro Badoglio (1871-1956)
Chi era: durante la Grande guerra fu uno dei responsabili della disfatta di Caporetto, ma il suo nome è legato soprattutto alla caduta di Mussolini del 1943, dopo la quale divenne capo del governo rendendosi protagonista delle fasi conclusive del Secondo conflitto mondiale.
Che cosa ha fatto: già dotato di un brillante curriculum militare, durante la Prima guerra mondiale si distinse per varie imprese prima di incappare in un grave errore alla vigilia della penetrazione austriaca a Caporetto del 1917.
Nell’occasione, lasciò infatti scoperta la riva destra dell’Isonzo, offrendo il fianco al nemico (qualcuno insinuò che fosse in combutta con esso).
La successiva commissione d’inchiesta lo assolverà, ma secondo alcuni solo perché il primo ministro Vittorio Emanuele Orlando aveva fatto sparire le carte che ne attestavano le colpe.
In epoca fascista divenne capo di Stato maggiore generale nonché Maresciallo d’Italia. Nel 1936 contribuì alla conquista dell’Etiopia grazie all’utilizzo di armi chimiche proibite, consentendo infine a Mussolini di proclamare la nascita dell’impero.
Ottenuta la carica di presidente del Consiglio dopo la caduta del Duce, l’8 settembre 1943 annunciò agli italiani la firma dell’armistizio.
Armando Diaz (1861-1928)
Chi era: fu il capo di Stato Maggiore del Regio esercito dopo la tragica battaglia di Caporetto (1917), con il merito di aver saputo ricompattare le truppe fino a condurle al trionfo finale nella Grande guerra.
Che cosa ha fatto: avviato fin da giovanissimo alla carriera militare, divenne ufficiale all’Accademia di Torino e si distinse successivamente nella Guerra italo-turca (1911-12). Durante la Prima guerra mondiale assunse il comando del XXIII Corpo d’armata, e poi, in seguito allo sfondamento austriaco a Caporetto, fu chiamato a sostituire Luigi Cadorna nella carica di capo di Stato Maggiore.
Dopo aver ammesso che “l’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: bisognerà presto rifarla pungente”, fu tuttavia abile a organizzare la resistenza sul Monte Grappa e sul fiume Piave, fino a che, nell’autunno del 1918, guidò alla vittoria i soldati italiani nella battaglia finale di Vittorio Veneto.
Per l’occasione fece inoltre stilare il famoso “Bollettino della Vittoria”,il documento con cui annunciò la disfatta nemica e il trionfo italiano nella guerra.
Con l’avvento del fascismo, Diaz assunse l’incarico di ministro della Guerra e il titolo di Maresciallo d’Italia, ma dal 1924 preferì ritirarsi a vita privata.
5. Vittorio Emanuele III, Sidney Sonnino e Gabriele D’Annunzio
Vittorio Emanuele III (1869-1947)
Chi era: Vittorio Emanuele III (nella foto accanto), figlio di Umberto e Margherita di Savoia, fu re d’Italia, imperatore d’Etiopia e re d’Albania, affrontò due guerre mondiali e si guadagnò l’epiteto di “re soldato” (oltre a quello di “re sciaboletta”, a causa della sua bassa statura).
Che cosa ha fatto: dopo aver frequentato la scuola militare “Nunziatella” di Napoli, nel 1900 sposò Elena del Montenegro e nello stesso anno divenne re d’Italia (in seguito alla morte del padre Umberto I).
Tra le sue iniziative si ricordano la promozione dell’Istituto internazionale d’agricoltura, antenato della Fao, e una serie di leggi sociali volte a garantire l’istruzione degli italiani e a tutelare emigranti, donne e minori.
Durante il primo conflitto mondiale si distinse inoltre per la caparbietà con cui si recò ogni giorno a far visita alle truppe, ma finita la guerra si mostrò pavido di fronte a Mussolini, affidandogli nel 1922 l’incarico di formare il governo.
Nel 1938 firmò inoltre le leggi razziali fasciste. Tuttavia, biasimando la figura di Hitler, mostrò forti perplessità circa l’intervento dell’Italia nella Seconda guerra mondiale al fianco della Germania.
Dopo il conflitto abdicò a favore del figlio Umberto II, proprio alla vigilia del referendum che il 2 giugno 1946 abolirà la monarchia.
Sidney Sonnino (1847-1922)
Chi era: fu ministro degli Esteri durante la Grande guerra, attivo protagonista delle trattative che portarono l’Italia nel confitto e di quelle che si svolsero alla fine dello stesso.
Che cosa ha fatto: già avviato alla carriera diplomatica, iniziò ad appassionarsi ai problemi del mondo contadino e alla questione meridionale, sia come giornalista, sia come politico.
Nel 1893, in qualità di ministro delle Finanze e del Tesoro, ideò inoltre un programma di risanamento apprezzato per la sua equità sociale. Dopo brevi esperienze a capo del governo, dal 1914 ricoprì la carica di ministro degli Esteri.
Partecipò quindi alle trattative che portarono l’Italia a stipulare il Patto di Londra (1915), trattato con cui, in cambio di vari compensi territoriali, il Paese si impegnò a scendere in campo contro gli imperi centrali nel Primo conflitto mondiale.
Dopo la guerra partecipò con il primo ministro Vittorio Emanuele Orlando alla Conferenza di pace di Parigi, entrando peraltro in contrasto con il presidente degli Usa Wilson, il quale contestava alcune delle promesse fatte all’Italia con il Patto di Londra.
Amareggiato dagli esiti della conferenza, lasciò la vita politica per dedicarsi alla passione di sempre: gli studi danteschi.
Gabriele D’Annunzio (1863-1938)
Chi era: soprannominato ”il Vate”, fu un brillante letterato, un ardimentoso soldato e un carismatico leader politico, capace di condizionare i gusti e le mode dell’Italia del suo tempo.
Che cosa ha fatto: già appassionato poeta, dopo il liceo si dedicò al giornalismo e alla letteratura, riscuotendo un buon successo con il romanzo Il piacere (1889).
Approfondì quindi gli scritti di Nietzsche, di cui rielaborò il concetto di “superuomo”, e si fece nel contempo conoscere nel mondo femminile per le doti di seduttore.
Poi, allo scoppio della Grande guerra, brillò in varie imprese (in primis aeree) prima di rimanere ferito a un occhio, perdendone l’uso. Nel 1919 guidò un manipolo di uomini alla conquista della città di Fiume, in Dalmazia.
L’anno dopo, terminata l’esperienza fiumana, si ritirò nel “Vittoriale degli italiani” (oggi museo), monumentale villa presso Gardone Riviera in cui abiterà fino alla morte, arricchendola con cimeli storici e oggetti d’ogni foggia.
Già distintosi come poeta, romanziere, pubblicitario, coniatore di neologismi e autore cinematografico, firmò nel 1925 il “Manifesto degli intellettuali fascisti” ma si oppose poi all’avvicinamento dell’Italia a Hitler, da lui definito “pagliaccio feroce”.