Nel 1025 ad Anse, una cittadina vicino a Lione, si svolse il Concilium Ansaeum, un sinodo locale chiamato a derimere una disputa tra due vescovi su chi avesse l’autorità di ordinare i monaci della grandiosa abbazia di Cluny.
Un braccio di ferro che si risolse quando l’abate Odilone di Cluny esibì il permesso papale che esentava l’abbazia dalla giurisdizione dei vescovi territoriali, permettendo le ordinazioni da parte dei vescovi scelti dall’abate stesso.
Per la nostra storia, quell’evento che passerebbe altrimenti inosservato riveste invece un’importanza particolare. Il nobile chiamato a leggere il giuramento di fedeltà pronunciato quel giorno dalla classe feudale, dimostrando così quanto fosse importante e rispettato fra i suoi pari, si chiamava Umberto ed era l’uomo che noi conosciamo come il Biancamano.
Ed ecco cosa disse davanti al sinodo:
«Ascoltate o cristiani del vescovado di Vienne, del vescovado e comitato di Belley, del comitato di Sermorens…
Io non violerò in alcun modo le chiese, io non violerò case erette nel circuito delle chiese come rifugio, se non per quel malfattore che abbia violata questa pace…
Io non assalirò e non imprigionerò eclesiastico o monaci che non portino armi… non ruberò loro i cavalli… Io non farò bottino di beni o di cavalli e muli che siano al pascolo…
Io non incendierò case… Io non distruggerò mulini, non ruberò il grano in essi esistente… Io non assalirò nobildonne… Io non vendemmierò vigna altrui».
Il nome di questo nobile, un conte, lo troviamo citato per la prima volta in un documento del 1003. Ma da dove arrivava il suo potere?
Oggi, infatti, ci occuperemo dei Savoia. e in particolare scopriremo le origini di una casata millenaria!. Buona lettura.
1. Le origini di una casata millenaria
Nei secoli intorno all’anno Mille, dopo un periodo freddo culminato ai tempi delle invasioni barbariche e della caduta dell’Impero Romano, le temperature tornarono a salire su tutto il continente europeo.
Se le popolazioni delle pianure ebbero estati caldissime e siccità, quelle alpine conobbero un periodo di grande sviluppo e prosperità.
Era finalmente possibile avere raccolti più ricchi, piantare la vite e i cereali a quote più elevate e disporre di nuovi pascoli per il bestiame.
In breve tempo si registrò un aumento della popolazione e la nascita di nuovi villaggi. Inoltre, l’arretramento di ghiacciai e di nevai permise, durante questo periodo caldo durato all’incirca tra l’800 e il 1200, la creazione di nuove strade e di nuovi passi in alta montagna, e quindi maggiori possibilità di comunicazione tra le popolazioni delle vallate alpine.
Nella stessa epoca mutò profondamente anche il clima politico. Il giorno di Natale dell’anno 800, nella basilica di San Pietro a Roma, Carlo, re dei Franchi e dei Longobardi, era stato incoronato imperatore da papa Leone III.
In pochi anni aveva conquistato e unito l’Europa, ridando vita all’Impero Romano d’Occidente a oltre trecento anni dalla sua caduta. Questo nuovo impero era “sacro” perché non era unito solo dalla spada, ma anche dalla fede cristiana.
Carlo Magno, allenandosi con il papato, aveva saputo primeggiare sui Longobardi, gli Arabi e i Sassoni, riportando unità e ordine in un territorio che andava dal Baltico all’Italia meridionale, con il Mediterraneo come confine: l’Europa attuale.
Ma con la stessa rapidità con cui fu creato, l’impero si disgregò attraverso la ripartizione fra tre grandi regni (Orientale, Centrale e Occidentale) e, successivamente, con l’estinguersi della dinastia carolingia e l’affermarsi delle grandi famiglie aristocratiche che si impadronirono del potere sovrano.
In conseguenza dei cambiamenti politici e degli effetti del miglioramento del clima, e quindi della maggiore ricchezza e appetibilità dei territori, ci fu una ripresa di migrazioni e scorrerie.
I corsari saraceni imperversavano nel Mediterraneo, i Vichinghi attaccavano le terre francesi dal nord; aumentò l’espansione germanica verso est, sia sotto forma di occupazione pacifica di terre incolte e l’insediamento di mercanti o coloni, sia di conquista. Questo portò a recintare i campi coltivati e a costruire ovunque castelli.
L’incastellamento divenne così diffuso che i deboli governi centrali delegarono sempre più alle forze locali la difesa e la fortificazione che, unite alla gestione dei pubblici uffici, ai legami familiari e alla progressiva espansione dei loro possessi, conferì a queste famiglie un crescente potere che si concretò nella nascita di grandi principati territoriali.
E fu in quel clima, ancora una volta politico e climatico, che nacque la dinastia dei Savoia.
2. Umberto Biancamano, il capostipite
In un momento di ripresa del commercio e degli spostamenti attraverso l’Europa, i valichi alpini, nuovamente percorribili, tornarono a essere strategici.
Tuttavia i passi erano pochi e i rischi per i viaggiatori altissimi.
Ci voleva qualcuno che riuscisse a proteggere commercianti e pellegrini dai rischi degli agguati, mettendo inoltre a loro disposizione una struttura viaria efficiente, con ostelli e locande per rifocillarsi e cappelle dove fermarsi a pregare.
A quell’epoca, garantire la sicurezza dei viaggi era difficile e quasi impossibile in pianura. Lo era un po’ meno nelle valli alpine, dove esistevano passaggi obbligati più facili da proteggere e dove si potevano far pagare dazi sulle merci in transito.
Ciò spiega un’altra caratteristica iniziale dei possedimenti di Umberto, il primo conte, ritenuto il vero capostipite storico dei Savoia. I suoi possedimenti non erano interconnessi, ma derivavano da progressive acquisizioni, per conquista o per eredità.
Non identificavano un territorio, ma dei centri da lui controllati, tappe obbligate degli spostamenti di merci, eserciti e pellegrini tra i due versanti delle Alpi. Controllando le strade dei valichi, in particolare il Moncenisio e il Gran San Bernardo, il suo era, come è stato felicemente definito, uno “Stato di Passo”.
Da questa intuizione deriverà l’atteggiamento che caratterizzerà tutta la storia dei Savoia: sfruttare nel modo migliore possibile quel poco che si ha, mettendolo a frutto e intrecciando relazioni con tutti, sapendo che i rapporti cambiano e gli amici possono diventare avversari per poi tornare a essere alleati.
E che, comunque, ci sono dei “passi” obbligati che tutti devono prima o poi attraversare e che danno un enorme potere a chi li controlla.
La storia che conosciamo di Umberto, detto il Biancamano probabilmente per un errore di trascrizione di un amanuense che confuse “blancis moenibus” (dalle bianche fortezze), con riferimento alle mura dei suoi castelli, con “blancis manibus” (dalle bianche mani), è riassumibile nel progressivo rafforzamento di questo nobile, probabilmente proveniente dalla Borgogna, come “signore dei confini”.
Uomo di indubbia scaltrezza, Umberto seppe intuire l’importanza di schierarsi al fianco del nuovo imperatore, Corrado II il Salico, contro il pretendente, Oddone conte di Champagne, nella lotta per la successione del regno di Borgogna.
Nel 1034 si mise al comando delle truppe inviate a sostegno dell’imperatore dal marchese Bonifacio di Toscana e dall’arcivescovo Ariberto di Milano. Dopo la disfatta definitiva di Oddone, Umberto ricevette come compenso una serie di diritti sulla Moriana e sul Chiablese.
In pochi decenni aveva saputo dare valore al titolo di conte ricevuto nel 1003, acquisendo il pieno controllo sui valichi alpini che collegavano il nord con il sud dell’Europa: i passi del Moncenisio, del Monginevro, del Piccolo e del Gran San Bernardo.
Nella foto sotto, lo stemma con l’aquila imperiale su fondo oro (a sinistra) fu concesso dall’imperatore Corrado II a Umberto Biancamano come premio per l’appoggio concessogli, insieme al titolo di conte di Moriana e Savoia. A destra, lo stemma della Savoia che avrebbe rimpiazzato l’aquila.
3. Adelaide e Umberto II
- Adelaide, una donna importante
Grazie al matrimonio tra suo figlio Oddone e Adelaide di Susa, figlia del marchese Olderico Manfredi, la consistenza dei territori del Biancamano si era estesa notevolmente.
Il nuovo imperatore, Enrico III il Nero, aveva voluto che Adelaide, già vedova due volte e che aveva ereditato un grande territorio che dalla Val di Susa arrivava fino a Torino, si sposasse con un erede di Umberto per garantirsi il controllo del corridoio che portava in Francia.
Di fatto quel matrimonio sancì un’altra caratteristica tipica dei Savoia: il doppio radicamento. Sviluppatasi a cavallo tra Italia e Francia, la casata dei Savoia guardò lungo a questi territori come possibili aree di potere e di espansione, tessendo alleanze con chi, di volta in volta, esercitava su di essi un potere o delle aspirazioni da cui trarre vantaggio.
Morti a breve distanza di tempo entrambi gli eredi di Umberto, prima il figlio Amedeo e poco dopo Oddone, proprio Adelaide emerse come la prima, grande figura femminile della dinastia dei Savoia, passando alla Storia per il suo ruolo nell’episodio di Canossa.
Fu lei, nel gennaio 1077, ad accompagnare l’imperatore Enrico IV, che era marito della sua primogenita Berta, da papa Gregorio VII, ospite a Canossa nel castello della marchesa Matilde.
Donna di grande carattere, Matilde di Canossa non fu solo la paladina della Chiesa nella disputa fra papato e impero, ma anche una feudataria colta, che seppe circondarsi di validi collaboratori nell’amministrazione del potere, da lei gestito con capacità non comuni.
Regnò per trent’anni su un territorio stretto tra i domini dell’imperatore e quelli della Chiesa, conteso e ambito da entrambi. Tale collocazione geografica e la sua intelligenza politica spiegano il ruolo che ebbe nell’episodio di Canossa.
Inserendosi nella contesa tra le gerarchie ecclesiastiche (che reclamavano le loro funzioni pastorali contro l’ingerenza del potere temporale) e i sovrani del Sacro Romano Impero (che invece rivendicavano il loro diritto a nominare i successori del papa), Matilde fornì sostegno militare e finanziario ai papi riformatori, come Gregorio VII.
Per questo fu identificata come il simbolo della libertà italiana contro lo strapotere degli imperatori tedeschi.
E per questo, nell’epoca patriottica e risorgimentale, venne esaltata come uno dei primi esempi di orgoglio nazionale e di lotta contro l’usurpatore straniero.
- Umberto II, il signore della Val di Susa
Dopo la morte di Adelaide, suo nipote Umberto II non seppe resistere alle forze centrifughe e autonomistiche dei nobili piemontesi e si concentrò sul controllo dell’alta Val di Susa, dove fondò la zecca che iniziò a coniare i “denarii segusini”.
Era un ridimensionamento territoriale e una dimostrazione di minor peso politico per un casato che pure era arrivato in pochi anni a fare da mediatore fra imperatori e papi (con Adelaide) e perfino a imparentarsi con loro (con sua figlia Berta).
In realtà era l’espressione dell’altra faccia della storia dei primi Savoia: la concretezza, il senso dei propri limiti, la capacità di sfruttare al massimo le potenzialità del territorio senza necessariamente possederlo.
In quegli anni anni di crescenti spostamenti e di boom economico e demografico era possibile trarre enormi guadagni dai pedaggi.
Perciò era meglio essere “signori delle strade” che sovrani di regni poveri e in preda a una conflittualità continua, costosa e snervante.
Esempio di estrema concretezza era lo stesso appellativo preferito dai Savoia di quel tempo: conti di Moriana, cioè della regione percorsa dalla strada del Moncenisio, a sottolineare che il loro vero potere faceva riferimento proprio a quell’arteria vitale per l’Europa dell’epoca.
Nella foto sotto, una raffigurazione equestre di Matilde di Canossa realizzata da Paolo Farinati nel 1597.
4. Amedeo III, il Crociato
L’ascesa di Amedeo III avvenne in questo quadro: un territorio limitato ma strategico e una rete di intrecci familiari che portò un suo zio a diventare papa con il nome di Callisto II e ben altri due congiunti, un cognato (Luigi VI il Grosso) e un nipote (Luigi VII il Giovane) a diventare re di Francia.
Era quindi abbastanza naturale che, allo scoppiare dell’ennesima crisi tra papato e impero, Amedeo III si schierasse con il papato e, in cambio di un appoggio per la riconquista di Torino, si avvicinasse al re di Francia.
L’obiettivo rimaneva quello storico dei Savoia: il controllo delle vie che portavano in Francia attraverso il valico del Moncenisio, tanto più ora che i pellegrini diretti a Roma e alla Terrasanta passavano sempre più numerosi lungo la via Francigena, una delle arterie più importanti dei traffici fra il nord e il sud dell’Europa.
Negli stessi anni cominciava a farsi largo l’idea di una crociata contro gli infedeli che occupavano la Terrasanta e mettevano in pericolo i pellegrini. In realtà il motivo era anche politico: il papa aveva bisogno di imporsi come guida della Cristianità in chiave antiimperiale.
Gli infedeli erano i nemici ideali: diversi, e perciò facili da descrivere secondo il proprio comodo attribuendo loro ogni genere di nefandezze.
Allo stesso tempo erano ricchi, come ricco era l’Oriente favoloso. Inevitabilmente, la promessa di gloria, di onori e forse di nuove terre che ne conseguiva infiammò gli animi dei giovani nobili non primogeniti, coloro insomma che non avrebbero ereditato il titolo paterno e che alla carriera ecclesiastica preferivano le armi.
I Savoia non avevano potuto partecipare alla Prima crociata, che aveva portato alla conquista di Gerusalemme e alla creazione dei regni latini d’Oriente (1099): a quell’epoca erano impegnati nel mantenimento del potere, messo in crisi dalla morte di Adelaide.
Quando però l’emiro di Mossul dichiarò la guerra santa e riconquistò Edessa, re Luigi VII di Francia organizzò una nuova spedizione benedetta da papa Eugenio III, cui aderì anche l’imperatore Corrado II.
A quel punto non fu più possibile, per i Savoia, rimanere isolati, non fosse altro che per doveri di parentela e per opportunità politica (Amedeo III era zio del re di Francia). La preparazione della spedizione si rivelò subito complessa: era necessario un contingente numeroso, che andava prima reclutato e poi armato.
Per farlo servivano soldi, che erano disponibili in misura minore rispetto alle ambizioni. Si ricorse così ai prestiti, particolarmente da parte del ricco clero, il quale ottenne in cambio la cessione di diritti sulla tassazione e sui pedaggi.
La storia è nota: per disorganizzazione e sottovalutazione dell’avversario e delle condizioni climatiche, l’impresa si risolse in un disastro. Lo stesso Amedeo III morì a Cipro.
Se la prima apparizione internazionale in un atto diplomatico, quello di Canossa, era stata un successo, questa impresa militare fu per i Savoia una sconfitta, che però servì da monito a non lasciarsi coinvolgere in imprese al di sopra delle loro possibilità, strategiche e finanziarie.
La politica “minore” dei Savoia nei due secoli successivi ne fu un segno e una conseguenza.
5. Una diplomazia fruttuosa e tappe salienti
- Una diplomazia fruttuosa
Se non avevano la forza militare e la ricchezza necessarie a sostenere una politica di espansione territoriale condotta in modo tradizionale, i Savoia erano tuttavia sempre più consapevoli della loro vera forza: l’importanza strategica della collocazione geografica.
Non potendo confidare nelle armi, ripresero a tessere quella rete di relazioni familiari che sin dall’inizio si era dimostrata vincente, aggiungendo una variante che li avrebbe resi unici: essere presenti nell’uno e nell’altro schieramento per avere a disposizione più possibilità di scelta e di alleanze.
Molte loro figlie sposeranno re importanti come quelli di Francia, Inghilterra e Portogallo, oltre a marchesi, conti e duchi italiani e europei.
Alcune, scelta la via monacale, diverranno badesse, mentre molti eredi maschi saranno potenti prelati, vescovi e arcivescovi: come Bonifacio, arcivescovo di Canterbury.
Il risultato fu una rete di alleanze e protezioni tessuta in tutta Europa, pronta ad attivarsi in caso di necessità.
A livello territoriale, lo sviluppo di quegli anni fu incentrato su una sempre più netta presenza in Francia che li portò a chiamarsi conti di Savoia (anziché conti di Moriana). Politicamente, il rapporto dei Savoia con il loro territorio e con i suoi abitanti fu, pur con le asprezze tipiche del tempo, poco autoritario e mirò all’organizzazione e all’efficienza della macchina statale.
- Tappe salienti
- 1003
È considerata la data iniziale della dinastia, perché è l’anno in cui per la prima volta un Savoia, Umberto Biancamano, viene citato come “conte” dal vescovo Oddone di Belley in un documento scritto.
- 1017
Il conte Umberto Biancamano, per conto del re di Borgogna Rodolfo III, governa ventidue castelli nella zona di Vienne (nell’attuale Francia), costituenti la contea di Sermorens.
- 1025
Al Concilio di Anse, alla presenza di vescovi e principi, il conte Umberto è chiamato a leggere il testo del giuramento pronunciato dalla classe feudale a protezione della Chiesa e dei suoi beni.
- 1032
Il re di Borgogna Rodolfo III muore senza eredi. Umberto Biancamano sostiene l’imperatore Corrado II nella contesa successoria e ne viene ricompensato con la contea di Moriana.
- 1037
Con la “Constitutio de feudis”, l’imperatore Corrado II estende l’ereditarietà ai feudi minori (quelli dei valvassori) per rafforzare la sua potestà nei confronti dei vassalli del Sacro Romano Impero.
- 1077
L’imperatore Enrico IV, per ottenere la revoca della scomunica inflitta dal papa, è costretto, durante una bufera di neve, a inginocchiarsi per tre giorni davanti al castello di Canossa.
- 1122
Concordato di Worms: fine della lotta per le investiture tra papa e imperatore, che riconosce il diritto imperiale a porre il veto all’investitura temporale dei vescovi.
- 1147
Il papa e Bernardo da Chiaravalle bandiscono la Seconda crociata. Vi partecipano il re di Francia e l’imperatore, che cercano di conquistare Damasco. Ma il Saladino prende Gerusalemme.
- 1176
L’imperatore Federico Barbarossa è sconfitto dalla Lega Lombarda a Legnano. Il titolo di conte di Moriana e di Savoia è detenuto da Umberto III (1136-1189), fiero avversario del Barbarossa.
- 1208
Papa Innocenzo III proclama la Crociata albigese per bandire l’eresia catara dalla Linguadoca, in Francia del sud. All’impresa partecipa anche il conte di Moriana e di Savoia Tommaso I (1178-1233).