I sensi del cane

Come noi, anche il cane utilizza i suoi organi sensoriali per decodificare e interpretare i mille stimoli che lo circondano per regolarsi sul tipo di azione da intraprendere o da non intraprendere.

Conoscere priorità, operatività, capacità e interazione dei diversi organi di senso del nostro amico è molto utile per capire meglio il suo comportamento, anche allo scopo di rispettare i suoi ritmi e “rituali” di raccolta delle informazioni: avremo un cane molto più sereno e sicuro di sé.

Sappiamo che i nostri amici hanno capacità sensoriali che a volte sembrano quasi magia, in particolare per quanto riguarda l’olfatto e l’udito.

Ma come funzionano questi sensi tanto sviluppati e precisi? Scopriamolo insieme!

1. Prima di agire - Raccogliere informazioni essenziali

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Mettiamoci comodi. Lasciamo il nostro amico libero di muoversi in un luogo sicuro, oppure teniamolo vicino al guinzaglio. E osserviamolo.

Cerchiamo, per quanto possibile, di notare e registrare ogni minimo dettaglio, fermando l'attenzione su occhi, naso e orecchie.

Ci troveremo dinanzi a un susseguirsi di microazioni volte ad acquisire le informazioni provenienti dall'ambiente; le narici non troveranno pace, tra inspirazioni ed espirazioni; lo sguardo virerà verso ogni dove, tentando di cogliere le immagini più rilevanti.

Le orecchie, mobili per definizione, danzeranno avanti e indietro, e il padiglione si solleverà per meglio cogliere i suoni. Un divenire di messaggi sensoriali che verranno codificati, elaborati e archiviati nel cervello del cane.

Allora, e solo allora, troverà spazio l'azione concreta, quell'insieme di movimenti che rendono un comportamento tangibile e visibile. Sono in primo luogo i sensi, infatti, a determinare ogni scelta del nostro amico.

Il cane viene alla luce sordo, cieco e probabilmente del tutto privo di olfatto, con a disposizione due soli sensi, ma in modo parziale: il tatto e il gusto.

Il tatto si esprime, all'inizio, solo nella zona del muso, in modo da garantire una sufficiente mielinizzazione (processo che consente l'attivazione delle fibre nervose nonché la loro protezione) della parte preposta alla ricerca delle mammelle e alla suzione del latte.

Le papille gustative, invece, permettono di cogliere i sapori fondamentali, evitando di ingerire qualcosa di pericoloso. Solo tra la seconda e la terza settimana emerge il riflesso pupillare, che consente nei giorni successivi una nitida e sufficiente visione delle immagini; anche l'udito, complice il "riflesso di trasalimento", permette la percezione dei suoni, soprattutto quelli ad alta frequenza.

A conclusione del primo mese, il gioco sarà fatto e anche la capacità di discriminazione degli odori, mediante migliaia di cellule olfattive ormai formatesi, si può considerare acquisita.

Insomma, al nostro amico serve all'incirca un mese, il primo mese di vita, per rendersi autonomo nell'acquisizione delle informazioni ambientali, e non potrebbe essere altrimenti se pensiamo che le settimane che verranno, fino al terzo mese di età, saranno fondamentali per l'apprendimento di quello che è il nostro mondo e, perciò, per la serenità del cane.

Attraverso un processo in parte espositivo e in parte associativo, ogni cucciolo costruisce la propria "immagine" di ciò che lo circonda, della realtà in cui si trova in sostanza, e lo fa partendo proprio dall'impiego dei sensi.

In verità, più che di sensi dovremmo parlare di "organi sensoriali", quelle strutture che permettono di "tradurre" gli stimoli che ci circondano. Ci riferiamo, quindi, a occhi, orecchie, naso, pelle e lingua.

E richiamiamo, come conseguenza, le cellule che si trovano all'interno di questi organi: cellule retinali, cellule timpaniche, le olfattive, cellule epiteliali e cellule gustative.

Senza di esse, nulla accadrebbe, visto che le molecole presenti nello spettro visivo, nelle onde sonore, nelle sostanze odorose, nelle strutture con cui si entra in contatto e negli alimenti, divengono portatrici di messaggi chimici di cui gli stessi organi sensoriali diventano destinatari.

In termini tecnici, tali messaggi si concretizzano in "mezzi di interposizione" attraverso i quali ogni possibile informazione viene depositata presso gli ammassi cellulari. È a questo punto che il viaggio nel mondo ha davvero inizio.

2. Verso il cervello - Tra elettricità e neurotrasmettitori

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Una volta acquisite le informazioni "chimiche" presenti nell'ambiente, il nostro amico necessita di un percorso privilegiato affinché possano essere sufficientemente elaborate e poi archiviate.

Attraverso appositi nervi siti in punti specifici degli organi sensoriali, le stesse informazioni subiscono una "traduzione" elettrica.

Ciò si verifica mediante il coinvolgimento di determinate aree del cervello, ove le cellule cerebrali (neuroni) svolgono il loro compito.

Mediante particolari vettori chiamati neurotrasmettitori, le informazioni qui trasmesse vengono decifrate da traduttori simultanei, le sinapsi, e solo allora il cervello può dedicarsi alla costruzione delle "immagini" provenienti dall'esterno.

In estrema sintesi, potremmo dire che ogni sillaba chimica percepita dagli organi sensoriali viene trascritta in un linguaggio tipico del sistema nervoso e tale passaggio, da chimico a elettrico, consente di procedere alla ulteriore e definitiva traduzione di uno stimolo.

Tutto ciò avviene in un lasso di tempo estremamente ridotto: l'intervallo tra il verificarsi dell'evento ambientale e l'attivazione del relativo comportamento è pari a soli 0,3 secondi, in media. I sensi, quindi, divengono i primi interpreti del linguaggio ambientale e senza di essi non ci sarebbe alcuna reazione comportamentale.

Questo avviene in tutte le specie animali dotate di un sistema nervoso autonomo; noi stessi agiamo allo stesso modo, sebbene i tempi di reazione umani siano molto più lenti di quelli canini: in media 0,8 secondi tra l'informazione e la reazione, e ciò spiegherebbe la nostra difficoltà nel percepire e intervenire tempestivamente sui comportamenti del nostro amico.

Quando parliamo di cervello non dobbiamo pensare a una singola “unità operativa”. Esso, infatti, presenta tante zone differenti, alcune collegate tra loro, deputate a compiti specifici.

Immaginiamolo come una costruzione e tre piani: a piano terra, le informazioni vengono accolte dalla parte dedicata alle risposte neurovegetative, per poi passare al piano superiore, riservato alle pure emozioni. A questo punto, lo stimolo percepito può ambire al piano più alto, quello del ragionamento e della memoria.

Ora il cane può decidere il da farsi: quando la motivazione raggiunge un sufficiente livello di credibilità, una sorta di “ne vale la pena”, il nostro amico si dedica alla preparazione comportamentale e, di lì a poco, assisteremo alla sua visibile risposta.

Possiamo così concludere che ogni forma di ciò che chiamiamo comportamento non è altro che l’effetto finale di un lungo ed elaborato percorso a tappe, ove il bilancio costi/benefici determina l’insorgenza di un’azione oppure di un’altra.

3. Olfatto o vista? Prima la scansione e poi l’analisi chimica

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Nel rispondere alla domanda su quale possa essere il senso più importante per il cane non dobbiamo cadere in errore.

Di riflesso ci verrebbe da riferirci all'olfatto e la risposta non è certamente sbagliata.

Tuttavia, il grado di prevalenza dei sensi non deve essere valutato solamente in termini di "quantità", ma anche in relazione alle funzioni cui ogni organo sensoriale è preposto.

Ebbene, gli occhi fungono da strumento generale di percezione del mondo, garantendo una visione di insieme che nessun altro senso può assicurare.

Certamente, l'olfatto presenta una potenzialità difficilmente ritrovabile in altre specie viventi, ma al contempo questa iper specializzazione lo rende ottimale per l'analisi dei "dettagli", a livelli per noi inimmaginabili.

Gli occhi, però, fotografano ogni elemento circostante, soprattutto se in movimento, e non potrebbe essere altrimenti, visto che il nostro amico è un predatore.

Con la vista il cane "scannerizza" l'ambiente in cui si trova, facendone una mappa composta; dentro un vortice di eventi visivi, spetta ancora agli occhi selezionare i più significativi, talvolta uno soltanto; questo limitato e finale compendio di informazioni visive ha l'onore di essere "targetizzato", dimenticando tutto il resto.

Poi, avvicinandosi al bersaglio, il cane smetterà di usare gli occhi per passare all'olfatto e analizzare a fondo ciò che ha di fronte. Naturalmente, se si tratta di una preda in movimento, la parte olfattiva del comportamento non apparirà fino all'eventuale cattura.

- I loro occhi - Morfologia, fisiologia e collocazione
Per comprendere meglio il modo di percepire le informazioni visive da parte del cane è necessario analizzare morfologia, fisiologia e posizionamento degli occhi.
Nelle diverse razze, infatti, assistiamo a occhi "tondeggianti" oppure "a mandorla", pur se costituiti dalle medesime parti strutturali.
Le immagini raccolte passano attraverso il rigido esame del cristalino, per poi essere vagliate da due tipi di cellule: gangliari e retinali. Giunte in un punto specifico, spetterà al nervo ottico fungere da vettore verso le aree cerebrali.
Inoltre, il punto di collocazione degli occhi può variare in base alla razza e al ceppo di appartenenza; abbiamo così occhi frontali, sub frontali, semi laterali, laterali e ultra laterali.

Sebbene il campo visivo del cane sia "monoculare", con un grado di estensione molto superiore al nostro, è chiaro che i soggetti con occhi in posizione tra il laterale medio ed esteso possono vantare una capacità ottica superiore rispetto a chi abbia occhi frontali.
È proprio per le peculiarità di forma e struttura che gli occhi servono a percepire la realtà tanto da vicino quanto da lontano anche se, in quest'ultimo caso, l'efficacia è maggiore se lo stimolo è in movimento.
Infatti, se vogliamo facilitare la ricezione visiva di uno stimolo da parte del cane, è necessario distanziarci di un certo numero di metri, muovendo l'oggetto prescelto lateralmente, in modo da coinvolgere l'intero campo visivo.
Così facendo, la fotografia diventerà abbastanza nitida da richiamare l'attenzione del nostro amico.

4. L’olfatto e l'udito

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- L’olfatto. Arriva il “superpotere”
E poi? Se vista e udito hanno fornito sufficienti prove indiziarie circa il luogo in cui si trova, il cane inizia ad occuparsi degli elementi specifici.
Lo fa con l'impiego del naso, forte dei 250 milioni (e anche di più in alcune razze) di recettori olfattivi ubicati all'interno delle cavità nasali, lungo apposite membrane.
Tuttavia, anche l'utilizzo dell'olfatto prevede passaggi progressivi; prima l'insieme odoroso e poi, se necessario, i sottoinsiemi.
Le narici, quindi, vengono indirizzate verso l'alto, in modo da raccogliere un numero più elevato possibile di molecole presenti nell'aria; di peso modesto, e di facile volatilità, esse forniscono una generale conoscenza degli odori del luogo.
Solo dopo, per acuire la curiosità, il muso viene ancorato al terreno ed è qui che trova spazio la "microscopia discriminativa". Ogni elemento odoroso presente al suolo subisce un esame approfondito e ciò anche grazie all'impiego di organi terminali incapsulati chiamati "vibrisse".

Con i "baffi", quindi, si consuma il matrimonio tra olfatto e tatto, con l'obiettivo di non lasciare nulla di intentato. Certamente, maggiore sarà la lunghezza della canna nasale, nonché la sua struttura complessiva, superiore sarà la capacità di percezione degli odori, grazie a un numero di recettori ancora più elevato.
Inoltre, non tutte le "vibrisse" hanno la stessa funzione; i filamenti posti alla base del mento valutano il "termotattismo" (la temperature, in sostanza) delle superfici, mentre quelli ai lati del naso servono a definire la provenienza aerea delle molecole.
Ed ecco che vista, udito e olfatto, con l'ausilio del tatto, diventano i mezzi di conoscenza di ogni nuovo contesto o di verifica di uno spazio conosciuto ma non frequentato per un certo tempo.
Talvolta, gli elementi del terreno permettono anche il coinvolgimento del gusto; è per questo che a volte vediamo fuoriuscire la porzione anteriore della lingua del nostro amico, ricca di papille gustative pronte a distinguere i principali sapori.
Ma essendo perlopiù rivolta a percepire le ricche molecole dei feromoni, la struttura linguale del cane è meno sofisticata di quella umana.

 

- Udito eccezionale. Al confronto noi siamo sordi
Dopo aver osservato l'ambiente nel suo insieme, il nostro amico tende a dedicarsi alle possibili informazioni sonore.
La mobilità delle sue orecchie garantisce la percezione di stimoli uditivi provenienti da differenti direzioni, valutandone distanza, acutezza e punto di emissione.
Proprio per cogliere i minimi dettagli dei suoni, un predatore come il cane riesce a sentire e discriminare onde sonore elevate, attorno ai 40.000 hertz, contro i 20.000 della specie umana.
Siamo, quindi, nel campo degli ultrasuoni, la cui base di rilevazione oltrepassa i limiti previsti per l'uomo, cosicché il cane riuscirà a captare informazioni per noi non percepibili.

Inoltre, in termini di distanza rispetto alla fonte di un suono, la capacità percettiva del nostro amico è quattro volte superiore alla nostra.
Insomma, al confronto noi siamo praticamente sordi... e questo spiega l'ampio utilizzo dei segnali sonori nella comunicazione a distanza: abbai, ululati, latrati e guaiti "viaggiano" lontano.
Al contrario, ringhi sommessi e uggiolìi diventano utili nell'interazione tra soggetti vicini.
Come per gli occhi, anche le capacità uditive del nostro amico possono essere differenziate in base alla morfologia delle orecchie; certamente, quelle erette tipiche di molti lupoidi garantiscono la migliore potenzialità ricettiva.





5. La scelta - Il dono della curiosità

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Se i sensi permettono di interpretare le informazioni presenti nell'ambiente, la volontà di utilizzarli verso uno stimolo anziché un altro è dettata da una dote innata, chiamata curiosità.

Senza di essa, gli occhi non si dedicherebbero alle immagini circostanti, le orecchie escluderebbero i suoni e il naso rimarrebbe a riposo.

Il cane, quale specie prevalentemente "neofilica", considera la conoscenza come il presupposto della sopravvivenza e il suo essere "opportunista" deve venire tradotto nell'opportunità di comprendere le caratteristiche del contesto in cui si trova.

La curiosità è, quindi, una caratteristica trasversale alla specie canina, sebbene essa possa variare in base alla razza, al ceppo, e al singolo individuo. L'intensità del voler conoscere, poi, dipende dai processi ontogenetici di ogni soggetto, trattandosi di un elemento che può variare in base al periodo di sviluppo in cui si colloca il nostro amico.

Nella fase infantile, infatti, essere curiosi è pressoché un "must" inevitabile e solamente un temporaneo picco della paura, tra la nona e la dodicesima settimana di vita, va ad abbassare l'efficacia di tale dote.

Prima e dopo, la curiosità rimane ad alta intensità, persino esponenziale se ci riferiamo al momento del pieno sviluppo dei sensi; qui, catapultato in un nuovo mondo, il cucciolo dedica il tempo di veglia a codificare ciò che lo circonda.

Al contrario, la limitazione prevista alla conclusione del periodo "sensibile" sembrerebbe avere uno scopo di autotutela, giacché troppo desiderio di gettarsi nella realtà potrebbe rivelarsi pericoloso.

 

E' importante! Lasciamogli il tempo per informarsi! Se il "report sensoriale" rappresenta il primo passo verso l'attivazione di ogni comportamento volontario, la regola fondamentale, da rispettare, consta nel permettere al nostro amico di acquisire le informazioni ambientali in totale serenità.

Nulla è peggiore di interrompere i momenti di "traduzione" del mondo esterno, spostando uno stimolo dalla vista, impedendo la decifrazione di un suono o interrompendo o la codificazione di un odore: sarebbe come eliminare un articolo di giornale a metà lettura e la prima conseguenza non può essere altro che una sensazione di "incompiuto".

Questa parzialità sensoriale può avere effetti sui successivi processi di apprendimento e di memorizzazione, non essendosi concluso il precedente programma di interpretazione.








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