“Annoiarsi a morte”… poche emozioni hanno una reputazione così cattiva come la noia. Scomoda e sgradita, ci fa sentire letargici e irrequieti allo stesso tempo.
Si nasconde in attività poco stimolanti al lavoro, riunioni senza fine e code lente alla cassa; quando rimaniamo intrappolati nella noia ci divincoliamo mentalmente nel disperato tentativo di scappare, cercando lo smartphone magari per un po’ di divertimento o distrazione.
Fin dall’infanzia ci viene insegnato a scacciare la noia. Tuttavia, studi recenti dimostrano che questa emozione tanto disprezzata è in realtà fondamentale per il nostro benessere.
1. Un’emozione spiacevole
In Inghilterra il termine “noia” è entrato nel vocabolario relativamente di recente, nel 1852, in seguito alla pubblicazione di “Casa Desolata” di Charles Dickens.
Tuttavia la sensazione di cupa indolenza è probabilmente sempre stata dentro di noi, anche se con nomi diversi: malessere esistenziale, malinconia.
È possibile, ovviamente, che i nostri antenati primitivi fossero troppo occupati a cacciare, raccogliere cibo e sopravvivere per chiedersi come rendere la vita più vivace; ma una volta che ci siamo sentiti al sicuro dalle tigri dai denti a sciabola o dalla fame, la noia ha messo radici, diffondendosi in modo indesiderato.
Seneca provava un senso di disgusto nei confronti del continuo ripetersi delle cose, e chiamava questa sensazione “nausea”. I protocristiani definivano la mancanza di spirito e di iniziativa “il demone di mezzogiorno” o “accidia”, mentre i teologi mettevano in guardia dal diavolo che avrebbe trovato lavoro per le mani inoperose a causa della noia.
La letteratura è piena di eroi annoiati: il malessere da reclusione in un posto isolato di Jack Torrance in “The Shining” è diventato celebre, mentre Scarlett O’Hara è passata alla storia per sentirsi “così annoiata da voler urlare”. E nulla è cambiato. In effetti la noia sembra ancora più sgradita al giorno d’oggi.
La tecnologia ha contribuito ad accrescerla, rendendo le nostre vite lavorative più ripetitive e noiose; ma ha anche fornito una vasta gamma di distrazioni digitali per scacciare la stagnazione. App, giochi per computer, social media, mail, Snapchat, WhatsApp... abbiamo un arsenale a nostra disposizione per scacciare la noia che ancora non ci piace.
E non ci piace affatto. In un recente studio condotto dal professor Timothy Wilson, dell’Università della Virginia, è stato chiesto ai soggetti di stare seduti da soli con i propri pensieri senza distrazioni.
Il professore ha scoperto non solo che le persone si sentivano a disagio a stare semplicemente sedute a pensare, ma che quasi la metà di esse ha scelto di sottoporsi a scariche elettriche leggere – scariche che in precedenza avevano giudicato sgradevoli – pur di distrarsi.
A quanto pare, il fatto che succedesse qualcosa, nonostante quel “qualcosa” fosse spiacevole o doloroso, era una prospettiva comunque migliore rispetto al nulla. Ovviamente, è facile capire come tutto ciò si traduca nel mondo reale.
La tossicodipendenza, il gioco d’azzardo, l’eccesso di cibo, l’alcolismo, l’esposizione ai rischi, il vandalismo, le rivolte e persino le “uccisioni alla ricerca del brivido” sono tutte condizioni associate alla noia cronica. E questo lato oscuro della noia sembra influenzare maggiormente alcuni tipi di personalità.
2. Solo le persone noiose si annoiano?
Una ricerca condotta da John Eastwood, presso la York University (Canada), ha identificato due tipi di personalità più inclini alla noia: persone per le quali la vita di tutti i giorni è deludente e banale, il che le spinge alla ricerca di eccitazione; persone ansiose che trovano il mondo già troppo eccitante di per sé e tendono a tirarsi indietro.
Tuttavia, come sottolinea Eastwood, quest’ultimo gruppo ritiene che annoiarsi in solitudine non sia un’esperienza piacevole, e la noia che ne deriva li spinge a cercare qualcosa di eccitante. In ogni caso, la noia sembra agire come un termostato interiore, che registra una sensazione di disagio nei confronti della situazione attuale e induce a cercare stimoli per ritrovare la propria curiosità.
Il che, forse, ci aiuta a capire il motivo per cui la noia si è evoluta come emozione umana. Le emozioni tendono a proteggerci, metterci in guardia e unirci. La paura segnala la necessità di combattere, fuggire o restare immobili.
La gioia e la tristezza rafforzano le relazioni sociali, stimolano l’empatia e la cooperazione. La vergogna ci rende accettabili in un gruppo in seguito a una trasgressione. Quindi, sembra logico pensare che anche la noia svolga un ruolo attivo. E ne sono emersi diversi.
FAI AMICIZIA CON LA NOIA
- GUARDA L’ERBA CRESCERE
Gli studi sulla biofilia dimostrano che trascorrere del tempo nella natura aumenta il benessere fisico e mentale. Senti il vento sul viso. Ascolta il canto degli uccelli. Dimentica l’elenco infinito di cose da fare e connettiti con il mondo che ti circonda.
- OSSERVA LE VETRINE
Visita negozi che di solito non frequenti e scatena la curiosità. Chi indosserebbe quelle scarpe a strisce arcobaleno? Chi spenderebbe così tanto per la ciotola di un cane? Chi uscirebbe con quel vestito blu acceso? Immagina come potrebbero essere le vite di quei clienti.
- TIENI UN DIARIO DELLA NOIA
Scrivi i tuoi pensieri quando ti senti ansioso e svogliato. Devi cambiare qualcosa nella tua vita? Che cosa potrebbe essere? E quali passi potresti fare per migliorare le cose?
- CAMMINA
Camminare è un’attività associata alla risoluzione dei problemi e alla creatività fin dai tempi dell’Impero Romano. Riponi lo smartphone, mettiti in moto e lascia vagare la mente.
- SOGNARE A OCCHI APERTI
Che tu stia guardando le nuvole fuori dalla finestra o semplicemente ascoltando un nuovo brano musicale, lascia andare i pensieri. Dove ti stanno portando? Potresti sorprenderti nel trovare nuove idee e soluzioni improvvise.
3. Guardare in faccia la realtà e la gentilezza degli estranei
Peter Toohey, professore di discipline classiche all’Università di Calgary, spiega nel suo libro “Boredom – A Lively History” come questa emozione possa suscitare in noi un vero e proprio risveglio.
Nel suo studio di vasta portata spiega che esistono due tipologie di noia: la “noia situazionale”, l’emozione che si prova durante un tedioso viaggio in macchina o una riunione mortalmente lunga (la stessa emozione che si intensifica fino a sfociare nella folle scena di Jack Torrance armato di ascia) e “la noia dell’eccesso”, lo spauracchio di Seneca, che nasce dall’assunzione di cibo e bevande in eccesso, o dalla ripetizione di uno schema che ci fa sentire “stufi”.
In quest’ultimo caso, Toohey descrive il lavoro svolto dallo psicologo Robert Plutchik, il quale conclude che proprio come il disgusto ci mette in guardia dai segni di malattia e infermità, la noia svolge un ruolo altrettanto protettivo, allontanandoci da situazioni sociali tossiche.
La stessa teoria è supportata da Eva Hoffman nel suo libro “How to be Bored”. L’autrice sottolinea come la nostra cultura dell’operosità costante trovi terreno fertile in un mondo dominato da tecnologia e competitività, finendo per impoverirci. È difficile smettere di correre e riflettere.
Eppure, la noia ci permette di fare proprio questo. Eva Hoffman ricorda come gli antichi greci considerassero questo periodo di inattività una vera e propria “terapia dell’anima”. Essi, infatti, sostenevano che “non possiamo essere pienamente umani senza riflettere su cosa significhi essere umani”.
Quando lasciamo vagare la nostra mente e lasciamo entrare quel senso di frustrazione possiamo scoprire cose importanti. Quindi, non c’è da meravigliarsi che le grandi fedi del mondo invitino alla contemplazione e alla meditazione, permettendoci di ricalibrare la nostra bussola spirituale per restare sulla buona strada e condurre una vita più ricca e appagante.
Meglio ancora, studi recenti sulla noia hanno dimostrato che questa emozione può indurci a pensare di più agli altri, stimolando così un comportamento più altruistico. Wijnand van Tilburg, dell’Università di Limerick, ha studiato il legame tra noia e comportamento prosociale e ha tratto alcune conclusioni interessanti.
In un mondo che tende ad associare la noia a comportamenti aggressivi e distruttivi, van Tilburg ha invece scoperto come la noia orienti le persone verso un comportamento positivo ed empatico. Essa, infatti, induceva le persone a cercare un significato nella propria vita portando a un aumento delle attività socialmente utili, come la donazione del sangue.
4. La noia è anche una condizione fondamentale per la creatività
Un recente esperimento della dottoressa Sandi Mann, docente di Psicologia presso la University of Central Lancashire, ha mostrato risultati sorprendenti su come un periodo di noia possa stimolare il pensiero laterale.
La dottoressa ha invitato i partecipanti a copiare un elenco telefonico per 15 minuti, prima di chiedere loro di scrivere quanti più usi possibili per un bicchiere di plastica.
Rispetto al gruppo di controllo che non aveva copiato i numeri in precedenza, i volontari che si erano “annoiati” si sono dimostrati nettamente più creativi nel modo di pensare. Le sue conclusioni invitano a riflettere sulle vite apparentemente banali di alcuni dei più grandi pensatori.
Pensiamo ad esempio alle sorelle Brontë, cresciute in una casa parrocchiale a Haworth, circondate dalle brughiere dello Yorkshire e soffocate dalla società vittoriana. La loro risposta a una vita così priva di stimoli è stata quella di inventare mondi immaginari, come il regno africano di Glass Town (Città di Vetro), e scrivere storie in piccoli libri delle dimensioni di scatole di fiammiferi.
Evidentemente la noia che avevano provato durante l’infanzia ha alimentato la creatività, che ha portato alla stesura di alcune delle opere letterarie più amate al mondo. Oppure c’è il caso della scrittrice Anna Sewell. A causa di un aggravamento delle sue condizioni di salute, e in gran parte costretta a letto tra il 1871 e il 1877, dettò il testo di “Black Beauty” a sua madre.
Il libro è ancora oggi non solo un classico della letteratura per l’infanzia, ma anche un caposaldo del movimento animalista. Il pittore Henri Rousseau era soprannominato con una certa condiscendenza “le douanier” (il doganiere) a causa del suo noioso lavoro quotidiano, quando i suoi dipinti furono esposti per la prima volta nei salotti di Parigi.
Le sue rappresentazioni di scene fantastiche, giungle lussureggianti e animali feroci sono tutt’oggi sorprendenti. Non aveva mai viaggiato e aveva spiegato che i suoi quadri erano stati ispirati dalle visite alle serre del Jardin des Plantes dove, non a caso, osservava la ricca vegetazione provando una “sensazione simile a un sogno a occhi aperti”.
Un sogno a occhi aperti o la condizione in cui ci si ritrova quando gli stimoli esterni scarseggiano? E, infine, c’è Einstein. Le sue straordinarie intuizioni sono spesso emerse quando si perdeva a suonare il pianoforte, guardava opere d’arte o navigava. Infatti, come spiega il fisico teorico Carlo Rovelli, autore di “Sette brevi lezioni di fisica”, Einstein amava oziare.
Da giovane si era preso un anno sabbatico dal liceo senza alcun obiettivo particolare se non quello di assecondare sia la sua curiosità sia la sua immaginazione. E questo “fare spazio all’ozio” (mentre permetteva alle nozioni che aveva acquisito di rififiorire in nuove idee) rimase con lui per tutta la vita sfociando nientemeno che nella Teoria della relatività.
5. Spegnere il cervello e sintonizzarsi
Una conferma arriva anche dalle ricerche della giornalista Manoush Zomorodi (foto sotto). Nel suo libro “Bored and Brilliant”, l’autrice sottolinea la necessità e l’importanza di annoiarsi.
“Quando la nostra mente è libera di vagare – spiega – entriamo in una sorta di ‘modalità di base’, un luogo mentale in cui risolviamo problemi e produciamo le idee migliori, dedicandoci alla cosiddetta pianificazione autobiografica”.
Questo processo ci permette di dare un senso al mondo, a noi stessi e ai nostri obiettivi. Lasciare la nostra mente libera di vagare porta a nuove connessioni tra le cose, nuove idee e nuovi orizzonti, concedendoci altresì il tempo necessario per dare un senso alle cose, in particolare alle interazioni sociali.
Tuttavia, nel nostro mondo iperconnesso, in cui siamo online 24 ore su 24, 7 giorni su 7, l’ozio è stato sostituito da “clic & scroll”, mentre controlliamo lo smartphone, i like su Facebook, Snapchat o i tweet. E quali sono le conseguenze?
Zomorodi ha avviato il progetto “Bored and Brilliant”, un iter suddiviso in sette passaggi, o esercizi, che aiutano le persone ad annoiarsi riducendo al contempo l’uso della tecnologia, per comprendere se spegnere i dispositivi stimoli davvero la creatività.
Si sono iscritte più di 20.000 persone, che sono riuscite a ridurre attivamente la loro esposizione digitale e a sintonizzarsi sulla quiete interiore. In un primo momento la giornalista ha trovato i risultati piuttosto deludenti. I partecipanti avevano, in media, ridotto di soli sei minuti l’utilizzo quotidiano dei dispositivi elettronici.
Tuttavia, in seguito, discutendo delle informazioni raccolte con la dottoressa Malia Mason, una psicologa cognitiva, è emerso un quadro più ampio. Sei minuti erano davvero un lasso di tempo insignificante? Inoltre, come parlavano i partecipanti della loro esperienza?
È proprio qui che Zomorodi ha scoperto qualcosa di sorprendente e stimolante: il 70% dei partecipanti riteneva di aver trovato abbastanza tempo per pensare. Dopo aver avuto del tempo da dedicare all’ozio, i soggetti hanno riferito di aver risolto i problemi più facilmente, essere riusciti a completare progetti ed essere generalmente più produttivi.
Gli autori hanno scritto, i pittori hanno dipinto, gli obiettivi sono stati raggiunti. Si può concludere, pertanto, che la noia abbia un risvolto positivo. Sì, è spiacevole, ma lo è anche il dolore fisico, e forse esattamente come il dolore ci sta dicendo che qualcosa merita la nostra attenzione.
E che, anziché evitarla in tutti i modi, la noia – se assecondata – può effettivamente aiutarci a crescere personalmente, creativamente e socialmente.
Note
IL CERVELLO E LA NOIA
Esperimenti di imaging funzionale rivelano che la noia viene percepita a livello dell’insula, la regione del cervello che si trova vicino alla parte inferiore del cranio e al tronco encefalico. I ricercatori hanno scoperto che essa svolge un ruolo chiave nella percezione del dolore e nella traduzione delle informazioni sensoriali in sensazioni emotive.
La ricerca condotta presso l’Università del Kentucky ha mostrato le risposte dell’insula in soggetti con personalità diverse. Attraverso l’imaging a risonanza magnetica, il team ha scoperto che gli amanti del brivido mostravano risposte forti e rapide nell’insula nei confronti degli stimoli eccitanti, mentre quelli che non cercavano emozioni forti mostravano una maggiore attività nel cingolo anteriore, la parte del cervello che governa le emozioni.
Si ritiene che tutti i mammiferi abbiano l’insula, il che potrebbe spiegare in qualche modo il comportamento degli orsi polari che camminano avanti e indietro nelle gabbie, o la tendenza dei cani a rosicchiare per cercare stimoli quando vengono tenuti nei box troppo a lungo.
La dottoressa Deborah Wells, della Queens University di Belfast, ha scoperto che la musica classica riduce la noia negli elefanti dello zoo di Belfast. Lei e il suo team hanno successivamente dimostrato che la musica allevia la noia anche di altri animali, riducendo la frustrazione che provano nell’essere confinati in gabbie e recinti.