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Il cane e la simbiosi con l’uomo: ecco perché ci capiamo così a fondo

C’è chi è attratto istintivamente dai cani fin da bambino e chi, invece, scopre questo legame da adulto, ma in entrambi i casi si tratta di qualcosa che cambia la vita per sempre.

C’è chi dedica molto del proprio tempo libero ad aiutare e accudire i cani più sfortunati, nei canili e nei rifugi, e chi sceglie di compiere un percorso di studi lungo, costoso e complesso per poterli curare e salvare (tanti veterinari sono diventati tali in primo luogo per amore dei cani).

C’è chi soffre in maniera terribile e inconsolabile quando il proprio amico con la coda attraversa il “Ponte dell’arcobaleno” e chi sceglie di lasciare i propri beni a organizzazioni che si occupano dei cani o direttamente ai propri compagni di vita a quattro zampe, perché abbiano il massimo anche quando il loro umano non ci sarà più.

Poi, ci sono cani che danno la vita per salvarci da un pericolo, altri che non sopravvivono alla nostra morte e ci raggiungono dopo poco, uccisi dalla tristezza, altri ancora che sanno consolarci e risollevarci il morale meglio di qualsiasi essere umano, pur senza dire una parola. E così via.

Eppure, dal punto di vista puramente “zoologico”, noi e i cani siamo piuttosto distanti…

Cosa ci unisce così profondamente, allora? Almeno in parte, la risposta sta in una sorta di miracolo evolutivo che riguarda sia noi sia loro. Scopriamolo insieme.

 

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1. Cerca e segue il nostro sguardo

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Da tempo la scienza ha capito, prima grazie all’intuizione e poi attraverso ricerche approfondite, che il cane è l’animale che meglio di ogni altro riesce a capire e interpretare molti dei nostri comportamenti, oltre a influenzarli.

Uno in particolare è rivelatore di qualcosa che ci unisce più di quanto si possa immaginare: il cane riesce a seguire la direzione del nostro sguardo e tende a farlo spontaneamente, se c’è un legame con noi; lo scimpanzé, il nostro più stretto parente a livello genetico, non lo sa fare.

E nessun altro animale ci riesce, neppure il lupo che pure è il più stretto parente del cane nonché il suo progenitore.

Infatti, durante alcuni esperimenti gli scienziati hanno scoperto che quando i cani incontrano una difficoltà che non riescono a superare rivolgono lo sguardo al loro umano di riferimento, in cerca di aiuto.

Lo stesso esperimento replicato con lupi “domestici”, cioè allevati da esseri umani fin da cuccioli, ha evidenziato che questi predatori non cercano il nostro supporto in caso di difficoltà. Eppure, il Dna dei lupi e dei cani è identico per il 98,8 per cento.

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Il rapporto tra noi e il cane potrebbe essere stato favorito da un nostro particolare anatomico: la sclera dell’occhio.

Nella nostra specie, la parte bianca dell’occhio (la sclera, appunto) è molto più grande rispetto agli altri Primati (vedi la foto sotto) e ciò permette di capire in che direzione sta guardando un essere umano anche se è lontano da noi: i bambini imparano a seguire lo sguardo altrui in questo modo già tra i nove e i quindici mesi, è un comportamento innato.

Come abbiamo spiegato, anche i cani sono capaci di seguire lo sguardo dell’uomo, sempre grazie alla sclera. È per questo, per esempio, che il binomio di caccia uomo-cane funziona così bene.

Gli studiosi ancora non sono stati in grado di stabilire quando questo cambiamento anatomico sia realmente avvenuto nella nostra specie: se si riuscisse a dimostrare che la mutazione intervenne proprio in coincidenza con la domesticazione, questo avrebbe senza dubbio favorito e accelerato l’alleanza tra noi e i lupi, poi divenuti cani.

 

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2. Selezione speciale

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Perché potesse svilupparsi un livello di comunicazione visiva tanto profondo era necessario, secondo alcuni scienziati, che sia il cane sia gli esseri umani agissero in qualche modo per favorirlo.

O meglio, che il percorso evolutivo di entrambe le specie si fosse indirizzato anche nella direzione di una reciproca capacità di comprensione e di empatia.

La prova sta proprio nel fatto che, come spiegato, nel caso dello scambi di sguardi tra noi e lupi “domestici” non attiva i medesimi meccanismi che entrano invece in gioco quando un cane e un essere umano si guardano.

Da un lato, quindi, i ricercatori ritengono che il cane abbia iniziato anticamente a modificare la propria struttura oculare, in modo da ottenere uno sguardo che fosse efficace anche a livello emotivo verso la nostra specie.

Dall’altro, i nostri antenati devono avere inconsciamente privilegiato i soggetti capaci di questo tipo di sguardo rispetto agli altri, attivando così una vera e propria selezione basata su un tratto morfologico specifico.

E ora ci sono le prove scientifiche, grazie al lavoro di J. Kaminsky, B. M. Waller, R. Diogo, A. Harston-Rose e A. M. Burrows, ricercatori che lavorano in istituti accademici di Portsmouth (Gran Bretagna), Washington, North Carolina e Pennsylvania (Stati Uniti).

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Da tempo sappiamo che la maggior parte degli esseri umani tende a preferire i cani che hanno un aspetto più “infantile”, con tratti morfologici come fronte alta, occhi grandi e tondeggianti e così via.

Tali tratti vengono ulteriormente accentuati da particolari movimenti dei muscoli facciali, in particolare nel caso degli occhi.

Sollevando le sopracciglia, infatti, il cane riesce a ingrandire gli occhi, rendendoli ancora più infantili e potenzialmente più attraenti perché sollecitano l’istinto di accudimento che ci appartiene come mammiferi e come esseri umani.

Inoltre, questo movimento conferisce agli occhi un’espressione che somiglia molto alla nostra quando siamo tristi e questo risulta sostanzialmente irresistibile per la maggior parte di noi.

La riprova viene da un altro studio che ha dimostrato come i cani capaci di produrre questa espressione più frequentemente e in modo più evidente vengano adottati dai canili molto più spesso dei soggetti meno portati a farlo.

È dunque lecito pensare che tale abilità espressiva abbia prodotto un vantaggio selettivo nel corso dei millenni, privilegiando gli individui capaci di attivare la nostra volontà di accudimento rispetto agli altri.

 

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3. Domestico uguale diverso

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Per ragioni che la scienza sta indagando da decenni ormai e che risiedono quasi certamente in componenti genetiche specifiche, la domesticazione di una specie selvatica comporta una modifica delle sue caratteristiche morfologiche e anche comportamentali, essendo le due cose strettamente legate.

È avvenuto per gli ovini, i suini, gli equini e i bovini, che in natura sono nettamente diversi rispetto ai loro parenti domestici (con l’eccezione dei cavalli, che a quanto pare sono estinti come animali realmente selvatici).

Ed è avvenuto in maniera particolarmente eclatante con il cane, in molti casi estremamente lontano nell’aspetto dal suo progenitore lupo: pensiamo a un Bulldog per esempio, oppure a un Bassotto, a un Chihuahua e così via. In sintesi, domestico uguale diverso dall’originale, in modo particolare per il cane.

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Un’altra scoperta stupefacente riguarda il fatto che guardarsi negli occhi attiva nei cani e negli esseri umani il rilascio di ossitocina, un ormone che ha un ruolo chiave nella creazione di un legame affettivo tra i mammiferi. La stessa cosa avviene tra il bimbo piccolo e la madre nella fase dell’attaccamento!

Ma, di nuovo, questo contatto visivo non sembra provocare lo stesso effetto quando è un lupo a fissarci, anche se allevato dagli esseri umani.

Le conclusioni dei ricercatori su queste scoperte confermano, in ultima analisi, che il lungo percorso evolutivo congiunto dei cani e degli esseri umani, durato presumibilmente 30mila anni circa, ha dato vita a un rapporto eccezionalmente profondo e unico nella storia del Pianeta, un rapporto che coinvolge entrambi anche a livello neurochimico e, perlomeno nel caso del cane, anche morfologico, a quanto pare: infatti, gli occhi del nostro amico sono diversi da quelli del lupo, a volte addirittura più simili ai nostri.

E anche su questo la scienza ha indagato, scoprendo cose molto interessanti.

 

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4. Ecco un segreto del cane: muscoli oculari diversi

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Per capire come il cane abbia sviluppato tale capacità espressiva, i ricercatori hanno indagato a livello anatomico, analizzando la struttura muscolare del muso di diversi soggetti di cane domestico e di lupo grigio euroasiatico (il progenitore del cane).

Hanno così scoperto che la sola significativa differenza tra cani e lupi per quanto riguarda la muscolatura facciale è presente soltanto nella zona intorno agli occhi (foto sotto).

Indovinate di cosa si tratta? Esatto, il muscolo che consente a molti cani di sollevare le sopracciglia e ingrandire così gli occhi nei lupi è poco sviluppato e permette solo un minimo movimento.

L’altra differenza è un ulteriore muscolo che consente di spingere la parte esterna delle palpebre lateralmente e indietro, verso gli orecchi: è presente sia nei cani sia nei lupi ma in questi ultimi è molto debole e, di nuovo, limita la capacità di ingrandire gli occhi.

Curioso ma tutto sommato logico, l’unica razza canina in cui questo muscolo è molto gracile, più o meno come nei lupi, è il Siberian Husky, forse il più antico dei cani domestici e il più prossimo al suo progenitore selvatico.

La conclusione è che nel processo di domesticazione del cane la nostra pressione selettiva, quella che ne ha maggiormente determinato lo sviluppo fino a oggi, è stata tale da indurre una mutazione morfologica a livello muscolare funzionale alla creazione di un legame emotivo ed affettivo più saldo rispetto a quanto possibile con qualsiasi altra specie.

Scienza e magia emotiva convivono sempre quando si tratta dei cani... e non è certo un caso.

 

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5. Come si fa a non amarli?

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Spiegare tutto con la scienza, però, contrasta con la parte di noi che vive di emozioni e, a ben guardare, la sola neurochimica non spiega del tutto questo incredibile carico di empatia che lega e noi e i cani da migliaia di anni.

Sì, perché il nostro rapporto coinvolge a fondo i sentimenti non da oggi ma da sempre. Possiamo trovarne esempi a non finire nella storia dell’umanità.

Un caso ci viene dalla lontana Siberia, dove tombe di 8-9.000 anni fa contengono i resti di grandi cani simili al lupo, sepolti con tutti gli onori e con gli stessi ornamenti riservati ai più grandi cacciatori della tribù, segni inequivocabili di affetto e di rispetto.

Oppure, uno dei tanti epitaffi che gli antichi Romani dedicarono ai loro cani, inscritti sulle lapidi delle sepolture: “Tu che percorri questa via, se mai poni mente a questa tomba, no, ti prego, non ridere, se è la tomba di un cane; fui pianto, e le mani del mio padrone hanno radunato la polvere, lui che ha anche fatto incidere queste parole sulla stele”.

Ma pensando a quanto amore sanno darci i cani, a quanta devozione e generosità vi è in loro e a come sia impossibile, per noi, immaginare le nostre case vuote senza la loro allegra e dolce presenza, non stupisce che sia stato affetto profondo anche nel lontano passato, quando ancora eravamo “primitivi” come gli antichi cacciatori siberiani o avvezzi alla guerra come i Romani.

Non amare i cani, per molti esseri umani, è semplicemente impossibile!

 

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