Essere un animale sociale non è una scelta ma una predisposizione naturale. Il cane è un diretto discendente del lupo, il predatore sociale terrestre maggiormente evoluto.
E anche noi, derivanti dalle scimmie antropomorfe, siamo a tutti gli effetti animali sociali che necessitano di costituire gruppi famigliari per prosperare e perpetuare la specie.
Facile allora comprendere perché, millenni or sono, sia nata un’alleanza tra noi e i progenitori del cane: spinti da esigenze analoghe e provvisti di doti che si completano perfettamente, abbiamo conquistato benessere e successo fianco a fianco, proprio come una famiglia.
Però, i punti di vista sull’argomento non sono identici tra noi e i cani…
Avere uno o più cani nella nostra vita è un privilegio e una gioia. Se poi siamo in grado di impostare la convivenza nel modo migliore anche per questi nostri amici, sarà bellissimo anche per loro!
1. Le loro aspettative. Molti cani hanno bisogno di lavorare
Un primo aspetto molto importante da considerare quando si ragiona sul concetto di “famiglia” dal punto di vista del cane è quello che riguarda le sue aspettative, quelle naturali che appartengono a qualsiasi cane in quanto tale e quelle che derivano dalla razza di appartenenza.
Infatti, la grande maggioranza delle razze canine è stata selezionata per svolgere compiti ben precisi, spesso fisicamente e mentalmente impegnativi: vari tipi di caccia, pastorizia, difesa del bestiame, guardia attiva, traino e così via.
Si tratta di veri e propri specialisti che si aspettano di vivere nella dimensione lavorativa che appartiene alla loro “memoria di razza” e anche che la loro famiglia abbia tale predisposizione.
Il che, però, accade di rado: aspettative e realtà spesso non coincidono nel mondo del “cane di famiglia” che in genere ne soffre, se non gli offriamo attività alternative di livello adeguato, cioè sport cinofili o compiti di pubblica utilità.
Saperne di più: I diversi contatti sociali. Gli amici, i semplici conoscenti e i perfetti estranei
Oltre alla famiglia vera e propria, nella vita di un cane è facile che siano presenti anche “branchi secondari”, riferibili a tutti coloro che a vario titolo frequentano il cane, che li riconosce come “amici” o “conoscenti” ma non li considera protagonisti costanti della vita di comunità.
La terza categoria di eventuali contatti riguarda gli estranei, persone che il nostro amico ha l’occasione di incontrare per strada e conoscere superficialmente ma senza che si crei alcuna interazione funzionale e costante.
Questa visione “a tre cerchi” del mondo umano rafforza l’ipotesi della necessità di stabilità del branco, infatti il cane è ben poco propenso a separarsi da coloro che gli garantiscono un’alta probabilità di rimanere in vita, cioè noi, spesso in modo assai soddisfacente, oltretutto.
2. La comunicazione è tutto. “Parlare” al cane non è così difficile
La famiglia umana in cui vive un cane diventa una “struttura sociale interspecifica”, cioè costituita da specie diverse che, ovviamente, si esprimono con linguaggi differenti.
Perché questa famiglia funzioni, la comprensione reciproca è essenziale, solo che noi parliamo e i cani no, o almeno non con un linguaggio simile al nostro.
La soluzione è una sorta di “compromesso” linguistico basato su un numero limitato di parole e su molta routine di eventi, utile a rendere il cane consapevole di ciò che accadrà attraverso l’analisi della nostra gestualità e vocalità.
È ciò che accade, per esempio, se diciamo la parola “usciamo” mentre ci dirigiamo verso il guinzaglio: il cane capisce all’istante che stiamo per uscire con lui.
Se a questo aggiungiamo anche una discreta ripetitività degli orari, il gioco è fatto: al risveglio si esce per la passeggiata, al rientro il cane riceve il primo pasto, indossare un determinato paio di scarpe significa che si va a giocare nei prati, la televisione che si spegne la sera indica che si va a dormire, e così via.
Definire una “traccia quotidiana” di eventi associati ad alcune parole consente una comunicazione molto efficace tra noi e il cane, molto abile a individuare i segnali premonitori di qualsiasi evento.
È molto importante, però, che tutti i membri umani della famiglia utilizzino lo stesso linguaggio per comunicare con il cane, per non creargli incertezze.
3. La solitudine va insegnata. Ma comunque sarà tollerata solo entro certi limiti
Restare da solo è un evento innaturale per il cane, perché è un animale profondamente sociale, molto più di noi.
Ecco perché, per evitare lo sviluppo dei frequenti problemi comportamentali legati alla solitudine, il nostro amico dovrà essere abituato fin dai primi mesi di vita a passare alcune ore della giornata senza di noi, fino a trasformare la cosa in una prassi da accogliere con tranquillità.
Dovremo iniziare con brevi momenti di distacco, meglio se coincidenti con i frequenti “pisolini” diurni del cucciolo, per poi incrementare i tempi gradualmente, se il cane dimostra di accettare la situazione con discreta tranquillità.
Molto importante che le fasi in cui ci prepariamo a uscire e quelle di rientro si svolgano con la massima noncuranza da parte nostra, per evitare di dare ulteriore importanza al momento della separazione e a quello del ricongiungimento.
Per favorire il relax del cane al momento di lasciarlo solo, è essenziale farlo sfogare bene sia fisicamente, con corse e giochi dinamici, sia mentalmente, attraverso esercizi di risoluzione di problemi collegati al pasto, per esempio.
Queste attività, infatti, inducono il rilascio nell’organismo di sostanze denominate endorfine che inducono senso di appagamento duraturo e favoriscono il sonno, contrastando lo stress della solitudine.
Ricordiamoci però che il cane ha dei limiti di sopportazione della solitudine che, anche una volta abituato, raramente superano le cinque ore, poi subentra la sofferenza emotiva. Molto più breve la tolleranza, ovviamente, se non viene applicato il processo di abituazione.
Ululati disperati per richiamarci e danni alla casa, anche seri, dovuti a stress sono le conseguenze più comuni della mancata abituazione.
4. Comanda la genetica. Deve condividere le dinamiche famigliari
La visione della famiglia, cioè del branco, prevista dai geni del nostro amico include un bisogno insopprimibile di partecipare alle diverse attività; e che si tratti di un gruppo sociale di Canidi o di esseri umani non fa alcuna differenza per il cane: deve essere parte integrante di questa famiglia anche per quanto riguarda “fare cose insieme”.
Quindi, dalla passeggiata al riposo, dal gioco all’esplorazione di nuovi luoghi, il nostro amico esprime sempre la stessa esigenza: vivere le dinamiche del branco.
Ecco perché escluderlo e metterlo ai margini, anche se abbiamo grandi giardini a disposizione, lo condurrà sempre a uno stato emozionale di noia e poi di tristezza, seguita dalla depressione, cioè sofferenza.
Le conseguenze? Attività distruttive, abbaio frequente, eccesso di territorialità e anche azioni stereotipate simili a quelle che, purtroppo, ancora si vedono negli animali costretti a vivere rinchiusi negli zoo e altre prigioni simili.
Per questa ragione, la famiglia mista deve raggiungere il giusto equilibrio tra partecipazione del cane alle azioni sociali e capacità di attesa in solitudine senza eccessivo stress. È un’alchimia delicata ma necessaria per la serenità di tutti, non solo del cane.
Ogni azione compiuta insieme a noi per il cane, che è un predatore di branco anche se immaturo, ha un significato particolare.
La passeggiata equivale a un’esplorazione del territorio circostante o a una battuta di caccia, i momenti del pranzo e della cena a una ripartizione della preda, il sonno nel medesimo ambiente a un recupero delle energie in condizioni protette e le azioni compiute tra le mura domestiche alle fasi di gioco, di interazione sociale e di controllo del territorio.
In questo modo si verifica una simbiosi dei ritmi della vita di indubbio valore, in cui il cane giocoforza si adatta ai nostri schemi ma, in parte, anche noi ai suoi. Un’integrazione molto efficace e non comune.
5. Quando arriva un figlio. Evento importante da gestire nel modo giusto
La nascita di un bambino è sempre un evento di grande importanza per una famiglia e questo vale anche per il cane, che è un mammifero e condivide con noi molte emozioni e diversi comportamenti di accudimento.
Per lui, la nascita di un bambino significa che il branco ha un nuovo membro: un cucciolo.
In genere non ci sono particolari problemi ma è saggio e utile abituare il nostro amico alle novità in arrivo e ci sono una paio di cose molto utili da fare senz’altro.
Facciamogli conoscere il passeggino e insegniamogli a camminarvi accanto senza tirare né intralciare, e facciamogli anche ascoltare un pianto di neonato registrato.
Portiamo a casa un panno con l’odore del neonato per farlo annusare al cane prima che il piccolo arrivi a casa, perché per il nostro amico l’odore è molto più importante dell’immagine! In questo modo, il cane potrà accogliere il nuovo arrivato più serenamente.
Naturalmente, ogni interazione tra cane e bimbo dovrà essere controllata e gestita dai soggetti adulti del branco, cioè noi, come è logico che sia.
Ma se eviteremo di relegare il cane in un angolo e, invece, lo renderemo partecipe anche delle cure al nuovo arrivato, in breve tempo si instaurerà facilmente un rapporto di manifesta empatia, poiché il cane è un mammifero e un animale sociale, quindi predisposto a occuparsi del “cucciolo” e a proteggerlo, anche se non è della sua specie.