Riassunto dagli anglosassoni con la consueta capacità di sintesi della loro lingua (e un tocco di latino) nell’espressione nature versus nurture, il dilemma in questione, che riguarda in realtà anche la nostra stessa specie, non è mai stato definitivamente risolto dagli addetti ai lavori, cioè biologi, etologi, psicologi e comportamentisti.
Tutti noi cinofili ci domandiamo spesso se ciò che il nostro cane fa è dovuto a quello che ha “dentro” di sé oppure agli insegnamenti che gli abbiamo impartito o, ancora, alle esperienze vissute senza la nostra mediazione.
Come spesso accade, la risposta non è univoca e neppure sempre la stessa. E il più delle volte, come vedremo, è la somma di tutti i fattori a determinare le scelte del cane.
Quanto conta il patrimonio genetico, e quanto invece le esperienze vissute, nel determinare il comportamento dei nostri amici? Un dilemma vecchio quanto l’etologia: proviamo a risolverlo.
1. Ciascuno è unico. Genotipo e fenotipo e comportamenti istintivi
Quanto volte restiamo stupiti dalle grandi capacità del nostro cane di reagire a stimoli di ogni genere, di imparare un nuovo compito, di esibire risposte che mai pensavamo potesse esprimere?
E quanto è affascinante scoprire come ogni cane sia diverso dall’altro, anche se della medesima razza o, addirittura, della stessa cucciolata?
Tuttavia, spesso ci perdiamo in discussioni sul fatto che un cane sia “migliore” o “peggiore” di un altro, dimenticando che ciascun individuo è, invece, unico e irripetibile. Nel bene e nel male.
Ogni essere vivente porta in sé la metà dei geni di ciascun genitore e il nostro cane non fa eccezione: padre e madre contribuiscono allo stesso modo alla formazione del suo “pool genico”, infatti numerosi studiosi ritengono che il miglior modo per prevedere il carattere di un cucciolo consista proprio nel conoscerne i genitori.
Ma anche nonni e bisnonni trasferiscono una percentuale seppur ridotta delle rispettive informazioni genetiche, tanto è vero che “molto” del nostro amico è la logica conseguenza della sua stessa ascendenza.
Vale lo stesso anche per noi. I geni, a loro volta, non operano da soli ma in sinergia gli uni con gli altri, agendo così sulla formazione tanto della struttura fisica quanto di quella mentale. Si parla, in gergo tecnico, di genotipo, dividendolo in morfogenetico e caratteriale.
Se il genotipo è ciò che si trova “all’interno” del nostro amico, il fenotipo riguarda invece quello che possiamo vedere con i nostri occhi: l’aspetto fisico e comportamentale. Allo stesso modo, quindi, avremo il fenotipo morfologico e il fenotipo comportamentale.
Quale sia l’incidenza della genetica sul modo di comportarsi del nostro cane è ancora oggetto di dibattito; certamente, essa ha un ruolo determinante nell’esibizione di quei comportamenti a forte base istintuale, come la predazione, l’aggressività, l’adattamento ambientale, oltre all’intelligenza e alla capacità di memorizzazione delle informazioni.
Rispetto a tali espressioni innate, la parte genetico-ereditaria oscilla tra il 50 e il 70 per cento, lasciando all’ambiente la rimanente possibilità di intervento. In alcuni casi, la questione diviene più complessa, in quanto vi possono essere predisposizioni genetico-ereditarie che il nostro cane non esprimerà mai, essendo esse “recessive” all’interno del suo genoma.
Tuttavia, tali inclinazioni potranno manifestarsi nelle generazioni successive, quando l’esito di un accoppiamento permetterà ai geni “recessivi” di incontrarne altri uguali. Quando ciò accade, un certo tratto fisico o caratteriale smette di rimanere nascosto e si rende manifesto.
Questo vuole dire che ciò che osserviamo dell’agire del nostro amico è l’effetto di quanto esso possiede geneticamente, sebbene vi possano essere altri fattori che si limitano a rimanere “latenti”: essi, sulla base delle “leggi di Mendel” (un cardine della genetica), possono diventare tangibili nelle generazioni ulteriori.
Una sorta di “passaparola” a intermittenza che rende il tutto complesso e affascinante.
2. Le doti caratteriali. Sono collegate alla personalità dell’individuo
La forza della genetica incide in modo significativo sugli aspetti emozionali, umorali e caratteriali del cane.
Per questo un soggetto sarà più incline ad emozionarsi di un altro e il modo di esprimerlo può oscillare dalla collera alla paura, fino alla tristezza, essendo queste le emozioni “primarie” degli animali.
Ancora, il suo genoma può renderlo più reattivo agli ambienti in cui viene inserito oppure ansioso verso le novità o, ancora, incline a perdere velocemente la fiducia in se stesso.
La somma di emozioni e stati umorali conduce alla personalità, che possiamo definire come l’insieme degli elementi biologici e psicobiologici di ogni individuo. Alla personalità sono collegate le “doti caratteriali”, suddivisibili in una serie di categorie ben definite; tra esse spiccano il temperamento, la tempra, la socialità e la docilità. Vediamole una per una:
- per temperamento intendiamo il grado di velocità e intensità di risposta agli stimoli ambientali, interni ed esterni al cane; possiamo così avere un temperamento basso, medio o alto, cui corrisponde una soglia di reattività alta, media, o bassa;
- la tempra, invece, riguarda la capacità di sopportare eventi negativi, fisici o mentali, senza incorrere in traumi permanenti e mantenendo sempre e comunque un sufficiente equilibrio psicofisico. Essa è connessa alla resilienza, ossia alla predisposizione a contrastare le avversità della vita senza che esse possano prendere il sopravvento;
- la socialità riguarda la naturale inclinazione ad adottare corrette strategie di interazione e comunicazione con soggetti della stessa o di diversa specie. Nel primo caso, parliamo di socialità “intraspecifica” mentre nel secondo ci si riferisce alla socialità “interspecifica”.
La socialità “intraspecifica” si intende nel rapporto con gli altri cani, soprattutto se esterni al gruppo sociale di appartenenza. La socialità “interspecifica” è correlata prevalentemente alle specie cane/uomo, escludendo la relazione che si instaura con il proprietario e la famiglia;
- in tali ultime condizioni, infatti, si richiama la docilità, consistente nel considerare l’essere umano come naturale punto di riferimento in favore del quale si compiono azioni ed attività provando, per il fatto di compierle, un piacere interiore. Socialità e docilità possono essere elevate, mediamente espresse o di ridotta manifestazione.
Accanto alle doti caratteriali “maggiori” vi sono altri elementi riguardanti l’aggressività, la combattività, la possessività e la curiosità. Le prime tre rientrano nei “comportamenti agonistici” di tipo reattivo e proattivo mentre la curiosità indica la volontà di conoscere. In parole non tecniche, la curiosità è vita.
3. Si chiama “filogenesi”. Selezione, ceppi, razze, caratteri genetici...
Il nostro cane è il prodotto evolutivo della specie cui appartiene. La classificazione del cane domestico ci conduce al genere Canis, alla specie lupus e alla sottospecie familiaris.
Trattandosi di una specie parzialmente “artificiale”, cioè selezionata da noi millenni or sono partendo dal lupo, essa è stata suddivisa in ceppi e, da questi, in razze. Un ceppo è un insieme di razze accomunate da morfologia, carattere e funzioni.
Così, per esempio, il ceppo dei molossoidi comprende razze con struttura imponente, crani larghi e musi corti; il loro carattere spesso deve essere affettuoso con i famigliari e schivo con gli estranei, mentre l’attitudine si riferisce al controllare gli spazi in cui vive la stessa famiglia, difendendola se necessario.
Altri ceppi hanno caratteristiche differenti: cani da caccia per la ferma e la seguita, pastori specializzati nella conduzione delle greggi, cani primitivi, cani per la caccia in tana e così via.
Ebbene, appartenere a un ceppo o a un altro, ovvero a una razza o un’altra, vuol dire possedere elementi morfo-funzionali e caratteriali tipici di quel ceppo e di quella razza.
Questi elementi sono il frutto di un processo evolutivo che prende il nome di “filogenesi”. Possiamo così parlare di filogenesi di specie, di ceppo e di razza, sapendo che l’evoluzione porta con sé aspetti necessariamente selettivi.
Il nostro amico, quindi, è il risultato della selezione che è stata apportata nei confronti di tutti quegli individui che, come lui, rientrano in un certo ceppo e in una determinata razza.
D’altra parte, trattandosi di una specie domestica, la selezione del cane è di tipo “artificiale”, in quanto l’artefice di essa non è più la natura ma l’uomo.
Siamo stati noi, come agente selettivo, a mantenere determinati caratteri genetici a scapito di altri, in modo da inseguire e raggiungere un “modello” che oggi possiamo definire “standard di razza”.
La maggior parte dei cani presenti nel mondo è, quindi, il “prodotto filogenetico” della selezione umana, pregi e difetti inclusi.
4. La parola all’ambiente. Il “periodo sensibile” del cane è determinante
La personalità del cane, però, non è solamente espressione dell’insieme dei suoi geni ma anche e soprattutto la conseguenza delle esperienze ambientali vissute a partire dal primo giorno di vita.
L’ambiente, quindi, agisce sui suoi comportamenti insieme alla genetica, posto che quest’ultima non può esprimersi senza le giuste condizioni ambientali. Ambiente significa conoscenza e conoscenza vuol dire apprendimento.
La forma più importante di apprendimento del cane si riferisce a ciò che conosce in un particolare periodo della vita, chiamato “periodo sensibile” e così denominato in quanto ogni individuo diviene particolarmente “sensibile” e ricettivo alle informazioni ambientali, costituendo mappe e modelli che gli consentono di comprendere a quale specie appartiene e quali siano le altre specie “amiche”.
Il “periodo sensibile” vero e proprio del cane inizia alla terza settimana dalla nascita e si conclude alla dodicesima; in tale lasso temporale avviene quello che gli etologi chiamano “processo di impressione”.
L’attività cerebrale è, in tale periodo, molto accelerata e i neuroni si connettono tra loro a una velocità superiore rispetto agli altri periodi di sviluppo, quali la giovinezza, la maturità e la senilità.
Tutto ciò che il cane incontra in questo ambito temporale rimane impresso per sempre, trattandosi di un processo di apprendimento “biologico” e in quanto tale immodificabile.
Gli studi sul “periodo sensibile” hanno dimostrato come ogni specie animale, compresa quella umana, abbia un proprio codice temporale di “impressione” che può variare da qualche mese, o anno, fino al limite minimo di alcune ore.
Si parla, in quest’ultimo caso, di “imprinting”, termine coniato dal famoso etologo Konrad Lorenz attraverso lo studio rivolto agli uccelli.
È stato scientificamente dimostrato in modo inoppugnabile che la carenza di esperienze nei primi mesi di vita è portatrice di disturbi del comportamento del nostro amico, con particolare riferimento alle paure ambientali e sociali.
Esse sono, infatti, dovute all’impossibilità di riconoscere gli stimoli presenti nei contesti di ogni giorno, non essendo essi stati “appresi” nei giusti momenti della vita.
5. Cambia continuamente. Un “caos programmato” che dura a lungo
La biologia insegna che ogni organismo vivente è dinamico e instabile. In altre parole, significa che i comportamenti espressi dal nostro amico sono certamente il frutto del suo genoma e delle esperienze ambientali, ma essi stessi possono mutare con il passare dei mesi e degli anni.
Per esempio, un cucciolo può dimostrare piena disponibilità nel conoscere tutte le persone che incontra per strada, ma potrebbe divenire meno disinibito verso i medesimi interlocutori con il passare del tempo.
Dentro di lui, infatti, si verificano dei cambiamenti che coinvolgono diversi elementi. Innanzitutto, alcuni geni fino a quel momento “spenti” vengono attivati da altri geni definiti “interruttori”, con la conseguenza che queste nuove “nascite” sintetizzano nuove proteine che, a propria volta, catalizzano nuove reazioni chimiche.
Queste ultime coinvolgono altre sostanze interne, come gli ormoni e i neuro-ormoni, a scapito di altre che fino a quel momento dominavano la scena. L’insieme di questo “caos programmato” modifica le risposte che il nostro cane esibisce verso l’ambiente, pur limitandone gli effetti grazie alle esperienze vissute fino a quel momento.
Si parla, così, di “ontogenesi”, intesa come sviluppo dei geni presenti all’interno del corpo. L’ontogenesi permette di individuare i diversi periodi di sviluppo attraversati dal cane; dopo il periodo infantile, concluso vero il quinto o sesto mese di vita, si passa al periodo “pubertario”, quello dell’adolescenza.
Essa coincide con l’avvento della maturità sessuale, consistente nella marcatura territoriale per il maschio e nel primo calore per la femmina.
Da quel momento, il nostro amico assume una precisa identità sessuale e i suoi cambiamenti fisici e comportamentali ne sono la naturale conseguenza.
Tra gli aspetti più rilevanti vi è il posizionamento “gerarchico” all’interno della famiglia, la consapevolezza del territorio in cui vive, la minore disponibilità alla conoscenza di estranei e una certa indipendenza rispetto allo stesso proprietario.
Solamente con il raggiungimento della maturità sociale, tra i due e i tre anni, questi picchi “rivoluzionari” si attenuano a vantaggio di una definitiva stabilità psicofisica.