Una cascata di sostanze chimiche: per i neuroscienziati l’amore è solo questo.
Un approccio “freddo” ma che ha portato a scoperte sorprendenti.
A rischio di uccidere tutta la poesia, bisogna dirlo: l’amore non ha nulla a che fare col cuore, e tantomeno con qualcosa di immateriale. Dipende tutto dal cervello.
La causa dei nostri turbamenti, desideri e persino ossessioni è data da un delicato equilibrio di neurotrasmettitori e ormoni che caratterizza le diverse fasi dell’amore.
Che rapporto c’è tra amore, chimica e cervello? Scopriamolo insieme.
1. Cocktail chimico
I neuroscienziati che negli ultimi 15 anni hanno utilizzato le tecniche di imaging cerebrale per studiare le basi biologiche di questa emozione hanno fatto scoperte interessanti, che confermano quanto ciascuno di noi ha sperimentato anche senza il supporto della ricerca.
Ogni amore è una storia a sé, desiderio sessuale e amore sono sentimenti diversi e non necessariamente coincidenti, la passione travolge ma non dura e col tempo si trasforma, a partire dal nostro cervello, per dare origine a un sentimento diverso da quello dei primi tempi di frequentazione, più solido ma meno eccitante.
«Molte sostanze chimiche sono coinvolte nell’amore romantico. Tra queste, l’ossitocina, la vasopressina, la dopamina, la serotonina, il cortisolo e diversi ormoni dello stress: oltre al testosterone,ormone maschile per eccellenza che gioca un ruolo importante anche nel desiderio femminile», spiega Gert ter Horst, direttore del Centro di neuroimaging dell’Università di Groningen, in Olanda, autore di una delle più importanti revisioni scientifiche sull’argomento, uscita su Neuroscience e intitolata, significativamente “L’amore è più di un bacio”.
“Mi ami? Ma quanto mi ami?”. Se in passato bastava una telefonata per rispondere alla domanda-tormentone, oggi c’è chi non si fida più solo della risposta del compagno ma verifica leggendo letteralmente il cervello.
Lo hanno fatto alcuni ricercatori dell’Università della scienza e tecnologia di Heifei, in Cina, che hanno studiato con la risonanza magnetica funzionale 100 persone in diverse fasi della loro relazione amorosa: innamoramento recente, rottura recente, e un gruppo di “cuori in inverno”, persone che hanno dichiarato di non essersi mai innamorate.
A ognuno è stata mostrata la fotografia del partner attuale o precedente, ed è stata esaminata l’attività cerebrale durante la visione. Sono ben 12 le aree cerebrali che si attivano nella fase di innamoramento mentre il nucleo caudato sembra avere l’ingrato compito di attivarsi al termine di una storia d’amore.
Secondo Xiaochu Zhang, primo autore del lavoro, la risonanza magnetica dice se ci si trova di fronte a un vero amore o a un partner tiepido, per non dire indifferente.
2. Stress da desiderio
Le zone centrali del cervello, dove agisce il neurotrasmettitore dopamina, si occupano di indirizzare la scelta del partner, mentre altri neurotrasmettitori, come la vasopressina nel nucleo pallido e l’ossitocina nel nucleo accumbens e nell’ipotalamo, modulano l’attaccamento al compagno o alla compagna.
Il desiderio sessuale è invece regolato soprattutto dall’attività della dopamina nelle aree mesolimbiche, cioè nelle zone più primitive del cervello, quelle che condividiamo anche con le altre specie animali.
Testosterone ed estrogeni contribuiscono a questa cascata chimica, interagendo a loro volta con l’attività delle vie cerebrali che usano la dopamina, e così anche la noradrenalina e la serotonina, due altri mediatori cerebrali.
Non solo. L’amore è anche stressante: chi si è innamorato di recente mostra livelli elevati di cortisolo e di altri ormoni dello stress.
E quando i livelli di serotonina scendono, magari perché l’amore è finito, si instaurano quei pensieri ossessivi che tutti hanno sperimentato alla fine di un amore e che portano a compiere azioni di cui poi ci si vergogna, come tormentare l’ex al telefono o dormire per giorni avvolti nel maglione che ha dimenticato in un cassetto.
Quasi tutte le aree cerebrali citate finora sono situate nel cosiddetto sistema limbico, posto in profondità nel cervello e sede delle emozioni (oltre che di altre importanti funzioni, come la memoria).
Innamorarsi, legarsi, convivere con un altro individuo sono tutte azioni provocate da diversi livelli di determinati neurotrasmettitori nel cervello. Basta aumentare o diminuire certi “ingredienti” e la relazione cambia la propria natura.
3. Come una droga
Tra gli studiosi che più si sono interessati delle manifestazioni cerebrali dell’amore, c’è il noto neuroscienziato britannico Semir Zeki, che ha osservato il cervello degli innamorati con l’aiuto della risonanza magnetica funzionale.
«Le aree più coinvolte nell’amore romantico sono l’insula, la corteccia cingolata anteriore, l’ippocampo, lo striato, il nucleo accumbens e l’ipotalamo.
L’elenco di per sé non dice granché a chi non è esperto di cervello, ma si tratta di una descrizione esaustiva del sistema cerebrale della ricompensa. La “benzina” di questo sistema è essenzialmente la dopamina, che si conferma essere il neurotrasmettitore chiave dell’amore», spiega Zeki.
Il sistema di ricompensa è costituito da tutte le aree cerebrali che ci consentono di provare piacere quando riceviamo un regalo o un complimento, o mangiamo un buon cibo.
Senza il sistema di ricompensa interna, e senza la dopamina che lo governa, la vita sarebbe insapore e l’amore non esisterebbe.
Quando amiamo e siamo ricambiati, infatti, viviamo in uno stato di perenne euforia che somiglia molto al benessere transitorio che prova un drogato quando assume la sostanza dalla quale dipende.
Se però la situazione non è più così rosea o, peggio, quando veniamo lasciati, sperimentiamo una vera crisi di astinenza.
4. Pene d'amore
Quando veniamo lasciati, a provocare il dolore che proviamo è uno squilibrio di neurotrasmettitori.
L’ossitocina, sostanza che ha anche la funzione biologica di legare la madre al neonato, continua a mantenere vivo il legame nel membro della coppia che è ancora innamorato, provocando sofferenze simili a quelle di un bambino abbandonato.
Il calo di dopamina che deriva dalla mancanza di contatto con l’amato ci fa sperimentare l’astinenza.
Il celebre neuroscienziato britannico Semir Zeki ha anche scoperto che desiderio sessuale e amore consolidato condividono la maggior parte delle aree cerebrali, con l’eccezione del corpo striato, che si attiva nel passaggio dai fuochi della passione al benessere della relazione stabile.
«Potevamo anche aspettarcelo, perché lo striato è come un hub che sancisce il passaggio dagli istinti primordiali, le emozioni di base (tra le quali il desiderio sessuale) e le funzioni cognitive superiori, nelle quali sono coinvolte anche le aree della corteccia cerebrale che regolano il pensiero razionale».
In sostanza, si perde in palpiti ciò che si guadagna in razionalità, a riprova del fatto che nessuna relazione può durare a lungo se si basa solo sull’euforia iniziale.
5. L'avventura continua
Che cosa cambia ora che l’amore non è più solo un campo di indagine della psicologia classica ed è diventato uno dei temi delle neuroscienze?
Lo spiega bene Gert ter Horst, direttore del Centro di neuroimaging dell’Università di Groningen, in Olanda:
«Nel XIX secolo la ricerca sull’amore si è concentrata sulle coppie stabili e sulle basi psicologiche del benessere familiare. L’amore romantico era visto come un fattore di disgregazione della famiglia: come tale andava represso per favorire la stabilità di coppia.
Questi primi ricercatori erano però in errore: gli studi sociali condotti nel XX secolo hanno dimostrato che non c’è alcun legame tra la quantità dei conflitti all’interno di una coppia e l’insoddisfazione per la relazione. Più che le liti, a predire la fine di un amore è la scomparsa dei gesti di intimità e di reciproco affetto».
Nelle ricerche sull’amore romantico, gli esperti inizialmente si sono concentrati sui meccanismi dell’innamoramento e sulla scelta del partner, basandosi soprattutto sull’analisi dei tratti psicologici.
In effetti, l’amore è rimasto a lungo una faccenda da psicologi “classici” e non da neuroscienziati, perché ancora oggi prevale l’idea che si tratti di un’emozione non spiegabile studiando l’attività cerebrale. Ma non è così.
Alla luce delle teorie evolutive e considerando le aree cerebrali coinvolte, l’ipotesi più accreditata oggi è che la passione e il romanticismo si siamo sviluppati per sostituire, a livello dei circuiti di ricompensa, i complessi rituali di corteggiamento presenti nelle specie animali e per favorire l’attaccamento tra adulti, essenziale per allevare una prole indifesa qual è quella umana.
«Siamo ancora agli inizi degli studi in questo settore», conclude Zeki. «C’è ancora molto da scoprire e ci aspettano delle sorprese, perché lo sviluppo culturale della specie umana ha modificato alcuni meccanismi biologicamente determinati. Sarà un viaggio affascinante che potrebbe anche sovvertire il nostro modo di concepire l’amore e la famiglia».