Il colesterolo è un problema di tutti, dal momento che tutti possono incorrere nelle conseguenze di una sua presenza eccessiva nel sangue.
Questo grasso, perché tale è la sua natura, ha effetti dannosi non solo sul cuore, ma anche sul cervello e persino su gambe, reni o intestino.
Tutto dipende dal fatto che il colesterolo può portare alla formazione di placche all’interno delle arterie, che riducono il flusso sanguigno ed espongono al rischio di ictus, infarti ed ischemie.
Ma sono davvero molte le cose che non tutti sanno sul colesterolo e i falsi miti che si sono diffusi a riguardo. Fare chiarezza è il primo passo per poter ritrovare la salute.
1. Cosa lo trasforma in una vera minaccia
Il colesterolo è sostanzialmente un grasso che noi stessi produciamo (per circa il 90%) e che in parte assumiamo anche con ciò che mangiamo.
In sé questa sostanza svolge anche funzioni importanti ed è questa la ragione per cui il nostro corpo provvede a garantirselo.
Cosa allora lo rende pericoloso al punto da essere considerato un fattore di rischio per l’insorgere di patologie cardio-vascolari e non solo? Questo grasso, quando circola nelle arterie, va incontro al rischio di ossidarsi.
Questo avviene quando vi è un eccesso di radicali liberi, scorie metaboliche che risultano dai naturali processi dell’organismo, ma che aumentano sensibilmente quando siamo sotto stress, o quando è presente uno stato infiammatorio sistemico, ovvero quell’infiammazione di basso grado che è considerata ormai all’origine di tutte le patologie più pericolose.
Una presenza eccessiva di radicali liberi, oltre a far invecchiare precocemente l’organismo, fa irrancidire, letteralmente, il colesterolo. È così che questo grasso diventa uno stimolo irritativo per le pareti arteriose, il cui rivestimento interno si logora, diventando permeabile.
Il colesterolo allora si insinua e si accumula nelle pareti arteriose e va a formare, con il tempo, delle placche aterosclerotiche, che possono ridurre o addirittura ostruire il normale passaggio del sangue, favorendo l’insorgere di patologie cardiovascolari.
Per essere trasportato nel sangue, il colesterolo ha bisogno di legarsi a specifiche proteine, chiamate lipoproteine. È da loro che derivano le sigle LDL e HDL, che identificano il colesterolo buono e quello cattivo.
Le lipoproteine a bassa densità (Low Density Lipoproteins, LDL) sono il principale vettore del colesterolo e lo trasportano distribuendolo a tutti gli organi. È il colesterolo legato a queste proteine che tende lentamente a depositarsi sulla parete interna delle arterie, contribuendo alla formazione della “placca aterosclerotica” e per questo viene definitivo cattivo.
Ci sono poi le lipoproteine ad alta densità (High Density Lipoproteins, HDL) che, agendo come una sorta di spazzine, invece rimuovono il colesterolo in eccesso e lo portano al fegato dove viene eliminato. Ecco perché il colesterolo ad esse legato, detto HDL, è considerato buono.
Ci sono infine le lipoproteine a densità molto bassa (Very Low Density Lipoproteins,VLDL) che trasportano invece i trigliceridi nel sangue. Elevati livelli di trigliceridi, a differenza di quanto avviene per il colesterolo, non sembrano influenzare la formazione della placca aterosclerotica, ma si associano ad altri disturbi metabolici come il diabete o la sindrome metabolica.
Perché lo produciamo? Ma a cosa serve il colesterolo? Questa sostanza di natura lipidica è talmente importante che il nostro corpo si è evoluto in modo da essere in grado di produrlo da solo.
Infatti, nei giusti limiti, è fondamentale per un efficace trasferimento dei segnali elettrici tra neuroni, diventando indispensabile per il funzionamento del sistema nervoso. Serve poi a sintetizzare gli ormoni steroidei, gli androgeni maschili e gli estrogeni femminili.
Il colesterolo prodotto nel fegato viene impiegato in buona parte per la produzione della bile, necessaria a digerire i grassi introdotti con gli alimenti. Aiuta a sintetizzare la vitamina D, permette la costituzione della membrana cellulare, favorisce la crescita e la divisione delle cellule e rende impermeabile la pelle, evitando che l'organismo si disidrati.
Curiosità: un po’ di storia...
Il nome gli venne dato nel 1894. La prima volta che venne evidenziata la presenza di colesterolo fu intorno al 1770, in alcuni calcoli alla cistifellea. Nel 1775 un patologo tedesco dimostrò che nelle arterie umane indurite e ristrette era presente una sostanza untuosa che risultò essere colesterolo. L’origine del nome si fa risalire al 1894, dopo che Marcellin Berthelot ne scoprì la natura alcolica. Il colesterolo è entrato ufficialmente in scena nella storia della medicina a partire da 1913, quando due scienziati russi si accorsero che, alimentando i conigli con colesterolo puro, si provocava l’insorgenza, nella parete interna dell’aorta, di ateromi, ovvero di placche costituite soprattutto da questa sostanza.
2. Quando è troppo? Ecco i valori da avere
Ma quali sono i valori di colesterolo considerati auspicabili? Nella persona sana, il colesterolo LDL deve essere mantenuto sotto i 116 mg/dl.
Il colesterolo LDL di solito non è indicato negli esami del sangue, ma è possibile calcolarlo sottraendo al colesterolo totale la cifra che si ottiene sommando il colesterolo HDL e il valore dei triglieridi, quest’ultimo precedentemente diviso per cinque.
Il colesterolo totale deve essere inferiore ai 200 mg/dL, mentre il colesterolo HDL deve essere superiore a 40 mg/dl negli uomini e 50 mg/dl nelle donne, meglio se sopra i 60.
I livelli raccomandati dalle linee guida della Società europea di cardiologia e della Società europea dell’aterosclerosi approvati nel 2019 prescrivono valori di colesterolo LDL progressivamente più bassi nei soggetti con un più alto rischio cardiovascolare.
Ecco i valori che sono stati fissati:
• Per i soggetti a basso rischio è ottimale il target di LDL inferiore a 116 mg/dl.
• Per i soggetti a rischio moderato, il target di LDL dovrebbe essere inferiore a 100 mg/dl.
• Per i pazienti ad alto rischio è raccomandato un target di LDL inferiore a 70 mg/dl.
• Per i pazienti a rischio molto alto, ad esempio per coloro che hanno già avuto un evento cardiovascolare, ad esempio un infarto, invece, è raccomandato un target di LDL inferiore a 55 mg/dl.
• Per i pazienti che hanno avuto un secondo evento vascolare entro due anni dal primo (non necessariamente dello stesso tipo) mentre sono in trattamento con statine alla dose massima tollerata è suggerito un target di LDL inferiore a 40 mg/dl.
Ogni quanto è bene controllare, con un esame del sangue, il proprio colesterolo? Se non si hanno particolari problemi potrebbe essere sufficiente farlo una volta ogni due anni. Si scende a un anno se si hanno avuti problemi di natura cardiovascolare.
Controlli ancora più frequenti, decisi dal medico curante, potrebbero essere opportuni nel caso in cui si stia seguendo una terapia con le statine e sia necessario verificare l’efficacia della cura. Il monitoraggio consente anche di valutare una eventuale riduzione dei dosaggi dei farmaci, che non va mai fatta in modo autonomo.
Questo va sottolineato soprattutto oggi, quando la tecnologia mette a disposizione strumenti abbastanza affidabili per controllare il colesterolo a casa propria, un po’ come avviene per la glicemia.
3. È più pericoloso se si associa a ipertensione e grasso viscerale
L’ipercolesterolemia è già di per sé un fattore di rischio cardiovascolare, ma lo diventa ancora di più quando si associa ad altre condizioni, arrivando a definire quella che viene chiamata sindrome metabolica, che oggi riguarda in Italia circa il 19% delle donne e il 23% degli uomini sopra i 35 anni, con un’incidenza che tende ad aumentare con l’aumentare dell’età.
La sindrome metabolica si caratterizza per la presenza contemporanea di due o più valori oltre la norma. Sul fronte del colesterolo, prende in considerazione i bassi livelli di HDL, ovvero di colesterolo buono. A far scattare l’allarme sono valori di colesterolo HDL inferiori a 50 mg/dl per la donna e inferiori a 40 mg/dl per l’uomo.
Ad essi si possono associare:
• valori dei trigliceridi superiori a 150 mg/dl;
• grasso viscerale, rilevabile con una misurazione della circonferenza della vita che sia per la donna superiore a 80 cm e per l’uomo superiore a 95 cm.
Si tratta di quello che viene chiamato anche grasso addominale, che circonda gli organi ed è collegato a una maggior infiammazione e a una maggior produzione di radicali liberi;
• pressione arteriosa con una minima superiore a 85 mmHg e una massima superiore a 130 mmHg;
• glicemia superiore a 110 mg/dl.
Il rischio cardiovascolare progressivamente aumenta all’aumentare del numero di fattori di rischio (più ce ne sono, più il rischio si alza) e con modalità più gravi rispetto all’impatto dei singoli fattori.
È possibile calcolare il proprio indice di rischio cardiovascolare facendo il rapporto fra colesterolo totale e colesterolo HDL. Basta dividere il colesterolo totale per il colesterolo HDL. Il numero che si ottiene è appunto l’indice di rischio che, per un soggetto sano, deve essere inferiore a 5 per l’uomo e a 4,5 per la donna.
Se si ha, ad esempio, un colesterolo totale pari a 200 (un valore accettabile) ma con HDL pari a 38, si otterrà un indice di rischio pari a 5,2, sopra la soglia fissata. È dunque importante considerare non solo il colesterolo generale, ma anche i livelli di HDL presenti.
I dati sul colesterolo in Italia scattano una fotografia in bianco e nero. Nell’ombra stanno i molti che non sanno di avere livelli elevati di grassi nel sangue. Gli ultimi dati riportati del Progetto Cuore affermano che circa il 30% di coloro che hanno il colesterolo elevato non ne è consapevole.
L’allarme viene lanciato anche dai cardiologi: delle 217mila morti per cause cardiovascolari in Italia nel 2017, più di 46mila sarebbero ascrivibili al mancato controllo del colesterolo.
Ancor meno controlli sono stati fatti a causa della pandemia da Coronavirus. Gli ultimissimi dati relativi al 2020 evidenziano una crescita preoccupante della mortalità per cause cardiovascolari. Le morti per infarto sono passate dal 4,1% del 2019 al 13,7% del 2020.
I dati sono stati raccolti nell’ambito di uno studio condotto in 54 ospedali italiani relativamente al periodo 12-19 marzo 2020, e confrontati con lo stesso periodo del 2019. Proprio in base ai dati relativi al 2019, circa il 20% delle persone non ha mai fatto un controllo sui livelli di colesterolo.
Inoltre molti di coloro che hanno ricevuto una diagnosi di ipercolesterolemia non seguono alcuna terapia. Il 36% invece viene curato d con i farmaci, in genere statine, mentre l’87,7% afferma di aver ricevuto come consiglio quello di ridurre il consumo di carne e di formaggio.
4. Cosa lo fa alzare
Livelli elevati di colesterolo nel sangue possono essere dovuti a fattori differenti. Alcuni di questi possono essere controllati, su altri abbiamo meno potere.
Uno dei fattori non modificabili è, ad esempio, l’età. L’ipercolesterolemia è statisticamente più frequente dopo i 45 anni nei soggetti di sesso maschile e dopo i 55 anni nei soggetti di sesso femminile.
Nella donna, in particolare, il calo della produzione di estrogeni che si verifica con l’avvento della menopausa provoca un innalzamento del colesterolo LDL.
Altro fattore non modificabile è l’ipercolesterolemia famigliare, ovvero valori molto elevati di colesterolo dovuti a una mutazione a carico di un gene che non permette alle proteine LDL di catturare le particelle di colesterolo LDL, lasciandole così nel flusso sanguigno.
Esistono però fattori che possono essere modificati. Ad esempio alimentazione e stile di vita. Una dieta eccessivamente ricca di grassi e zuccheri, il fumo, il consumo di alcolici, ma anche una scarsa attività fisica possono concorrere, in modo combinato, a determinare un eccesso di grassi nel sangue. Ma c’è una causa poco considerata, ovvero lo stress.
Bisogna ovviamente ricordare cosa è lo stress. Un insieme di reazioni che il nostro corpo mette in atto come risposta a una minaccia, reale o soltanto percepita. Ansia, tensioni, preoccupazioni, quello che con un’unica parola chiamiamo stress porta a una serie di modificazioni corporee, mediate dagli ormoni.
Il nostro corpo si attrezza per affrontare una difficoltà e il colesterolo, con le sue molteplici funzioni, diventa una sostanza di cui si potrebbe avere bisogno. In particolare è stato notato che lo stress induce un aumento del colesterolo LDL, ovvero del colesterolo cattivo, riducendo per contro quello HDL, ovvero quello buono.
Sembra dunque che l’intenzione sia proprio quella di lasciare le molecole di colesterolo a disposizione dell’organismo, non togliendole dal sangue. Lo stress comporta anche un aumento nella sintesi di ormoni come cortisolo, adrenalina e insulina, che sul lungo termine influiscono sul metabolismo dei grassi, favorendo un accumulo lipidico e interferendo con la corretta funzionalità del fegato.
Le tensioni psicologiche inducono inoltre un aumento nella produzione di radicali liberi, quelle molecole che determinano l’ossidazione del colesterolo: anche la nostra mente concorre a rendere pericoloso il colesterolo. Dunque è molto importante ridurre i fattori di stress ed evitare che si inneschino processi ossidativi. Diventano utili tecniche di rilassamento ma è anche consigliabile seguire una dieta antiossidante, capace di proteggerci dai radicali liberi.
È possibile che l’eccesso di grassi nel sangue sia conseguenza di altre malattie. Ad esempio l’ipotiroidismo o una scarsa funzionalità della tiroide può determinare un aumento della sintesi del colesterolo e un suo maggiore accumulo e dunque, di fatto, ipercolesterolemia.
Altre patologie connesse con le dislipidemie sono il diabete, la malattia renale avanzata, l’epatopatia “colestatica” o un ridotto deflusso biliare. In questi casi l’ipercolesterolemia è detta secondaria poiché è conseguenza della patologia, che va quindi trattata prioritariamente: senza risolvere la causa a monte, infatti, non sarà possibile vedere normalizzarsi i livelli di grassi nel sangue.
Le dislipidemie possono poi essere dovute all’uso prolungato di alcuni farmaci come i cortisonici, la pillola anticoncezionale, gli ormoni femminili, compresi quelli sostitutivi in menopausa, alcuni immunosoppressori e alcuni farmaci per l’acne.
5. I segnali sfumati ai quali prestare attenzione
L’ipercolesterolemia è una condizione silenziosa, nel senso che non dà alcun tipo di sintomatologia: ci accorgiamo del problema solo quando è troppo tardi.
Eppure ci sono alcuni segnali che andrebbero considerati.
Molti di questi, è bene sottolinearlo, non sono prove, poiché potrebbero essere dovuti ad altri fattori, ma la loro presenza potrebbe indurre a fare qualche verifica per accertare la correttezza dei lavori lipidici. Eccone alcuni.
1. Maggior stanchezza fisica e mentale
Avere il colesterolo alto può indurre una maggior sensibilità all’affaticamento. La stanchezza si manifesta sia a livello fisico che mentale.
Soprattutto se gli accumuli di colesterolo hanno ridotto il calibro delle arterie che portano ilsangue e quindi l’ossigeno al cervello è possibile che si avverta una sensazione di confusione e di difficoltà di concentrazione.
Questo tipo di sintomatologia si manifesta soprattutto se il problema del colesterolo elevato è stato trascurato per molti anni.
2. Difficoltà digestive (soprattutto con i grassi)
È possibile che si manifestino anche difficoltà digestive, soprattutto nei confronti di alimenti particolarmente grassi.
A spiegare questo è il fatto che vi è un rallentamento dell’attività del fegato, ghiandola che è incaricata della sintesi del colesterolo e del metabolismo lipidico in generale.
È possibile che si manifestino anche alito cattivo e lingua patinata di bianco. Viene condizionato anche l’intestino: possono essere presenti, ad esempio, fenomeni di stipsi.
3. Intorpidimento e dolori articolari
Altro sintomo del colesterolo in eccesso può essere una forma di indolenzimento di mani e piedi. Anche i dolori articolari possono essere una delle conseguenze del colesterolo elevato. Uno dei chiari segnali è il dolore che compare durante la camminata.
4. Noduli sotto pelle e vescicole sulle palpebre
Gli xantomi sono noduli, dal tipico colore giallo-arancione, che si presentano sotto la pelle o a livello dei tendini e che sono dovuti ad accumulo di lipidi; si riscontrano, in particolare, nelle varianti di ipercolesterolemia familiare.
Sempre dovuti ad accumulo di grassi e colesterolo sono gli xantelasmi, vescicole e “palline” giallastre che si manifestano a livello della palpebra inferiore e superiore. Gli xantelasmi si presentano come placche che compaiono su una o entrambe le palpebre, in particolare in corrispondenza dell’angolo interno di quelle superiori, nella zona più vicina al naso.