Se chiedete a un amico di dire il nome del primo organo che gli viene in mente, ci sono buone probabilità che vi risponda: “il cuore”.
Non è sorprendente: il cuore è il re degli organi. Ed è il simbolo stesso della vita, più dei polmoni, del fegato e persino del cervello, che sono necessari quanto lui.
Il momento in cui abbiamo iniziato ad attribuirgli un significato speciale si perde nella notte dei tempi. In Europa, rappresentazioni del cuore si trovano nei graffiti rinvenuti in caverne abitate, 10.000 anni fa, dall’uomo di Cro-Magnon.
Nell’antico Egitto, durante la mummificazione si toglievano dal corpo gli organi interni, lasciando però al suo posto il cuore che, nel viaggio nell’oltretomba, sarebbe stato pesato per stabilire se l’anima avesse diritto alla vita eterna.
Tremila anni dopo, nell’America Centrale, gli Aztechi estraevano il cuore pulsante dal petto delle vittime sacrificali, per offrirlo agli dèi. Anche oggi quest’organo è ritenuto la sede dei nostri sentimenti più nobili, come l’amore e il coraggio (la parola coraggio deriva proprio da cor: cuore in latino).
Quando, nel 1982, il dentista americano Barney Clark ricevette per primo un cuore artificiale, la moglie chiese al chirurgo se, dopo l’intervento, suo marito l’avrebbe ancora amata.
Simbolo di vita, amore e coraggio, è il muscolo più forte del corpo. La medicina ha imparato a curarlo, ma resta il nostro punto debole!
1. PER TUTTA LA VITA
Dal punto di vista anatomico, il cuore è un muscolo cavo.
Suddiviso internamente in quattro camere (due atri in alto, e due ventricoli in basso), ha il compito di pompare il sangue in tutto il corpo, rifornendo ogni singola cellula di ossigeno e sostanze nutritive.
Questa funzione è talmente importante che il cuore è l’ultimo organo a spegnersi, quando moriamo, e il primo a svilupparsi nell’utero materno.
«Comincia a pulsare quando il feto ha appena tre settimane di vita, prima ancora che ci sia sangue da pompare», scrive il cardiologo statunitense, di origini indiane, Sandeep Jauhar, nel suo recente libro Il cuore.
Da quel preciso istante, per tutta la nostra esistenza saremo accompagnati dal “tump-tump” del battito, generato dall’apertura e dalla chiusura delle valvole che, collocate fra atri e ventricoli, assicurano che il sangue scorra in una sola direzione, e non torni indietro.
Sull’anatomia del cuore la scienza sa ormai quasi tutto. Gli studi più recenti si occupano quindi di mettere a posto i dettagli per completare il quadro.
Per esempio, una ricerca pubblicata ad agosto sulla rivista Nature ha risposto a un quesito che Leonardo da Vinci si era posto già 500 anni fa, osservando che l’interno dei ventricoli non è liscio, ma ricoperto di protuberanze, chiamate trabecole.
A che cosa servono? Secondo lo studio, rendono più scorrevole il flusso del sangue: hanno, insomma, la stessa funzione dei rilievi presenti sulle palline da golf, che riducono la resistenza dell’aria facendo aumentare la velocità della sfera.
Il cuore è il nostro muscolo più potente: nell’arco della vita batte, in media, 3 miliardi di volte, senza concedersi un attimo di tregua. Ma è anche il nostro tallone d’Achille.
Secondo il Global Burden of Diseases – uno studio condotto sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che periodicamente fotografa lo stato di salute della popolazione globale – le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in tutto il mondo e determinano, ogni anno, circa 18 milioni di decessi.
In Italia, quasi un terzo della mortalità è dovuto a queste patologie (i dati si riferiscono all’epoca pre-Covid). Il cuore non ha un vero e proprio punto debole: invecchia perché lavora molto e perché è logorato da stili di vita sbagliati.
È però un organo critico, perché non esiste un cuore di riserva, né un tessuto che possa rimpiazzarlo. Il fegato malato può rigenerare; i polmoni e i reni sono due, e si può vivere con uno soltanto. Il cuore, invece, è uno. E deve funzionare bene.
Nella foto sotto, un embrione di quattro settimane. Il suo cuore pulsa già da sette giorni ed è stato il primo organo a svilupparsi. Fino alla nascita, il sistema circolatorio sarà tuttavia collegato a quello della madre, attraverso il cordone ombelicale.
2. IL BOOM DELLA CARDIOLOGIA E LE OPERAZIONI SUL CUORE
La faccia buona della medaglia è che per il cuore la medicina moderna ha fatto progressi più che per qualsiasi altro organo.
L’aumento importante dell’aspettativa di vita che abbiamo visto negli ultimi decenni è dovuto soprattutto al miglioramento nella gestione delle malattie cardiovascolari, o al ritardo nella loro comparsa (dovuto all’efficacia della prevenzione).
Scrive Jauhar nel suo saggio: «Nell’ultimo mezzo secolo, i cardiologi sono stati protagonisti di enormi innovazioni sul piano tecnologico. In questo periodo ci sono state innumerevoli conquiste che hanno allungato la vita ai malati».
Per esempio, ai farmaci già disponibili se ne sono aggiunti di nuovi. Come gli ACE-inibitori e i betabloccanti (introdotti entrambi negli anni Ottanta), che aiutano a prevenire infarti e ictus e hanno aumentato la sopravvivenza anche di chi ha già dovuto affrontare questi eventi.
O le statine – la prima fu approvata nel 1987 –, che riducono il rischio cardiovascolare tenendo sotto controllo i livelli di colesterolo, il grasso che forma le placche che, ostruendo i vasi sanguigni, favoriscono ictus e infarti.
Ma i progressi più spettacolari hanno riguardato la cardiochirurgia, che si è sviluppata a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’invenzione della macchina cuore-polmoni.
Collegare il sistema circolatorio a un dispositivo esterno, che ossigena il sangue e lo reimmette nell’organismo, permette infatti di fermare per diverso tempo il battito e di operare sul cuore fermo.
Senza quell’invenzione non ci sarebbero stati il bypass – che innesta sul muscolo cardiaco un vaso sanguigno aggiuntivo, per rimpiazzare la funzione di una coronaria ostruita – e neppure la sostituzione delle valvole cardiache o la correzione di anomalie congenite complesse (anche se oggi alcuni di questi interventi si possono eseguire “a cuore battente”, per mantenere per quanto possibile la normale fisiologia durante l’intervento).
Soprattutto però, senza la macchina cuore-polmoni, mai sarebbe stato possibile trapiantare il cuore. Il primo storico intervento fu eseguito il 3 dicembre del 1967 dal chirurgo sudafricano Christiaan Barnard.
Secondo l’Osservatorio globale sulla donazione e il trapianto, oggi nel mondo il trapianto di cuore salva la vita a circa 7.500 persone ogni anno. In Italia, nel 2019, gli interventi sono stati 246: un dato che però può e deve migliorare. L’opposizione al prelievo degli organi riguarda ancora il 30% dei possibili donatori.
Nella foto sotto, l’équipe del chirurgo sudafricano Christiaan Barnard, il primo a eseguire un trapianto di cuore, il 3 dicembre 1967.
3. RIAVVIARE IL RITMO E LA PAROLA ALLA PREVENZIONE
Infine, avanzamenti importanti hanno riguardato la diagnostica (grazie a tecniche di imaging, come la risonanza magnetica) e la cardiologia interventistica, che con interventi poco invasivi ripristina la normalità in situazioni che un tempo mettevano a rischio la vita: come il restringimento delle coronarie, certe malattie delle valvole, difetti congeniti, e alcune anomalie del battito cardiaco.
Riguardo a queste ultime, i tradizionali pacemaker – che danno l’impulso elettrico al cuore in caso di rallentamento eccessivo – si sono evoluti in dispositivi sempre più sofisticati e “intelligenti”, capaci di monitorare il ritmo cardiaco e altri parametri e di rispondere di conseguenza.
Molti di questi dispositivi possono essere controllati da remoto: è cioè possibile trasmettere a distanza le informazioni archiviate, e ricevere le indicazioni appropriate da parte dell’équipe specialistica. È un esempio valido di quella telemedicina che può diventare così importante, per esempio in tempo di pandemia.
Eppure, questo tumultuoso progresso sembra volgere al capolinea. «La mortalità per malattie cardiovascolari si è ridotta del 60% dal 1969 a oggi. Ma la cardiologia, nella sua forma attuale, potrebbe aver toccato il limite delle sue possibilità riguardo al prolungamento vitale», scrive Jauhar.
Sul piano della terapia, è importante mantenere ciò che abbiamo raggiunto. Ma se vogliamo che la mortalità scenda ulteriormente, lo sguardo va ora rivolto alla prevenzione.
Si parla di “fattori di rischio modificabili” per tutte quelle abitudini o condizioni che incidono negativamente sulla salute, ma che possono essere tenute sotto controllo. Nella popolazione italiana, la diffusione di questi fattori è monitorata dal sistema di sorveglianza Passi, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.
Riguardo alla salute cardiovascolare, questo sistema prende in esame: l’ipertensione e i livelli elevati di colesterolo nel sangue (che vanno trattati con farmaci, oltre che controllati con gli stili di vita), il fumo di tabacco, il sovrappeso, la sedentarietà e una dieta povera di frutta, verdura e pesce, ma troppo ricca di grassi e sale.
Secondo l’ultima rilevazione, effettuata fra il 2015 e il 2018, il 97% degli italiani ha almeno uno di questi fattori di rischio e il 40% ne presenta tre o più. Gli spazi di miglioramento sono quindi ampi, se si considera, per esempio, che il fumo fa aumentare da due a quattro volte il rischio di andare incontro a ictus e a infarti, e che la sedentarietà lo accresce del 20-30%.
Sotto, gli stili di vita sbagliati logorano il cuore e i vasi. Il fumo, per esempio, fa aumentare da due a quattro volte il rischio di andare incontro a ictus e infarti.
4. IL FUTURO E MORIRE DI CREPACUORE
- IL FUTURO
Tutto questo non significa che sul versante delle terapie non sia più possibile fare alcun passo avanti. Gli sviluppi futuri potrebbero riguardare l’uso di cellule staminali per riparare il muscolo cardiaco, e un impiego più ampio del cuore artificiale.
Nel 2003, la scoperta che anche il cuore ha una popolazione di cellule staminali, che sulla carta potrebbero rigenerare il tessuto danneggiato, sembrava aprire una strada nuova verso la cura dell’infarto e di altre malattie.
Tuttavia, gli studi condotti finora non hanno dato i risultati sperati e l’utilizzo di staminali per riparare il muscolo cardiaco resta un’ipotesi. Non si riesce infatti a riprodurre la disposizione spaziale corretta, né a connettere le nuove cellule con il tessuto o a trasmettere loro l’impulso affinché possano contrarsi in modo efficace.
Potrebbe invece essere ampliato l’impiego del cuore artificiale. Questa espressione indica sia le macchine che si impiantano al posto dell’organo, sostituendone in toto la funzione, sia i dispositivi più usati, chiamati Lvad (Left ventricular assist device), che suppliscono alla funzione del ventricolo sinistro (quello che manda il sangue ossigenato a tutto il corpo, ndr).
Le migliori erogano un flusso di sangue continuo (senza pulsazioni) e sono alimentate da batterie esterne, del peso di un paio di chili, che i pazienti portano sempre con sé.
In Italia però questi dispositivi sono poco usati, perché sono ritenuti costosi e perché mancano, sul territorio, le competenze necessarie a seguire da vicino i pazienti.
È una situazione a cui va posto rimedio: per tanti malati che non possono accedere al trapianto, questi strumenti sono la sola possibilità di salvezza.
- MORIRE DI CREPACUORE
Si chiama cardiomiopatia di Takotsubo ed è la dimostrazione più evidente di quanto un dolore dell’anima possa far male al cuore.
Questa malattia, potenzialmente letale, si osserva nelle persone che hanno vissuto un trauma importante, come una grande paura o la perdita di una persona molto cara.
Il muscolo cardiaco perde la “punta” e assume una forma tondeggiante, simile a quella del Takotsubo, un vaso utilizzato nella pesca tradizionale del polpo, in Giappone.
All’origine di questa trasformazione ci sono i picchi nella secrezione di adrenalina, che si determinano in seguito al forte stress.
Nel cuore, le cellule sensibili a questo ormone si trovano soprattutto sulla punta, e sono danneggiate quando l’adrenalina è in quantità eccessiva.
5. I MALI DEL CUORE E LA TOP TEN DEL RISCHIO
I MALI DEL CUORE
- INFARTO
Le arterie coronarie riforniscono il cuore di ossigeno e sostanze nutritive. Se una di queste si tappa, le cellule non ricevono più ciò di cui hanno bisogno e muoiono. Il termine infarto indica la morte di una parte del muscolo cardiaco, dovuta all’occlusione di una coronaria.
- SCOMPENSO CARDIACO
Nello scompenso cardiaco il cuore non riesce più a pompare il sangue con sufficiente forza, e tutto il corpo ne risente. Questa condizione è spesso la conseguenza di altre malattie (per esempio, l’infarto) ed è molto più frequente negli anziani.
- ARITMIE CARDIACHE
Sono alterazioni della frequenza cardiaca, che diventa troppo rapida (tachicardia) oppure troppo lenta (bradicardia). Sono dovute ad anomalie del circuito elettrico del cuore che genera le pulsazioni.
- ANGINA PECTORIS
È un dolore acuto al petto, dovuto a una insufficiente ossigenazione del cuore. Può avere diverse cause e non va sottovalutata.
- ICTUS
L’ictus (colpo, in latino) è un evento improvviso che interessa il cervello, ed è determinato dall’occlusione di un vaso sanguigno (ictus ischemico) oppure dalla sua rottura (ictus emorragico). L’ictus determina la morte delle cellule cerebrali nella zona irrorata dal vaso.
TOP TEN DEL RISCHIO
Le prime 10 cause di morte in Italia (Istat 2014).
PERCENTUALE SUL TOTALE NEL DEI DECESSI DEL 2014 (messi a confronto con i dati del 2003)
- INFARTO 11,6% (13,9% nel 2003)
- ICTUS 9,6% (11,7% nel 2003)
- ALTRE MALATTIE DEL CUORE 8,3% (8,7% nel 2003)
- TUMORI POLMONE, TRACHEA E BRONCHI 5,6% (5,5% nel 2003)
- MALATTIE IPERTENSIVE 5,1% (3,8% nel 2003)
- DEMENZA E MORBO DI ALZHEIMER 4,4% (2,5% nel 2003)
- MALATTIE RESPIRATORIE CRONICHE 3,4% (4% nel 2003)
- DIABETE MELLITO 3,4% (3,4% nel 2003)
- TUMORI DEL COLON 3,1% (2,9% nel 2003)
- TUMORE DELLA MAMMELLA 2,1% (2% nel 2003)
Sotto: una moderna sala operatoria di un reparto di cardiochirurgia.