Il dominatore della Terra, l’uomo, non ha bisogno di aiuto. Eppure, molte migliaia di anni fa, un’amicizia cambiò totalmente la sua vita e quella di molte altre specie.
Questa “relazione” partì da un animale quasi altrettanto dominante: il lupo. Millenni di convivenza l’hanno trasformato nel cane, il nostro alleato più leale, l’amico più fedele.
Più che addomesticamento è stata una trasformazione (anche genetica) durata migliaia di anni, per entrare in simbiosi con l’uomo.
Ma quando e soprattutto come e perché si è stretta quest’alleanza tra uomo e lupo? Scopriamolo insieme.
1. Uomini e lupi
Il dominatore della Terra, l’uomo, non ha bisogno di aiuto. È capace di vagabondare per il Pianeta, ne modifica gli ecosistemi, coltivando e allevando animali e piante, costruendo e pavimentando il suolo.
Eppure, molte migliaia di anni fa, un’amicizia cambiò totalmente la sua vita e quella di molte altre specie.
Questa “relazione” partì da un animale quasi altrettanto dominante, che viveva (allora) in tutti i Paesi del Nord del mondo, dalla Scandinavia alla Siberia al Nord America, fino all’Italia del Sud e alla Cina; uno dei predatori più efficienti e diffusi del Pianeta: il lupo.
Millenni di convivenza l’hanno trasformato nel cane, il nostro alleato più leale, l’amico più fedele. Ma quando e soprattutto come si è stretta quest’alleanza rimane per certi versi un enigma: la dinamica dell’interazione tra due specie così diverse e così potenti è stata estremamente complessa e, per certi versi, ancora misteriosa.
Prima di tutto la data: quando questo processo è iniziato risulta ancora incerto. Sappiamo solo che la trasformazione da lupo a cane durò migliaia di anni: un lungo processo iniziato circa 28.500 anni fa, secondo alcuni recenti fossili trovati nella Repubblica Ceca.
Ma che altre ricerche fanno risalire a un periodo molto più recente, cioè 15.000 anni fa. Insomma, come spiega Richard Francis, autore di Addomesticati: La strana evoluzione degli animali che vivono accanto all’uomo : «C’è poco consenso su quando sia iniziato l’addomesticamento del lupo».
L’incertezza riguarda anche il luogo dove è nata questa amicizia: Europa, Estremo Oriente e Mezzaluna Fertile sono i principali candidati. «La mia opinione è che l’unico evento di domesticazione accaduto prima dell’avvento dell’agricoltura, quello appunto del lupo, si sia verificato in più punti», conclude Francis.
Come si è arrivati ad avere un pastore maremmano che scaccia i suoi cugini lupi è forse ancora più complicato, e le primissime spiegazioni fornite dagli etologi oggi non convincono più.
«L’idea, popolare in passato, secondo cui gli umani hanno adottato i piccoli lupi magari rubandoli dalla tana, e iniziando così il processo di addomesticamento, non è più considerata valida», spiega Francis.
«Fu un mutuo processo di convivenza», continua Greger Larson, direttore della rete di Paleogenomica dell’Università di Oxford. Come tutti i predatori, anche i lupi cercano di approfittare di ogni fonte di cibo, e i cumuli di rifiuti che i nostri antenati producevano in ogni loro insediamento (villaggio o accampamento temporaneo) erano come calamite: i lupi si avvicinarono per esempio alle carcasse lasciate dai cacciatori, e cominciarono a frequentare i villaggi.
Nella foto sotto, un cacciatore con il suo cane insegue un’antilope in una pittura rupestre libica risalente a 7-5mila anni fa.
2. Aiuto reciproco
Gli animali si adattarono alla presenza degli uomini, ma successe anche il contrario: i lupi all’inizio furono tollerati, come accade ai giorni nostri con le cornacchie.
Soltanto in un secondo tempo divennero indispensabili come compagnia e aiuto nella caccia.
«Fu più un processo di mutua sopportazione e poi di amicizia: tecnicamente, fra due specie, si chiama coevoluzione», spiega Larson. In altre parole, lupi e uomini beneficiarono della presenza l’uno dell’altro.
Gli animali che cercavano di approfittare della carne rimasta non erano però i più coraggiosi, anzi: «Mi piace pensare che questi animali fossero quelli non abbastanza aggressivi da essere in alto nella gerarchia dei loro gruppi, ma allo stesso tempo abbastanza “audaci” e “avventurosi” da esplorare un’altra fonte di cibo e aggirarsi intorno agli umani senza entrare in conflitto con la nostra specie», spiega Anindita Bhadra, ricercatrice del Dog lab, all’interno dell’Istituto indiano di formazione scientifica e ricerca di Kolkata.
Nel giro di migliaia di anni questi animali divennero parte integrante della vita del villaggio. E nel frattempo la loro vita cambiò: non era più quella di fieri predatori a caccia di grossi erbivori. La disponibilità di cibo tra gli uomini e la mancanza di competizione con altri branchi di lupi trasformò lentamente e profondamente questi “protocani”.
«Soprattutto, interrompendo i rapporti genetici con i branchi selvaggi, li differenziò anche dal punto di vista del Dna dai loro progenitori lupi», conclude Larson. Una trasformazione così radicale che «questi lupi/cani non potevano più tornare a essere indipendenti dall’uomo», spiega Francis.
Un primo cambiamento nascosto riguardò il metabolismo. Durante le modifiche della dieta avvenute in seguito all’agricoltura, infatti, la proporzione di carboidrati sotto forma di amidi (derivati dai cereali allevati) rispetto a frutta e carne aumentò radicalmente, nella nostra specie e nei nostri compagni.
Nell’apparato digerente del cane si verificò così una mutazione, simile a quella avvenuta nell’uomo, che consentì di sfruttare gli amidi molto più efficientemente di quello che fanno i lupi.
Nella foto sotto a sinistra, un cucciolo di 18mila anni fa, ritrovato nel permafrost in Siberia perfettamente conservato. Al momento non è ancora chiaro se sia un cane o un lupo. A destra, la mascella di un protocane di 28.500 anni fa ritrovata nella Repubblica Ceca. Dimostra come i cani evolsero dai lupi anche grazie a una dieta diversa.
3. Di tutti e di nessuno
Anche il comportamento si trasformò. Bhadra studia per esempio la vita e le azioni dei cosiddetti free-ranging dog, i cani ibridi che abitano un po’ in tutti i Paesi in via di sviluppo e da molti considerati modelli del comportamento dei primi cani: sono di tutti e di nessuno, ben diversi, come taglia e proporzioni corporee, dai lupi.
Secondo Bhadra, sono spazzini per natura, dipendenti dai rifiuti umani e dalla generosità per il loro sostentamento. A differenza dei loro antenati, che vivevano in gruppo, questi cani sono sociali solo facoltativamente, e preferiscono cercare il cibo da soli.
Infine sono molto territoriali, e spesso difendono le loro zone abbaiando, non ululando come fanno i lupi. Hanno altre caratteristiche molto particolari: per esempio sono estremamente più variabili, nelle dimensioni e nei colori.
Hanno orecchie flosce, coda sempre orizzontale, macchie bianche o marroni. Tutte caratteristiche che per molti esperti sono lo specchio di quelle dei primi lupi addomesticati.
Con l’incremento della docilità sono comparse anche numerose alterazioni anatomiche, per esempio la taglia del corpo, la forma del cranio, il colore e il tipo del pelo, l’aspetto delle orecchie e della coda, i livelli di ormoni e anche di comportamento come il modo di abbaiare, di scodinzolare e l’empatia per l’uomo: sono tutti tratti fisici e di comportamento che distinguono i cani dal lupo.
Tutte queste alterazioni, che sono in qualche modo collegate tra loro e sono comuni a tutte le specie domestiche, sono chiamate da molti evoluzionisti “sindrome da domesticazione”.
Perché questo eterogeneo complesso di caratteri si presenta tutto insieme? Da quali fattori è causato? Gli scienziati, purtroppo, non hanno una risposta sola. E anzi non tutti ritengono che la sindrome da domesticazione fornisca una spiegazione completa.
«Le prove a suo favore non sono scientificamente molto robuste», dice Larson. «Non abbiamo fossili o dati molto chiari, e ci potrebbero essere altri meccanismi che spiegano perché un cane (o una mucca) hanno quel particolare mantello, o quel determinato comportamento».
Una possibile spiegazione, interessante, ma controversa, riguarda la formazione del cervello. «Durante lo sviluppo embrionale c’è un’alterazione nella migrazione delle cellule della cresta neurale», spiega Francis. Sono un gruppo di cellule particolari che hanno solo i vertebrati (dagli uccelli ai mammiferi ai rettili).
Si sviluppa nei primissimi stadi dell’embrione e durante la crescita migra in tutto il corpo, dando origine a molte cellule diverse, tra cui melanociti (le cellule che “colorano” la pelle), la cartilagine, le ossa del cranio, i muscoli lisci, i neuroni periferici e altre ancora.
Negli animali addomesticati, l’attività della cresta neurale è più bassa e i risultati sono proprio quelli osservati in cani, cavalli e altri: livrea a colori più vari, cranio più piccolo, minore aggressività, gerarchia sociale più labile.
Anche su questo però Larson è dubbioso: «Il problema in questo caso è che la cresta neurale modifica una gran quantità di caratteristiche del corpo. Mi piacerebbe avere prove più precise della sua influenza». Un altro profondo mistero.
Nella foto sotto, cani di strada a Kolkata, in India, dividono il loro spazio con l’uomo. Sono considerati modelli del comportamento dei primi cani.
4. Migliore amico e la successiva selezione
Non di meno, nei cani questa sindrome ha una caratteristica in più, un segreto tra noi e loro, un aspetto fondamentale del nostro rapporto: l’attenzione e la comprensione dell’uomo e delle sue azioni.
Dopo millenni di convivenza, un animale estraneo alla nostra specie è in grado di capire i segnali che noi stessi ci scambiamo, di capire il nostro linguaggio dei segni e le espressioni del volto.
Una vera e propria novità evolutiva che ha probabilmente un’origine antichissima: «Abbiamo scoperto per esempio che questi cani (selvaggi)», dice Bhadra, «sono in grado di seguire i segnali di “puntamento” degli uomini, per individuare ricompense di cibo nascoste».
Se un uomo indica la zona dove ha nascosto del cibo, cioè, i cani capiscono l’invito; a differenza dei lupi, che ignorano quasi del tutto le azioni umane. Stare vicino all’uomo per migliaia di anni ha quindi modificato uno dei più fieri predatori terrestri in una specie plasmabile ed estremamente adattabile a tutte le condizioni della nostra vita.
Anche se la sua nascita e i suoi rapporti con la specie umana sono ancora un enigma, quello che sappiamo è che la collaborazione tra un efficiente predatore e una specie culturalmente dominante ha condotto a un capolavoro: il cane.
La più antica razza di cane è... il cane stesso, che altro non è se non un lupo “modificato” e addomesticato migliaia di anni fa da noi esseri umani.
Fin da subito, e anche senza le basi genetiche per comprendere il meccanismo, i primi allevatori di cani si resero conto che diversi esemplari esibivano caratteristiche fisiche e comportamentali altrettanto varie, e ne approfittarono per affidare loro compiti sempre più diversi: già 9.000 anni fa, per esempio, in Siberia, c’erano cani che venivano usati per trainare le slitte e altri utilizzati come animali da caccia, e alcuni dipinti risalenti all’antico Egitto mostrano esempi di cani da guardia (grossi e aggressivi, simili a mastini) e da compagnia (piccoli, con le zampe corte e dall’aspetto innocuo).
Quella effettuata dai nostri antenati, però, non era ancora una selezione calcolata e pianificata, piuttosto un modo per sfruttare le differenze fisiche e comportamentali di esemplari diversi e, in sostanza, capire cosa far fare loro.
La vera “data di nascita” delle razze come le intendiamo oggi è molto più recente, e coincide con l’urbanizzazione e l’industrializzazione dell’età vittoriana: gli allevatori inglesi, i veri inventori delle razze canine, cominciarono a perfezionare le tecniche di selezione e di accoppiamento, concentrandosi più sulla forma dell’animale che sulla sua funzione, nel tentativo di selezionare, generazione dopo generazione, razze sempre più diverse.
È così che, nel giro di meno di due secoli – l’English Kennel Club, la prima istituzione al mondo a creare un registro delle razze, fu fondato nel 1873 –, abbiamo assistito a una vera e propria esplosione di forme e dimensioni, e anche alla nascita di razze create non solo per quello che fanno, ma anche (in molti casi soprattutto) per l’aspetto che hanno. Oggi la Fci (Fédération Cynologique Internationale), la più importante istituzione nel campo, divide le razze in dieci gruppi, in base a criteri funzionali e morfologici.
5. Cinque domande curiose sui cani
1. È vero che un anno di vita di un cane vale come sette anni dei nostri?
No. Il numero che viene convenzionalmente utilizzato è un’approssimazione, ed è basato su un calcolo molto semplice: la vita media di un essere umano (circa 80 anni) divisa per la vita media di un cane (circa 12 anni).
Uno studio del 2019 ha provato a “sistemare” questi numeri, partendo da un dato importante e finora sottovalutato: rispetto agli umani, i cani invecchiano molto più rapidamente e poi si fermano.
In altre parole, nel corso dei suoi primi due o tre anni di vita un cane invecchia fino a diventare l’equivalente a quattro zampe di un quarantenne, e nei successivi dieci cresce molto più lentamente.
Questo significa, per esempio, che un cane di un anno è l’equivalente di un essere umano di 30, a due anni ne ha già 42 e a quattro ne dimostra 53.
È importante notare che stiamo parlando di età fisiologica, calcolata studiando la cosiddetta metilazione, cioè i cambiamenti che si verificano in alcuni geni dello sviluppo con il passare degli anni e che sono utili per avere una traccia del processo di invecchiamento di un animale (umani compresi).
2. Sanno mentire?
Sì, soprattutto se è a loro beneficio. Un esperimento del 2018 ha messo una serie di cani a confronto con due tipologie di partner umani: la prima era una persona che condivideva il cibo con lui, la seconda una persona che teneva il cibo per sé.
Ai cani è poi stato chiesto di accompagnare i due partner “a prendere il cibo”, contenuto in tre scatole piene rispettivamente di salsicce (il cibo preferito), croccantini e... nulla.
Dopo aver portato l’umano non cooperativo verso la salsiccia e aver scoperto che questo se la teneva per sé, i cani hanno cominciato a condurlo verso i croccantini o addirittura verso la scatola vuota; nel caso degli umani cooperativi, invece, gli animali non hanno avuto problemi a condurli verso le salsicce, visto che sapevano che avrebbero avuto la loro parte.
3. Sanno contare?
Sì: sappiamo già da anni che sanno contare fino a quattro o cinque, e sono addirittura in grado di individuare errori in operazioni matematiche molto semplici (per esempio 1+1=1): una ricerca del 2009 ha dimostrato che l’intelligenza dei cani è pari a quella di un bambino di due anni, e oltre a contare sono in grado di riconoscere fino a 150 parole diverse.
Uno studio più recente, del 2019, ha poi dimostrato che quando si tratta di contare i cani usano le stesse aree del cervello che usiamo noi umani, cioè la corteccia parietale, e che non hanno bisogno di essere addestrati per imparare a farlo.
4. Possono “annusare” il cancro?
Può sembrare assurdo ma ci sono diversi studi che stanno mettendo alla prova questa ipotesi.
L’idea è che le cellule colpite da alcuni tumori (per esempio ai polmoni o al seno) contengano sostanze chimiche con un aroma riconoscibile: addestrando i cani a riconoscerle è possibile far annusare loro feci, urine o sudore di un paziente per vedere se identificano questi marker tumorali.
E in questi giorni si è pure ipotizzato di usare i cani per “fiutare” la Covid-19.
Per quanto affascinante, la teoria dev’essere ancora dimostrata al di là di qualche conferma aneddotica, e il mondo della ricerca è ancora a caccia di prove tangibili di questo “super potere” che richiederebbe, peraltro, un addestramento intensivo fin da cuccioli per poter essere messo in pratica su larga scala.
5. Ma è vero che sorridono?
Sì, ma non come noi umani. Il loro sorriso è noto ai proprietari: bocca spalancata, lingua fuori, denti scoperti; una configurazione non dissimile da un’espressione minacciosa ma che, nel caso del sorriso, è accompagnata da un linguaggio del corpo rilassato: scodinzolio, orecchie dritte.
È un comportamento acquisito e conseguenza del fatto che noi umani troviamo i cani molto carini quando sorridono: ci fanno felici e aumentano la nostra produzione di ossitocina, un ormone rilasciato in situazioni sociali piacevoli.
Hanno quindi imparato che sorridere ci fa reagire bene, e per questo lo fanno quando si sentono al sicuro.