La più antica pittura preistorica del continente americano celebra una sorprendente somiglianza: quella fra gli uomini e i lupi nella caccia organizzata.
Mostra una banda di cacciatori umani e, in parallelo, un branco di lupi che corrono verso la preda.
In un’altra grotta, quella francese di Chauvet, il parallelismo si trasforma in convergenza e convivenza: orme risalenti a 32 mila anni fa testimoniano l’ingresso nella grotta di un giovane Homo sapiens di circa 10 anni con un lupo, probabilmente già domestico.
La scoperta archeologica conferma ciò che la genetica ha chiarito di recente: da una popolazione di lupo ancestrale si distaccò, per isolamento genetico, un gruppo che aveva imparato a vivere a stretto contatto con l’uomo, divenendo successivamente il cane domestico.
La popolazione ancestrale rimasta selvatica, continuò a essere in competizione con l’uomo, dando poi origine, circa 15 mila anni fa, al lupo grigio (Canis lupus).
Questo è il lupo attuale, il superpredatore che l’uomo, in un rapporto ambivalente di ammirazione e odio, ha duramente perseguitato.
Dagli anni Settanta del secolo scorso, accanto ai progetti per salvare il lupo grigio dell’estinzione si sono moltiplicati gli studi sul suo comportamento nel branco.
Oggi vedremo alcune cose su questo straordinario animale selvatico, dal carattere nobile e indipendente, affettuoso con i propri cuccioli, legato al clan, dotato di elevatissime capacitá di comportamento e di notevole spirito sociale.
1. Una famiglia allargata
La vita in gruppo con legami strettissimi fra gli individui è il fattore chiave che ha fatto del lupo un competitore di grande efficienza.
Una volta si pensava che, come negli scimpanzé o nei babbuini e anche nell’uomo, un gruppo sociale fosse per forza composto da varie coppie con figli. Ma non è così.
«I branchi di lupi possono variare da 3-4 a 25-30 individui» spiega Tsa Palmer, direttrice del britannico Wolf Conservation Trust e da 40 anni sul campo a osservare il comportamento del lupo grigio.
«In tutti i branchi è presente una sola coppia riproduttiva, con aggregati i figli dell’ultima cucciolata e delle precedenti. In base alla disponibilità di prede e al territorio, il branco si può allargare o ridurre, determinando l’uscita dei figli anche prima dei 2 anni, età in cui raggiungono la maturità sessuale e sono spinti in genere a formare un altro branco».
In pratica, il branco è una famiglia, più o meno allargata, dove i genitori occupano la posizione alfa, ciascuno nel loro genere (femminile e maschile). Non è una democrazia, madre e padre comandano: dirigono la caccia e mangiano per primi; mettono in moto il branco o iniziano il coro degli ululati.
Davanti alla carcassa di un capriolo o di un alce, si mangia a turno: quando chi occupa il gradino gerarchico superiore ha finito, tocca a quello del rango successivo. Ognuno sta al suo posto.
Il motto dei lupi potrebbe essere “ordine e disciplina”. A chi occupa l’ultimo gradino della scala gerarchica, spesso non restano che le ossa, dopo una lunga attesa.
«A differenza dei leoni» continua Palmer «in cui il maschio più forte si accoppia con diverse femmine, nella tipica strategia riproduttiva dell’harem, i lupi invece sono monogami e stanno insieme per anni.
La coppia è formata dai più adatti del gruppo per ciascun genere e può contare sulla collaborazione dei giovani figli di più generazioni. Questi vengono tutti dalla stessa coppia di genitori e quindi con essi condividono un numero uguale di geni. Ciò porta a contatti sociali intensi anche quando i lupi non sono in movimento per il cibo».
Se tutti i giovani lupi hanno in comune la somma del patrimonio genetico dei genitori, il 50% di uno e il 50% dell’altro, non è così per i giovani leoni, che con alcune femmine riproduttive del gruppo non hanno nulla in comune.
2. Il vantaggio di dividere il cibo e l'empatia nel gruppo
Quindici giorni prima di partorire, in maggio, dopo circa due mesi di gestazione, la femmina alfa si sistema in una tana costituita da un anfratto nella roccia o una depressione alla base di un vecchio albero.
Lì il maschio alfa le porta il cibo, oppure esegue il compito uno dei figli adolescenti.
I piccoli, dopo circa 3 settimane, stazionano fuori dalla tana e poi seguono la madre fino a un’area rendez-vous, o anche una kinder zone situata al centro del territorio, per essere guardati a vista dai genitori e dai fratelli e sorelle maggiori.
I cuccioli, già dalla quinta settimana, attraverso il gioco imparano a misurare le rispettive forze e già così giovani stabiliscono le future gerarchie, risparmiando scontri pericolosi tra lupi adolescenti.
Quando il gruppo parte per la caccia, uno o più adulti (madre, padre o un adolescente) restano a vigilare nella kinder zone.
Quando il gruppo torna dalla caccia, il cibo premasticato viene rigurgitato da alcuni individui (di solito madre o padre, a volte anche un fratello o una sorella maggiori) dopo la stimolazione da parte dei cuccioli esercitata mordicchiando loro, dal basso, i lati delle labbra, in un atteggiamento di sottomissione attiva.
Da questo comportamento infantile è derivata nei grandi la sottomissione attiva per salutare un superiore, ottenere benevolenza e magari invitarlo al gioco.
La sottomissione passiva si ha invece quando un subordinato sotto attacco si sdraia sul dorso o di lato, mostrando il ventre, comportamento che in genere inibisce l’aggressività.
L’empatia è la capacità di provare le sensazioni e le emozioni degli altri, essenziale nelle relazioni sociali. I lupi grigi la conoscono?
Per documentare sperimentalmente l’empatia negli animali, si ricorre a un segnale comunissimo nell’uomo: lo sbadiglio contagioso.
Questo è stato documentato anche fra gli scimpanzé (Pan troglodytes), nei bonobo (Pan paniscus) e nei babbuini gelada (Theropithecus gelada), mettendolo in relazione, appunto, con l’empatia.
All’Università portoghese di Porto si era visto che i cani possono imitare lo sbadiglio osservando i padroni. Ma il cane, si sa, ha una lunga storia di domesticazione.
Recentemente,però,uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica on line ”Plos One”, condotto da Teresa Romero e colleghi dell’Università di Tokyo, ha dimostrato che lo sbadiglio contagioso esiste anche fra i lupi grigi.
I ricercatori hanno ripreso in video per cinque mesi il comportamento di un gruppo di 12 lupi ospitati nel parco zoologico di Tama, vicino a Tokyo, registrando gli sbadigli in base alla posizione gerarchica del primo che sbadigliava e quella degli altri che ne venivano contagiati.
Più si era in alto in gerarchia, più si dava luogo a imitazioni. E più erano stretti i legami fra determinati individui, più era influenzata positivamente la frequenza con cui questi imitavano lo sbadiglio. Le femmine si sono dimostrate più inclini al contagio.
3. Investire sui geni e i lupi solitari
Un branco di lupi ha quindi un motivo in più per stare unito e in ordine socialmente: l’interesse biologico di tramandare i geni della famiglia, essendo bene rappresentati quelli di tutti gli individui.
A riprova di questo interesse i soggetti subordinati possono spesso assumere il ruolo di tester (o cavie, ndr.). La loro missione consiste nell’andare avanti in caso di pericolo, in modo da preservare l’incolumità della femmina in gravidanza o il maschio alfa.
Questo significa non fare correre rischi agli individui più dotati e di esperienza. I tester preservano la sopravvivenza del branco e anche dei geni migliori.
Al lato pratico, questo comportamento permette a questi subordinati di acquisire esperienza da sfruttare quando dovranno lasciare il branco per formarne, se possibile, uno nuovo.
Il che può accadere anche a 500 km di distanza, con la ricerca di un non consanguineo dell’altro sesso con cui accoppiarsi, evitando così l’inbreeding, cioè garantendo lo scambio genetico e la giusta variabilità per difendersi dalle malattie.
Anche i branchi più grandi presentano l’unità familiare integrale e le madri spesso non si uniscono al gruppo per la caccia, dati i rischi per i nascituri o i cuccioli ancora da svezzare.
Mantengono però sempre il diritto a consumare una buona quantità di carne, che viene loro portata dal compagno o da un figlio adolescente.
Si calcola che dal 5 al 20% dei lupi vivono in solitudine fuori dal branco, dal quale escono per sovrappopolamento o per cercare un partner non consanguineo.
La strategia di sopravvivenza consiste nel fare quotidianamente molti chilometri al trotto, annusando l’aria e il terreno in cerca di possibili prede.
A cominciare da piccoli mammiferi di soli 20 grammi, come l’arvicola (Myodes glareolus), ma anche lucertole, serpenti e rospi. Inoltre, lepri (Lepus europaeus), mustelidi, tassi (Meles meles); con più fortuna cinghiali (Sus scrofa), caprioli (Capreolus capreolus) e cervi.
Ma cacciare da soli grossi mammiferi non garantisce molte probabilità di successo. Un esempio? Il tentativo fallito di predare un giovane cervo, filmato da una guida naturalistica, Pietro Santucci, lo scorso 29 maggio alle 7 di mattina nel Parco nazionale d’Abruzzo (la straordinaria sequenza, su http://video. repubblica.it/natura/cerva-contro-il-lupo).
Nel filmato di Santucci si vede un lupo che cerca di raggiungere un cerbiatto ma la madre, accorsa in aiuto del piccolo, carica più volte il predatore, mettendolo in fuga. Se l’attacco fosse stato portato da un branco, difficilmente avrebbe vinto mamma cerva.
Una volta abbattuta la preda, la coppia di lupi alfa mangia per prima, assicurandosi le parti più ricercate: grasso, cervello, cuore, fegato...
Quando tocca agli altri, devono sbrigarsi, poiché in certe aree abbondano gli animali spazzini che fanno concorrenza: non solo corvi, ma anche orsi bruni (Ursus arctos), particolarmente combattivi.
Nelle aree in cui il lupo si sovrappone alla iena striata (Hyaena hyaena), come in Medio Oriente, quest’ultima appare dominante nella lotta alle carcasse.
4. Caccia cooperativa e il lupo italiano
I lupi cooperano durante la caccia con attacchi a tenaglia o in file parallele.
Sanno sfruttare strettoie, pareti rocciose e anche reti di recinzione per mettere le prede con le “spalle al muro”.
Si sono visti branchi spingere più volte le prede verso una strettoia che portava poi a un salto di 4-5 metri di dislivello, dove l’animale cadeva e poteva essere raggiunto e ucciso.
La caccia organizzata è una caratteristica che non viene mantenuta dai cani rinselvatichiti, che cacciano in gruppo ma alla rinfusa, a riprova dell’importanza di questa specializzazione nei lupi grigi.
In genere si avvicinano alla preda controvento, cercando di non farsi notare. Quando questa si accorge di loro e scappa, i lupi hanno lo stimolo per iniziare la corsa.
Se si tratta di una preda di grandi dimensioni, come un alce (Alces alces), la inseguono a lungo per farla stancare. Cercano di tagliarle la strada per sbilanciarla in modo da farla cadere e ferire. In altro modo, l’attaccano con morsi da dietro e di lato, per farla rallentare e poi avventarsi sul muso o alla gola.
I caribù (Ranfiger tarandirus) sono attaccati subito al collo e al muso. Il cervo (Cervus elaphus) è azzannato sul groppone da diversi individui, che a turno gli saltano sopra.
I bisonti (Bison bison) sono isolati con manovre tattiche e poi morsi ai femori, fino a quando non cadono per le ferite e la stanchezza. Il bue muschiato (Ovibos moschatus) viene cacciato con successo solo se isolato; in altro modo, si raggruppa a testuggine, a corna dispiegate, divenendo pericoloso.
In generale, fra gli ungulati, per essere sicuri del successo, i lupi prendono di mira solo i giovani inesperti, gli adulti deboli, i malati e gli anziani.
Il lupo grigio è la specie selvatica del genere Canis con l’areale storicamente più ampio, dato che copriva gran parte dell’America, dell’Eurasia, dell’Africa Settentrionale e Orientale.
Esistono poi altre due specie di lupo: il lupo canadese (Canis lycaon), più piccolo del lupo grigio, mantello pallido con parti nere, e il lupo rosso (Canis rufus), marrone chiaro o color cannella, anche lui di taglia ridotta.
Estinto in natura nel 1980, una popolazione è stata reintrodotta nella Carolina Nord-orientale (Usa). Si contano 100 esemplari gravemente minacciati.
Recenti studi sul Dna mitocondriale indicano che anche il lupo indiano (Canis indica) sarebbe un’altra specie, che conta circa 2.000 esemplari.
Fra le sottospecie di lupo grigio, una decina secondo le ultime valutazioni tassonomiche, c’è il lupo appenninico (Canis lupus italicus). Negli anni ‘70 del secolo scorso era ridotto a circa 100 esemplari.
Poi, con progetti di conservazione promossi soprattutto dal Parco nazionale d’Abruzzo, il numero crebbe: 400 negli anni Novanta; mille nel 2005.
Attualmente la popolazione è stimata fra i 1.500 e i 2.000 esemplari, distribuiti lungo la dorsale appenninica e l’arco alpino.
Un risultato importante, dovuto anche alla saldatura con la popolazione di lupi provenienti della Slovenia.
Secondo la regola di Bergmann (del biologo tedesco Christian Bergmann), nell’esposizione al freddo, corpi voluminosi aiutano a conservare il calore. Nei climi più temperati non occorre aumentare in dimensioni.
Il lupo appenninico è circa la metà di quello che vive nell’Artico, pesa in media 30 kg e i branchi contano di solito 2-8 individui.
Predano caprioli, daini e cervi e si sono dimostrati utili anche nel contenimento dei cinghiali liberati in gran numero dalle associazioni venatorie.
5. Comportamenti da ...lupo
I lupi sono animali strettamente territoriali, che marcano il loro territorio e ne definiscono i confini con urina, feci e feromoni.
La marcatura vocale è invece una cerimonia di gruppo, che avviene quando due lupi iniziano a ululare insieme.
Accorrono gli altri in modo festoso, mostrano la voglia di stare insieme mordicchiandosi reciprocamente gli angoli della bocca. Risultato: un coro di ululati al quale rispondono altri individui del branco temporaneamente fuori area, magari a diversi chilometri di distanza.
Gli ululati hanno il principale scopo di segnalare la presenza dei “legittimi proprietari” di un territorio, in modo che altri ne stiano alla larga. E allo stesso tempo enfatizzano l’unità e la socialità del branco.
L’ululato altre volte è legato all’eccitazione che precede o segue la caccia. Esiste una variazione stagionale nella tendenza del lupo a ululare: l’estate e la prima metà dell’inverno sono i periodi di massima predisposizione.
Abbaio, ringhio, uggiolio sono altri tipi di comunicazioni vocali con diversi significati: i primi due sono utilizzati per indicare minaccia e nervosismo. L’uggiolio è utilizzato in situazioni amichevoli, per esempio dai cuccioli per richiedere l’attenzione degli adulti.
La comunicazione con le posture del corpo e la mimica del muso, invece, è molto simile a quella del cane.
Tanto socievoli in famiglia, i lupi dimostrano di non sopportare gli estranei. Scaramucce e lotte con uccisioni possono verificarsi fra gruppi confinanti.
Nel parco di Yellowstone il biologo Rick Mcintyre, soprannominato dai media Usa “l’Uomo lupo”, è stato testimone di una faida fra due branchi durata 18 anni.
Il branco dei Druidi, lupi da reinserire nell’ambiente naturale, fu introdotto nel parco nel 1995, con la speranza che il branco già residente dei Mollie’s mantenesse la posizione, spingendo i nuovi arrivati a occupare altri territori del parco.
Con grande sorpresa dei ricercatori, ciò non avvenne perché i Druidi uccisero il maschio alfa dei Mollie’s. Poi continuarono a pedinare e a perseguitare i lupi residenti, finché li costrinsero a migrare a 30 km di distanza, nella Pelican Valley, un’area marginale in cui le uniche prede erano in pratica bisonti di 500 kg, non facili da abbattere.
Da allora vi furono frequenti scontri fra i due branchi ai confini dei loro territori, con morti da entrambe le parti. Ma nel 2013 il maschio alfa dei Druidi, il soggetto “755”, perse la sua compagna per mano dei cacciatori di frodo.
Dato che le altre femmine del branco erano figlie sue, per trovare un’altra compagna lasciò il branco e iniziò a seguire, per corteggiarla, una femmina “nemica” dei Mollie’s, denominata “759”, avendo successo.
La coppia che si è formata, versione lupina di Giulietta e Romeo, si è poi riprodotta, iniziando il processo di creazione di un terzo branco in quest’area di contesa fra comunità rivali.
La maggior parte degli scontri tra lupi, per esempio per confermare chi è il capo del branco o per cambiare l’ordine di accesso al cibo, sono ritualizzati, per evitare inutili spargimenti di sangue, che non gioverebbero al branco.
Prima di arrivare davvero a mordersi, i due contendenti seguono un protocollo ben definito, fatto di mimiche facciali e atteggiamenti (posture del corpo, della coda e delle orecchie, orripilazione, vocalizzi) che nella maggior parte dei casi sono sufficienti a definire i ruoli: alla fine, uno dei due combattenti si arrende, mostrando sottomissione.
A volte buttandosi proprio pancia all’aria, altre volte fuggendo. Anche la fuga può essere ritualizzata: il perdente volta il capo di lato (come se fosse l’inizio di una fuga). Il lupo vincitore, a questo punto, interrompe ogni forma di aggressione: meglio avere un lupo sottomesso in più nel branco anziché un nemico morto.