Non ha titolo né data, non si sa chi l’abbia scritto, né di cosa parli.
Proprio per questo, ha da sempre affascinato stuoli di crittografi, linguisti, scienziati e chiunque altro vi sia entrato in contatto, destando persino l’attenzione dei servizi segreti statunitensi.
Tutti hanno tentato di decifrarlo, ma invano. Tanto che ancora oggi è considerato il libro più misterioso di sempre.
Parliamo del “manoscritto Voynich”, piccolo e indecifrabile tomo ricco d’inquietanti illustrazioni e corredato di un testo redatto in un alfabeto sconosciuto. Scopriamo insieme la sua storia.
1. Da Frascati a Yale
Per scoprire la storia di quest’enigmatico reperto dobbiamo tornare indietro al 1912, quando l’antiquario e mercante d’arte polacco Wilfred Voynich (nella foto accanto) acquistò alcuni volumi antichi appartenenti alla biblioteca dei Gesuiti di Villa Mondragone (Frascati).
Tra questi, ce ne fu uno che attirò subito la sua attenzione: un manoscritto di 22 centimetri di altezza e 16 di larghezza costituito da 102 fogli in pergamena, per un totale di 204 pagine.
Sfogliandolo, Voynich notò strane figure colorate raffiguranti piante, simboli astrologici e donne nude intente a compiere abluzioni.
Non bastasse, i fogli erano vergati in eleganti caratteri tondeggianti diversi da qualsiasi lingua conosciuta. Da dove proveniva quella bizzarrìa? E soprattutto, qual era il significato del suo testo?
Un primo importante indizio sbucò da una lettera contenuta nel volume, inviata nel 1665, assieme al libro stesso, dal rettore dell’Università di Praga Johannes Marcus Marci al gesuita Athanasius Kircher, con la speranza che questi potesse decifrarlo.
Marci affermava che il libro era stato in passato acquistato dall’imperatore Rodolfo II d’Asburgo – vissuto fra il XVI e XVII secolo e grande appassionato di occultismo – per la considerevole cifra di 600 ducati.
A convalidare tale teoria fu un’altra traccia scovata dall’antiquario, che rinvenne sulla prima pagina la firma, ormai quasi invisibile, di un certo “Jacobi a Tepenece”, alias Jacobus Horcicki, botanico e alchimista alle dipendenze di Rodolfo II, dal quale avrebbe ricevuto direttamente il volume.
Già nel XVII secolo, in ogni caso, se ne persero le tracce, finché nel Novecento non riapparve appunto grazie a Wilfred Voynich.
Dopo la sua morte (1930), il manoscritto venne acquistato dall’antiquario newyorkese Hans Peter Kraus, che nel 1969 lo donò alla Beinecke Library dell’Università di Yale, dove è tuttora conservato con il nome d’archivio MS408.
2. Occultismo
Uno dei tanti dubbi che circondano il manoscritto riguarda il suo autore.
Nella missiva trovata da Voynich, ne veniva menzionato uno particolarmente illustre: Roger Bacon, sapiente frate agostiniano inglese del XIII secolo.
Per molto tempo, l’ipotesi sembrò plausibile. Soprannominato “Doctor Mirabilis” per via della sua sterminata cultura scientifica e teologica, Bacon era uno dei più noti alchimisti medievali, e la natura di molte illustrazioni sembrava rifarsi proprio a tale antichissima disciplina, mix di nozioni esoteriche e chimiche.
Che il testo possa avere legami con l’alchimia non è escluso. È infatti improbabile che si tratti di un manoscritto “scientifico” in senso stretto, in quanto gli elementi naturali raffigurati, come piante e radici, non sembrano avere nessun corrispettivo nella realtà.
Accanto al nome di Bacon, alcuni hanno tirato in ballo quello di Edward Kelley, medium e falsario inglese del Cinquecento.
Aiutato dallo scienziato e alchimista John Dee, questi sarebbe riuscito a introdursi nella corte dell’imperatore Rodolfo II (nella foto in alto a sinistra), rifilandogli a peso d’oro il manoscritto, che sarebbe in realtà un finto manuale alchemico scritto proprio all’epoca.
Di certo, i disegni presenti nel volume, realizzati con pigmenti tratti da minerali ferrei come l’azzurrite e l’ematite, mantengono ancor oggi una vivacità e un fascino straordinari. Proprio basandosi sulla natura delle immagini, il libro viene generalmente diviso dagli studiosi in quattro diverse sezioni.
Nel dettaglio, la prima e la quarta sembrano avere a che fare con la botanica e la farmacologia, racchiudendo illustrazioni di piante, radici, fiale e ampolle; e la seconda comprende diagrammi simili a stelle e riferimenti astrologici.
A colpire l’immaginario degli appassionati di occultismo sono però le figure femminili nude presenti nella terza parte, immerse spesso in strane vasche contenenti liquidi scuri, che alcuni hanno identificato con la leggendaria fonte della giovinezza.
3. Quale lingua?
Se le illustrazioni del codice hanno nel tempo stimolato la fantasia di molti, l’incognita più grande rimane il testo: non presenta correzioni (di solito frequenti nei manoscritti antichi) ed è costituito da segni tuttora ignoti.
C’è chi ha ipotizzato che si tratti di un codice segreto per una lingua esistente, mentre altri ritengono sia una lingua ancora sconosciuta.
Il problema, in quest’ultima ipotesi, è che la successione di segni che si trovano nel manoscritto non corrisponde alla sequenza dei suoni di nessuna lingua “naturale”.
Negli anni, numerosi esperti di fama internazionale hanno comunque provato a risolvere il rebus, senza ottenere risultati significativi.
Tra gli esperimenti più illustri, spiccano i tentativi compiuti negli Anni ’50 da alcuni crittografi della National Security Agency statunitense, e da Alan Turing (nella foto in alto a sinistra), il famoso matematico britannico che durante la Seconda guerra mondiale decifrò Enigma.
Non solo: temendo che nascondesse in realtà messaggi di propaganda comunista, nel corso della Guerra fredda ci provò persino l’Fbi, senza cavarne un ragno dal buco.
4. Nessuna certezza
Sul manoscritto continua ad aleggiare un’aura di mistero, ma di recente l’uso delle moderne tecnologie ha potuto chiarire alcune questioni fondamentali.
Nel 2011, l’Università dell’Arizona decise per esempio di sottoporre il reperto a un esame con il metodo del radiocarbonio, al fine di scoprire a quando risalisse.
Risultato? La datazione sarebbe compresa tra il 1404 e il 1438, escludendo così sia la mano di Bacon sia quella di Kelley, vissuti rispettivamente prima e dopo tale periodo.
Nel 2018, due scienziati canadesi hanno inoltre provato ad applicare allo scritto un nuovo software in grado di decifrare alfabeti sconosciuti, utilizzando vocaboli tratti da centinaia di lingue diverse.
Ebbene, l’80% dei vocaboli sarebbe compatibile con una lingua simile all’ebraico medievale, “nascosto” sotto forma di anagrammi.
Quanto al significato, tra le teorie considerate più plausibili c’è quella dello studioso Stephen Skinner, che dalle particolari merlature presenti nel minuscolo disegno di un castello ha desunto come il libro sarebbe un erbario proveniente dal Nord Italia, forse creato da un autore ebreo.
Nelle donne immerse nelle vasche, lo studioso riconosce invece un rituale di purificazione ebraico, il mikveh, a cui queste venivano sottoposte dopo mestruazioni e parto.
5. Ipotesi burla
Nessuna delle ipotesi scientifiche sorte intorno al manoscritto ha raccolto finora consensi unanimi, e nel frattempo non sono mancate colossali bufale.
L’ultimo a sostenere di aver decodificato lo scritto è stato un ricercatore dell’Università di Bristol di nome Gerard Cheshire, il quale ha ipotizzato che fosse stato prodotto nel XV secolo a Ischia per la regina Maria di Castiglia.
A suo dire, sarebbe redatto in una fantomatica lingua proto-romanza, ma tale teoria è stata screditata da tutti gli ambienti scientifici.
La fantasia di Cheshire è peraltro in buona compagnia: dai Maya a Leonardo da Vinci, passando per gli alieni, in molti hanno dato libero sfogo alla propria creatività tirando in ballo i personaggi più disparati.
Ad aleggiare su tutte le congetture c’è però il grave sospetto che il testo, semplicemente, non significhi nulla, e sia in realtà una burla elaborata da qualche personaggio dimenticato dal tempo.
Se fosse vero, sarebbe lo scherzo più riuscito di tutti i tempi.