Il nostro mondo non è finito il 21 dicembre 2012.
Quello dei Maya, ai quali si attribuisce la profezia, è invece davvero scomparso per sempre.
Con un’apocalisse lenta ma inesorabile. Ma che cosa cancellò quell’avanzata civiltà precolombiana?
Fino a qualche anno fa la risposta degli archeologi era abbastanza univoca: la giungla dello Yucatán aveva inghiottito, quasi all’improvviso e senza cause apparenti, la florida cultura maya.
Oggi sappiamo che non andò così. Il declino cominciò intorno alla metà dell’VIII secolo e durò fino al X secolo inoltrato.
Scopriamo, allora, che cosa cancellò quell’avanzata civiltà precolombiana!
1. Crollo di natalità e contadini
- Crollo di natalità
A quel lungo tramonto contribuirono molteplici fattori.
Primo fra tutti un tracollo demografico favorito da migrazioni, carestie e guerre che sconvolsero un ecosistema delicatissimo.
Come dimostrano le più recenti scoperte, dal VI secolo d.C. quelle terre vissero in un perenne stato di conflitto, accentuato da un costante peggioramento climatico e ambientale. In altre parole, le città maya si massacrarono in una lotta senza quartiere per le risorse.
Jared Diamond – biologo e geografo dell’Università della California di Los Angeles, autore dei saggi Armi, acciaio e malattie e Collasso (Einaudi) – fornisce alcune cifre.
Al culmine del periodo classico (intorno al VI-VII secolo d.C.) si stima che nel Petén (Guatemala) vivessero fra i 3 e i 14 milioni di individui.
All’arrivo degli spagnoli, nel ’500, ne erano rimasti non più di 30mila e nel censimento del 1714 si contarono appena 3mila individui di lingua maya.
Richardson Gill, climatologo e studioso dei Maya, ha indicato tre periodi di siccità in quella regione, che corrispondono all’abbandono di molte città testimoniato dagli scavi archeologici.
E uno studio recente guidato da Douglas Kennett, dell’Università della Pennsylvania, ha rafforzato l’idea che il cambiamento climatico sia stato un fattore determinante.
In una tale situazione, lo sfruttamento del fragilissimo ecosistema della foresta pluviale si rivelò fatale.
L’archeologo Richard Hansen, il maggior studioso della civiltà maya, a El Mirador, città che collassò alla fine del preclassico, ha verificato in maniera sperimentale che l’esigenza di produrre nelle fornaci sempre più calce, per costruire i più alti templi mai eretti dai Maya, richiese un consumo di legname tale da impoverire il territorio.
- Contadini
Non a caso, proprio il territorio è il punto di partenza per comprendere chi furono le vittime di quell’inesorabile apocalisse.
Le terre dei Maya si estendono su 350-400mila chilometri quadrati – un’area poco più grande dell’Italia – distribuiti tra Messico, Guatemala, Belize, Honduras ed El Salvador.
Su questo territorio i Maya lasciarono il loro segno in primo luogo come contadini.
La concezione del tempo del calendario maya, unica nel mondo e all’origine della presunta profezia, ha un significato preciso per gli studiosi.
Un popolo contadino, nell’ecosistema della foresta pluviale, deve conoscere alla perfezione il susseguirsi dei fenomeni meteorologici, spesso nefasti, tra uragani e alluvioni.
Ecco perché i Maya divennero grandi osservatori del cielo. Più astrologi che astronomi, sapevano che il buon esito dei raccolti dipendeva dall’interpretazione dei segnali atmosferici.
Con un corollario di complessi rituali (incluso il diffusissimo gioco della palla), vaticini, preghiere e sacrifici testimoniati dall’arte e dall’architettura giunte fino a noi.
Destinatario di tante attenzioni sacre era il mais, alimento base dei Maya. Domesticato tra il V e il III millennio a.C. nel Nord del Messico, si diffuse in tutta l’America Centrale e rese possibile la nascita e lo sviluppo di civiltà evolute, con città- Stato potentissime.
Le pannocchie di mais non ebbero lo stesso successo nel Nord America: per questo nelle grandi praterie i nativi rimasero, salvo sporadiche eccezioni, nomadi cacciatori-raccoglitori.
2. Senza ruote e domatori di foreste
- Senza ruote
Che il territorio colonizzato dagli antenati dei Maya non fosse un posto accogliente è dimostrato dal fatto che i grandi erbivori (tra cui gli equini e i bisonti) si diffusero soltanto nelle praterie del Nord America (salvo poi estinguersi in gran parte prima della nostra era).
Nel Centro America, dunque, gli abitanti non ebbero mai a disposizione bestie da tiro e da latte.
E forse anche per questo non arrivarono a inventare la ruota: non avrebbero saputo che cosa farsene.
- Domatori di foreste
Nonostante questi handicap, due millenni e mezzo prima di Cristo i Maya avevano “domato” la foresta centroamericana e fondato i primi insediamenti: villaggi retti da caste di privilegiati che non si dedicavano alla produzione ma che si occupavano invece dell’osservazione dei cieli tropicali e predicevano noviluni, pleniluni, eclissi, periodi secchi e alluvioni.
I primi sciamani divennero col tempo sacerdoti e i loro precetti si trasformarono in una religione che regolamentava vita quotidiana, sviluppo urbano, architettura, scrittura, scultura e pittura. In breve, gli splendori arrivati fino a noi.
Fino a pochi anni fa si pensava che la civiltà maya avesse toccato il suo apice nel periodo che non a caso è detto “classico” (250-900 d.C.), l’epoca delle piramidi di Tikal (Guatemala).
Oggi vi sono tracce del raggiungimento di un elevato grado di sviluppo già nel periodo preclassico, fra il 400 a.C. e il 200 d.C.
Le ricerche dell’archeologo Richard Hansen a El Mirador (sempre in Guatemala) hanno spiegato come si svilupparono queste città- Stato.
El Mirador arrivò a coprire un’area di 26 chilometri quadrati e i suoi complessi, detti El Tigre e Danta, ci hanno lasciato costruzioni che superano i 70 metri di altezza, più delle piramidi di Tikal.
E lo sviluppo di El Mirador culminò tra il III secolo a.C. e il II secolo d.C. con un insediamento di qualche decina di migliaia di abitanti sei-sette secoli prima che ciò avvenisse a Tikal.
3. Antenati e codici decifrati
- Antenati
Nel Petén, prima dei Maya classici, c’era dunque già una civiltà avanzata.
Secondo una teoria un tempo accettata da tutti, si sviluppò dalla cultura degli Olmechi, stanziati sulle coste del Golfo del Messico.
Ma Hansen, grazie allo studio di pollini fossili di mais databili al 2400 a.C., sostiene che gli Olmechi si svilupparono in parallelo e non prima dei Maya.
Un’ulteriore conferma è venuta quasi per caso, nel 2001, dall’archeologo William A. Saturno della Boston University. Alla ricerca di sollievo dal caldo e dal sole nella giungla del Petén, Saturno si riparò in un anfratto già saccheggiato dai tombaroli.
Quando i suoi occhi finalmente si abituarono alla penombra, scoprì che si trovava a pochi metri da un affresco quasi intatto e di bellezza sbalorditiva.
Erano le pitture policrome di San Bartólo, del 100 a.C. ma di qualità artistica pari a quelle dei codici maya decorati, di 13-14 secoli più recenti.
Proprio quei manoscritti restano dunque l’unico tratto distintivo dei Maya, il solo popolo precolombiano a elaborare una vera scrittura.
- Codici decifrati
Il frate francescano Diego De Landa, vescovo dello Yucatán, fu il primo a capirci qualcosa.
Pur avendo contribuito a distruggere preziosi e antichissimi codici maya nel rogo di Maní (1562), De Landa si fece poi carico di studiare significati e pronuncia dei segni con i quali erano scritti i codici sopravvissuti.
Il manoscritto del suo trattato, venuto alla luce per caso nell’Ottocento, fu la base per capire quella scrittura, detta “logografica” (i segni indicano sia suoni sia sillabe).
Ma che cosa dicevano quei codici? Che il periodo classico era già in stato di guerra perenne, con le alleanze tra le città- Stato in evoluzione continua attorno ai centri maggiori dell’epoca: Tikal e Calakmul.
Le guerre maya erano condotte nelle selve inestricabili della foresta pluviale, sfruttando i corsi d’acqua come vie di comunicazione.
Senza animali da tiro e senza metalli, le battaglie si combattevano con spade e lance di legno dotate di punte in selce e ossidiana, trappole, fionde e dardi (l’arco apparve solo dopo il X secolo, con l’invasione dei popoli del Messico del Nord).
I soldati professionisti, mantenuti dalla comunità, puntavano a catturare vivi i capi nemici che poi venivano sacrificati alle divinità.
Gli dèi maya erano poco interessati al sangue degli umili contadini? Più probabilmente i sacerdoti preferivano non intaccare le uniche energie produttive della società.
Siccome però, nei periodi di carestia, i sacerdoti pretendevano sangue nobile in quantità maggiore, le tensioni sociali non fecero che crescere. Insomma, le cronache maya confermano quanto detto all’inizio: le guerre per le risorse furono alla radice dell’apocalisse.
4. Massacro, inferno verde e la conquista
- Massacro
Un esempio della durezza di questi conflitti è la storia del signore di Cancuén, Kan Maax.
Correva l’anno 800 e Kan Maax sapeva che la sua città stava per essere attaccata. Per questo fece innalzare delle mura, di cui rimangono i resti incompiuti: la cinta muraria non fu eretta in tempo.
Gli assalitori fecero 31 ostaggi, tutti nobili, come svelano i resti di ornamenti e gioielli rinvenuti dagli archeologi: forse erano i componenti della famiglia reale.
C’erano anche bambini e donne, due delle quali incinte. I prigionieri furono radunati nel cortile del palazzo e uccisi in maniera orrenda: alcuni impalati, altri decapitati.
I resti furono gettati nella cisterna dell’edificio reale, dove li hanno ritrovati gli archeologi.
Questi hanno scoperto anche migliaia di oggetti di giada, gli “ori” dei Maya: gli assalitori, chiunque fossero, non erano interessati al bottino. Desideravano soltanto uccidere.
La stessa volontà distruttiva è testimoniata altrove: è probabile che fosse opera di orde di contadini inferociti, ormai non più controllabili perché esasperati dallo sfruttamento.
Quando l’intero ambiente, esausto, presentò loro il conto, la tensione sociale scoppiò.
- Inferno verde
A mano a mano che le città si spopolavano, la foresta ne riprendeva possesso.
E le conservava per gli archeologi che, a partire da metà Ottocento, con i viaggi dell’illustratore inglese Frederick Catherwood e dell’americano John Lloyd Stephens, riscoprirono quella civiltà.
Per la verità, dopo una serie di invasioni dall’altopiano messicano, ci fu un ultimo sviluppo postclassico.
Ma l’architettura, l’urbanistica, la scultura e la pittura non raggiunsero più quei vertici: né sugli altipiani del Guatemala, devastati da eruzioni e terremoti; né sulle aride e carsiche pianure dello Yucatán, flagellate da terribili uragani (parola di origine maya: urakán).
I grandi templi e le piramidi di Chichén Itzá, Uxmal, Labná, del X-XIII secolo, furono gli ultimi fuochi in un contesto di decadenza.
- La conquista
Fu Cristoforo Colombo il primo europeo a entrare in contatto con quel che restava dei Maya.
Durante il suo ultimo viaggio, nel luglio del 1502, al largo delle coste dell’Honduras, descrisse una grande canoa con a bordo 20-30 individui e molte merci.
Erano Putún, popolazioni maya che abitavano e navigavano lungo le coste del Messico Meridionale, Guatemala e Honduras.
Poi (preceduto da due tentativi falliti) nello Yucatán sbarcò Hernán Cortés. Era il 1519 e iniziava la conquista spagnola.
Cortés ebbe scontri furiosi con i Maya yucatechi ma deviò subito verso il ben più ricco regno degli Aztechi, sull’altopiano del Messico.
La conquista dello Yucatán fu conclusa intorno al 1541 da Francisco de Montejo il Giovane.
L’ultima città maya, Tayasal (oggi Flores, sul lago Petén Itzá), cadde nel 1697. Ma il loro mondo era già finito più di sei secoli prima.
5. Il conquistador convertito e il ruolo (di spicco) delle donne
- Il conquistador convertito
Nel 1511 una caravella naufragò vicino alla Giamaica: sopravvisse una ventina di uomini, ma in seguito alcuni di loro perirono di stenti.
I superstiti furono catturati da un capo maya che ne sacrificò quattro o cinque, banchettando con le loro carni.
I prigionieri sopravvissuti, tra i quali il prete Jerónimo de Aguilar e l’archibugiere Gonzalo Guerrero, riuscirono a fuggire. Ma morirono quasi tutti, eccetto il prete e il soldato.
Quando Cortés, nel 1519, giunse sulle coste dello Yucatán, sentì parlare dei due spagnoli e diede ordine di cercarli.
Il primo a essere ritrovato fu Aguilar, che si incaricò di scovare il compagno. Gonzalo abitava in un villaggio vicino.
L’archibugiere del glorioso Tercio – il corpo d’élite che aveva sconfitto gli Arabi in Spagna – disse:
“Qui ho trovato genti ospitali che mi trattano come fossi un capo. Ho sposato una principessa che mi ama e mi ha dato tre figli bellissimi. Mi sono fatto i tatuaggi maya sul viso e sul corpo: cosa ne penserebbero i miei compaesani? Va’ con Dio, io rimango qui. Anzi, lasciami le pietrine luccicanti del riscatto: dirò che sono il dono dei miei fratelli. Suerte, amico mio!”.
Gonzalo, nato intorno al 1470 e marito di Ix Chel Can, figlia del capo Cocom Na Chan, difese con tutte le sue forze il suo popolo d’adozione contro gli spagnoli.
Già nel 1527 aveva sconfitto Francisco de Montejo il Vecchio in Belize, guidando i guerrieri maya nello sterminio della guarnigione spagnola.
Morì il 13 agosto 1536 combattendo contro i conquistadores, ucciso da una palla di archibugio o da un dardo di balestra.
- Il ruolo (di spicco) delle donne
Le donne maya erano relegate in casa a occuparsi di pasti e figli? Non sempre.
Una recente ricerca condotta alla University of California di Riverside ha rivelato che ricoprirono invece ruoli chiave in società.
A dimostrarlo è stata l’analisi di spille spiraliformi provenienti da Cozumel (Messico) e conservate al British Museum di Londra: sarebbero state indossate dalle donne in occasione di riti pubblici e non per defilé casalinghi.
Prima dell’arrivo degli europei le donne maya sarebbero state leader politiche e guerriere.
Interpretazioni archeologiche a senso unico avrebbero poi messo in ombra il loro ruolo.
Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo con i tuoi amici su Facebook
Hai qualche idea per un articolo su BEST5? Vai alla pagina dei suggerimenti e libera la tua fantasia!