La parola multitasking designa la capacità di una persona di svolgere simultaneamente due o più compiti differenti.
Favorito dall’avvento degli apparecchi tecnologici è ormai divenuto un fenomeno sociale, che richiede l’uso simultaneo di diverse tecnologie e l’elaborazione di differenti contenuti cognitivi. Ma ci fa rendere davvero di più? O piuttosto, rischia di mandarci in tilt?
Il multitasking è solo un’illusione! Lo dice la scienza: il nostro cervello non è in grado di eseguire più compiti simultaneamente, ma può solo passare velocemente dall’uno all’altro.
Il guaio è che le interruzioni generano stress e finiscono per rallentare i tempi di esecuzione, facendo calare la produttività.
1. Obiettivi paralleli
Seduti alla scrivania, rispondiamo al telefono continuando a leggere le breaking news sul computer; tra una notizia e l’altra controlliamo le email arrivate, mandiamo un rapido WhatsApp e ci apprestiamo a scrivere un testo, interrotti da un’altra telefonata e dalla risposta al nostro WhatsApp.
È un esempio di Multitasking (multiprocessualità), termine informatico che deriva dall’inglese task, compito, riferito a un sistema operativo in grado di eseguire contemporaneamente più funzioni.
Per estensione, applicato alle prestazioni umane (Human Multitasking o Multitasking Umano), la parola designa la capacità di una persona di svolgere simultaneamente due o più compiti differenti.
Favorito dall’avvento degli apparecchi tecnologici, il Multitasking è ormai divenuto un fenomeno sociale, che richiede l’uso simultaneo di diverse tecnologie e l’elaborazione di differenti contenuti cognitivi. Ma ci fa rendere davvero di più? O piuttosto, rischia di mandarci in tilt?
Si parla di Multitasking soltanto quando si cercano obiettivi di prestazione in parallelo su più fronti e non, ad esempio, quando ci si trova a svolgere un lavoro con la mano destra e un altro con la sinistra.
Se invece ci muoviamo verso due o più obiettivi differenti, ad esempio se rispondiamo a un’email mentre parliamo al telefono con un cliente, la psicologia della prestazione umana ci dice che stiamo commettendo un grave errore.
È vero che siamo in grado di portare avanti entrambe le cose, ma non nell’ottica della qualità: in altre parole, risponderemo male all’email e parleremo male con il cliente. Questo perché il nostro cervello è strutturato per eseguire un solo compito alla volta.
Il motivo principale è che la sua capacità attentiva (di prestare attenzione) è limitata e, quindi, disperdere la concentrazione in direzione di più compiti anziché focalizzarla su un unico stimolo target porta inevitabilmente allo scadimento delle prestazioni.
2. L’effetto Zeigarnik
Ci si illude che il cervello umano, sottoposto a Multitasking, riesca a lavorare come un computer, ritenendo erroneamente che quest’ultimo sia in grado di compiere simultaneamente più processi.
In realtà, il sistema non esegue contemporaneamente più processi, ma ne effettua uno alla volta a una velocità tale che non ce ne accorgiamo.
In pratica, il processore porta avanti più compiti ma ne intervalla l’esecuzione, eseguendo per qualche istante un processo e per qualche istante un altro processo, alternandoli e ritornando di volta in volta sul processo interrotto grazie al Context Switch, un meccanismo che gli permette di riprendere esattamente da dove si era interrotto.
Il nostro cervello, oltre a non essere programmato per svolgere contemporaneamente più compiti, non possiede tale meccanismo. Al contrario, genera l’effetto Zeigarnik, come spiegano gli esperti:
«Scoperto nel secolo scorso dalla psicologa lituana Bluma Zeigarnik, questo effetto mette in evidenza che, quando lavoriamo a un compito e poi lo interrompiamo, quel compito lascia nel nostro cervello una traccia di attivazione fin quando non viene completato.
In parole semplici, quel compito continua a lavorare dentro di noi finché non viene risolto, ripresentandosi continuamente alla memoria e sottraendoci energia. Questa traccia attiva dimostra che, per natura, siamo fatti per lavorare in Monotasking.
Se interrompiamo la risposta a un’email importante perché suona il telefono e poi facciamo dell’altro, dopo un po’ ci verrà in mente che dobbiamo completare quell’email. Senza rendercene conto, lasciando aperti tanti compiti che continuano a giraci nella mente, finiamo in condizioni di stress».
Nella foto sotto, Bluma Zeigarnik. La psicologa lituana ha studiato l’effetto negativo che produce sul cervello l’interruzione di un lavoro per passare a un altro.
3. Da una cosa all’altra
Sandra Bond Chapman, fondatrice del Center for Brain Health dell’Università di Dallas, ha messo in guardia dall’illusione del Multitasking: abbiamo l’impressione di fare due cose alla volta, ma in realtà passiamo velocemente dall’una all’altra.
Quando eseguiamo più compiti alla volta infatti, il lobo frontale del cervello che gestisce l’attenzione, non essendo programmato per il Multitasking, è costretto a dividersi freneticamente fra un compito e l’altro.
Come ha spiegato la studiosa, l’esecuzione contemporanea di più attività costringe i neuroni a un superlavoro per il quale non sono programmati e provoca un rialzo dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress.
I frutti di questo superlavoro non possono essere che scadenti e imprecisi.
È ancor più allarmante la conclusione di uno studio dell’Università del Sussex, Inghilterra, che nelle persone che utilizzano simultaneamente le nuove tecnologie (Media Multitasking) ha riscontrato addirittura una mutazione nella struttura del cervello.
Precisamente, una diminuita densità della materia grigia nella regione della corteccia cingolata anteriore (ACC), che ha a che fare con l’attenzione e la gestione degli stimoli che giungono dall’esterno.
Ciò conferma che il Multitasking riduce la capacità di attenzione e aumenta il rischio di ansia e depressione. Il cervello mette in atto una sorta di sistema di difesa e si modifica bypassando la capacità di rimanere attento, in quanto gli viene richiesto altro.
Da un lato, questa difesa gli permette di “sopravvivere” e di gestire più situazioni diverse, dall’altro non gli consente di farlo in profondità, con conseguente perdita dell’intensità della concentrazione e relativo scadimento delle prestazioni.
È come se la corteccia cingolata venisse un po’ anestetizzata per permettere l’attivazione di altre aree più superficiali e diffuse, nel tentativo di cogliere più informazioni razionali possibile.
Accade qualcosa di simile a chi non ci vede più da un occhio; la parte di corteccia cerebrale preposta alla rappresentazione di quell’occhio si spegne. In sintesi, il Multitasking rischia di “addormentare” una parte del cervello.
4. Switch Tasking e Monotasking
Non si salva neppure il paradigma secondo cui il Multitasking aumenterebbe il rendimento e la produttività a livello aziendale.
Secondo Earl Miller, neuroscienziato americano del Massachusetts Institute of Technology (MIT), il tentativo di eseguire contemporaneamente più compiti accrescerebbe il dispendio di tempo per la loro esecuzione del 50 per cento o più, a seconda della complessità dei lavori.
Inoltre genererebbe nei lavoratori uno stress cronico, traducendosi in un marcato rallentamento nella produttività.
Gli studi riguardanti la psicologia del lavoro e dell’organizzazione concordano sul fatto che non siamo nati per il Multitasking, termine che nelle organizzazioni improntate al lavoro performante è già caduto in disuso.
Il Multitasking è stato sostituito dallo Switch Tasking, cioè dal metodo che prevede di eseguire i lavori non in parallelo ma in serie, passando al compito successivo soltanto dopo aver concluso il precedente.
Dai piccoli lavori a quelli importantissimi, tutti i compiti vanno svolti uno alla volta, in modo che il cervello possa lavorare secondo natura.
Nell’ottica dello Switch Tasking, per il quale siamo nati, la chiave del successo per suddividere adeguatamente i programmi, il tempo e il lavoro è il Monotasking sequenziale, che preve de l’espletazione dei compiti a stretta cadenza, ma senza confondere un obiettivo con l’altro.
È questo il nuovo atteggiamento mentale vincente che tutti quanti dobbiamo perseguire per star bene e per bilanciare adeguatamente le energie che impieghiamo nell’ambiente lavorativo e nella vita personale.
5. Il cervello delle donne e lo Smart Working
- Il cervello delle donne si adatta meglio al multitasking?
In base a uno studio di Svetlana Kuptasova della Higher School of Economics di Mosca, il cervello delle donne si adatta meglio di quello degli uomini al Multitasking.
Secondo gli studiosi, il motivo risiederebbe nell’evoluzione.
Gli uomini primitivi, dediti alla caccia, hanno sviluppato prevalentemente le aree cerebrali deputate alla valutazione dello spazio.
Il cervello delle donne, da sempre impegnate a curare la casa e a crescere i figli, è invece più predisposto a badare a più cose contemporaneamente. Per questo, soffrirebbe meno la pressione del Multitasking.
Diverso l’esito di uno studio dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Aquisgrana, Germania, che ha visto due gruppi di genere sottoposti a test di Multitasking sequenziale e simultaneo (che comportavano cioè la capacità di cambiare attività o di svolgere più compiti simultaneamente).
Risultato: entrambi i sessi sono andati in difficoltà nello svolgere più compiti in contemporanea, con uguale scadimento della precisione e del livello delle prestazioni.
- Lo Smart Working ha accentuato il Multitasking (e lo stress che ne deriva)
Nell’ultimo anno, complici il confinamento e il lavoro da casa imposti da COVID-19, è cresciuto l’utilizzo delle tecnologie, che facilitano diversi aspetti della vita e del lavoro, ma rappresentano un rischio per la salute.
Un recente studio di Monica Molino e Claudio Cortese, docenti del dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino in collaborazione con altre tre Università, ha misurato il Technostress come possibile conseguenza del lavoro da remoto in emergenza.
La percezione di lavorare di più a causa delle tecnologie (Techno-overload) e la difficoltà a tenerle separate dalla vita personale (Techno-invasion) sono le dimensioni che più spiegano questo fenomeno.
Ne consegue un Multitasking non sempre consapevole nella gestione delle attività professionali e nei quotidiani equilibrismi tra lavoro e famiglia. Tornati alla normalità, sarà importante sviluppare una maggiore consapevolezza del loro corretto e bilanciato utilizzo.