Il pangolino, tra gli animali più singolari al mondo, è una sorta di formichiere rivestito da un’“armatura” di scaglie, sdentato, con una lingua lunga quanto il corpo: può consumare 20 mila formiche in un giorno!
Oggi è fortemente minacciato dall’uomo.
Questo buffo animale, protetto dalla Convenzione internazionale di Washington, è l’unico mammifero vivente coperto da scaglie ed è a rischio estinzione.
Anche se la caccia a questi animali in Asia è vietata quasi dappertutto, pare che circa un milione di individui siano stati catturati o uccisi negli ultimi 15 anni (dati IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura).
L’Operazione Libra , che si è conclusa, lo scorso luglio (2016) è stata portata avanti dall’Interpol con il supporto della Freeland Foundation e finanziata in parte dall’ente statunitense USAID.
La divisione della polizia internazionale dedicata ai crimini ambientali ha recuperato addirittura 1.220 pangolini: metà erano già stati uccisi e congelati, ma circa 600 erano ancora vivi e in buone condizioni.
Oggi conosceremo meglio questo meraviglioso e singolare animale corazzato in serio pericolo di estinzione.
1. Una pigna che cammina
La pelle dei pangolini è rivestita solo in minima parte di peli, il resto del corpo è invece coperto da scaglie cornee di circa 3-5 centimetri di diametro fatte di cheratina, la stessa sostanza delle nostre unghie.
Ogni individuo può averne fino a 10.000, che rivestono anche zampe e capo.
Rimangono scoperti solo il ventre e alcune parti del capo, che vengono protetti quando l’animale si chiude a palla.
Nella coda le scaglie aumentano di dimensione e hanno margini abbastanza affilati; nelle specie terrestri più grandi possono essere impiegate anche come armi difensive.
La colorazione dell’armatura varia dal marrone-giallastro al bruno-olivastro. La sua testa è piccola e conica con le aperture per l’orecchio ridotte o assenti.
La lingua del pangolino permette di catturare gli insetti, e misura sino a 70 cm, e può fuoriuscire per 30-40 cm.
I denti, quindi, non sono necessari per nutrirsi, ed, infatti, sono deboli e ridotti. Gli arti sono corti, ma terminano con cinque potenti artigli utili per nutrirsi e per arrampicarsi.
E’ distribuito nell’Africa centrale e centro-occidentale. In particolare dal Senegal all’Uganda, l’Angola, il Kenia occidentale; dal sud dello Zambia al nord del Monzambico; Sudan, Ciad, Sud Africa e dall’Etiopia alla Namibia.
Oltre alle specie africane, ci sono anche altre specie asiatiche, diffuse in Cina, Nepal, Sri Lanka, Tailandia, Malesia, Sumatra, Giava, India meridionale.
I pangolini, in realtà, non sono parenti stretti dei formichieri (e neppure degli armadilli), ma sono gli unici mammiferi viventi rappresentanti l’ordine dei Folidoti.
Le somiglianze tra pangolini, formichieri e armadilli sono dovute a uno stile di vita simile e all’alimentazione speciale: termiti e formiche, una dieta per la quale serve un “equipaggiamento” molto particolare.
2. Il pranzo è servito
Termiti e formiche sono tra gli insetti più abbondanti del pianeta, specie nelle aree tropicali.
Trovarle non è quindi difficile per chi le cerca attivamente, ma recuperarne abbastanza da mantenere in vita un animale grande quanto un pangolino, che può pesare 10 kg, diventa un’impresa: a grandi linee, gli occorrono alcuni milioni di prede al mese.
La vita di questi animali, come quella dei loro colleghi formichieri, è quindi dedicata alla ricerca del proprio alimento.
Per trovare termiti e formiche, un pangolino si affida soprattutto all’olfatto: riesce a sentire le tracce chimiche lasciate lungo i sentieri che gli insetti usano per spostarsi.
Il suo sistema di raccolta è tipico di tutti gli animali mirmecofagi (che si nutrono di formiche): una lingua fuori misura, lunga quanto il corpo (senza la coda) e resa appiccicosa dalla saliva, che saetta avanti e indietro catturando decine di insetti ogni secondo.
L’uso di così tanta saliva impone ai pangolini di bere molto spesso, quindi nessuna specie è a proprio agio in climi molto aridi.
I pangolini non hanno denti, e quindi per sminuzzare le formiche, che hanno un duro esoscheletro fatto di chitina, il loro stomaco è dotato di spine di cheratina che, insieme ai sassolini ingeriti, sminuzzano gli insetti.
L’armatura e i lunghi peli li rendono quasi invulnerabili agli attacchi delle formiche; anche orecchie e narici hanno chiusure ermetiche, per impedire sgradevoli “infiltrazioni” degli insetti.
Ma, anche se la lingua è uno strumento di raccolta molto efficace, rimane il problema di accedere al formicaio e penetrarvi abbastanza in profondità da trovare un numero sufficiente di insetti.
Per aprirsi la strada nel terreno, il pangolino ricorre ai potenti artigli delle zampe anteriori, con i quali scava con grande abilità.
Questi sono così grandi da rendere piuttosto goffi gli spostamenti dell’animale, che cammina sul “dorso” degli arti anteriori e a volte solo sulle sole zampe posteriori, bilanciandosi con la coda.
In quanto a velocità e capacità di fuga, quindi, il pangolino non è un fenomeno, ma proprio per questo motivo ha la sua formidabile armatura di scaglie, nella quale può proteggersi chiudendosi a palla.
La parola “pangolino” ha origine in Malesia (dove una volta questi animali erano comuni): nella lingua locale penggulung significa “quello che si arrotola”.
Per allontanare gli avversari, il pangolino usa anche un’altra arma: una sostanza maleodorante, che lo rende sgradito ai suoi predatori, prodotta da ghiandole vicino all’ano.
Per andare a caccia di formiche, i pangolini non si fermano di fronte a nulla: nuotano bene e alcune specie si arrampicano anche sugli alberi, sfruttando i potenti artigli e la coda prensile, che può avvolgersi intorno ai rami.
Soprattutto quando sono giovani, si muovono tra i rami, ma poi con l’aumento delle dimensioni si stabiliscono a terra. Probabilmente i loro antenati, apparsi sul pianeta dopo gli ultimi dinosauri, erano più legati agli alberi e alle foreste tropicali.
3. 8 modi di dire pangolino
Ci sono 8 specie di pangolino: 4 in Africa e 4 in Asia.
Una, il piccolo pangolino delle Filippine (Manis culionensis), è stata riconosciuta solo nel 1998.
Il più grande della famiglia è il pangolino gigante (Smutsia gigantea), delle foreste dell’Africa Centrale: sfiora i 2 metri di lunghezza e i 35 kg di peso.
I suoi due cugini, il pangolino del Capo (Smutsia temminckii) e il pangolino pancia bianca (Phataginus tricuspis), sono grandi la metà e più adattabili e comuni nel continente.
Il primo, in particolare, è la specie che si incontra più spesso, perché frequenta anche ambiente aperti, come le savane, ed è più resistente degli altri alla siccità.
Quando deve muoversi rapidamente, solleva le zampe anteriori da terra, camminando solo su quelle posteriori, usando la grande coda come bilanciere: un’andatura insolita, che non dà grandi spunti di velocità, ma è pratica per chi ha grandi artigli nelle zampe anteriori.
Il più piccolo pangolino pancianera (Phataginus tetradactyla), che pesa solo 2 kg, è l’acrobata della famiglia: un formidabile arrampicatore, capace di muoversi con una certa disinvoltura sugli alberi e usare la lunga coda come un arto.
I pangolini asiatici sono più piccoli e arboricoli di quelli africani, soprattutto il pangolino della Sonda (Manis javanica), legato alle foreste pluviali.
Il pangolino cinese (Manis pentadactyla) e quello indiano (Manis crassicaudata) vivono invece in ambienti diversi, anche più aridi.
4. Vita solitaria
I pangolini non hanno grande vita sociale.
In massima parte notturni e crepuscolari, di giorno dormono o riposano in buchi nel terreno (o sugli alberi, nelle specie di foresta e quando sono giovani) e la sera si mettono lentamente in cammino per andare a caccia di insetti.
Hanno un circuito di termitai e formicai che visitano abitualmente, e una rete di ricoveri abituali, che ritrovano grazie alle tracce odorose lasciate sul terreno.
I maschi, come spesso accade tra i mammiferi, sono più nomadi delle femmine e hanno territori più estesi, che comprendono quelli di diverse compagne.
Nonostante i segnali di proprietà, sotto forma di tracce chimiche ed escrementi, i maschi vicini a volte entrano nel territorio dei rivali per sedurre le loro femmine; se il proprietario della zona li incontra, il clima può scaldarsi parecchio.
In queste occasioni, infatti, i pangolini perdono la loro tradizionale calma e si sfidano a unghiate e potenti colpi con la coda.
I danni non sono gravi, perché la corazza è quasi sempre efficace; il vincitore si accoppia con la maggior parte delle femmine della zona.
La “luna di miele”, però, dura pochissimo e dopo l’accoppiamento ognuno va per la sua strada. Quando i piccoli nascono, 4-5 mesi dopo, sono già rivestiti di scaglie, tenere e fragili.
Di solito nasce un solo piccolo, ma nelle specie asiatiche se ne contano fino a tre: i cuccioli si fanno trasportare sulla coda della madre. Al minimo segnale di pericolo, però, si rifugiano sotto la pancia della mamma, pronta a chiudersi a palla.
Dopo tre mesi di allattamento, un giovane pangolino è già in grado di nutrirsi di formiche, ma tende a restare con la madre per diversi altri mesi. Gli individui più fortunati delle specie di maggiori dimensioni possono vivere anche venti anni.
5. Pangolini e medicina
Per le abitudini notturne e per la loro timidezza, non è affatto facile incontrare i pangolini in natura.
Tuttavia, migliaia di individui di diverse specie vengono catturati ogni anno dall’uomo per essere mangiati.
In Africa sono venduti al mercato, mentre in Cina e in Vietnam in costosi ristoranti come prelibatezze locali. Il piatto più ricercato è quello a base di giovani pangolini, serviti in una zuppa.
Inoltre, le scaglie di questi animali, che garantiscono loro la protezione dai predatori, sono diventate la loro condanna. A esse, come già al corno dei rinoceronti, sono falsamente attribuite varie proprietà dalla medicina tradizionale cinese.
Con il miglioramento della qualità della vita nel Sud-Est asiatico, che però non va di pari passo con una corretta informazione, la richiesta e di conseguenza il prezzo dei pangolini sono aumentati a dismisura negli ultimi venti anni, alimentando il bracconaggio in Asia e, in misura minore, in Africa.
Anche se la caccia a questi animali in Asia è vietata quasi dappertutto, pare che circa un milione di individui siano stati catturati o uccisi negli ultimi 15 anni (dati IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura).
Purtroppo, come abbiamo visto, i pangolini partoriscono pochi piccoli, che crescono abbastanza lentamente: la capacità di ripresa della popolazione è perciò lenta.
Nessuno si è occupato seriamente del problema fino a pochi anni fa, perché le grandi campagne di protezione della natura si concentrano su specie ben più grandi e carismatiche, come elefanti, tigri, orsi bianchi e balene.
Qualcosa, però, si sta muovendo: l’IUCN ha formato il Pangolin Specialist Group (www.pangolinsg.org), un gruppo di specialisti dediti allo studio e alla conservazione di questi curiosi animali.
Lo scorso 16 febbraio (2016) si è tenuta la seconda Giornata Mondiale del Pangolino, con incontri a tema di tutta la comunità scientifica in molte nazioni, e ormai più di 10 anni fa, nel lontano Vietnam, è stato fondato il Carnivore and Pangolin Conservation Program (CPCP), un’organizzazione che si occupa di proteggere questi animali e recuperare quelli sequestrati ai bracconieri.
Molti pangolini, infatti, sono catturati vivi, perché non si deteriorino durante il trasporto. Alcuni di quelli (pochissimi) che vengono intercettati dalle forze dell’ordine possono essere curati in appositi centri, per essere poi reintrodotti in natura.
Alcuni individui, però, hanno ferite o menomazioni che non consentono loro di sopravvivere da soli: rimangono pertanto al centro, diventando le mascotte del progetto, e incontrano regolarmente i visitatori.
Un progetto così piccolo può sembrare una goccia nell’oceano, quando si contano decine di migliaia di pangolini catturati e uccisi ogni anno, ma quello che conta è il messaggio.
Se non vi fosse dall’Oriente una continua richiesta di squame e di carne di pangolino, questi animali sarebbero relativamente sicuri.
La priorità è quindi far conoscere questi insoliti “formichieri squamosi” e raccontare a tutti quanto sono interessanti: la strada per salvare una specie animale comincia sempre dalla conoscenza.