Ci piace, certo che ci piace. Adoriamo riceverlo, contarlo e anche solo tenerlo in mano. Qualche volta (ma non sempre, perché dipende da ciò che riceviamo in cambio), amiamo spenderlo.
Forse perché il denaro eccita il nostro cervello: un’équipe di scienziati dell’Università di Pechino ha dimostrato che la sola idea di una ricompensa in soldi “accende” le aree cerebrali dedicate al piacere e le eccita ancora più intensamente di una gratificazione sociale (come diventare amici di una persona a cui teniamo, essere accolti in un club, essere invitati a una festa ecc.).
Insomma, meglio una bella sommetta di una serata in compagnia. O quasi.
Il denaro “accende” il nostro cervello proprio come farebbe gustare un pasticcino o innamorarsi. Ecco perché ci piace tanto.
1. CIRCUITI CEREBRALI
A eccitarsi quando sentono parlare di soldi in arrivo sono in particolare la cosiddetta area tegmentale ventrale e lo striato ventrale, due zone del cervello responsabili del rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore del desiderio, che invade la nostra mente per esempio quando ci si innamora.
Ma si attivano anche altre due aree, l’insula anteriore, che usiamo per misurare quanto sia importante qualcosa, e l’area motoria supplementare, che ci prepara all’azione (che in questo caso potrebbe essere intascare immediatamente il denaro ricevuto).
«Abbiamo dimostrato che il circuito cerebrale che risponde a una gratifica in denaro è lo stesso che l’evoluzione ha selezionato per reagire alla ricompensa sociale», affermano gli autori dello studio.
«Del resto, la nostra anticipazione delle ricompense sociali è un incentivo così potente nella vita di tutti i giorni che la maggior parte di noi (se non tutti) ne è motivata e la usa per motivare altre persone».
Il denaro funziona dunque allo stesso modo: va a sollecitare proprio le zone del cervello che tengono uniti i gruppi umani, le aree che hanno a che fare con il piacere di stare con i propri simili.
Non a caso, per lo storico Yuval Noah Harari il denaro è “il più universale ed efficace sistema di mutua fiducia mai realizzato”.
2. IL POTERE DELLA DOPAMINA
Ed è proprio per questo che è nato: in una specie come la nostra, che ha bisogno di cooperare con i propri simili ma vive in gruppi troppo grandi per conoscere ogni individuo di persona, il denaro è il modo di quantificare questa fiducia per poterla scambiare.
I soldi, insomma, gratificano il cervello: ricerche passate avevano già dimostrato che a livello neurofisiologico riceverne un po’ dà le stesse reazioni di gustare qualcosa di dolce.
E a dare questa sensazione è proprio il rilascio di dopamina, neurotrasmettitore legato soprattutto alle gratificazioni immediate.
Alcuni esperimenti hanno mostrato che il cervello ricava piacere solo nel tenere denaro in mano (proprio come se tenesse già in mano ciò che può comprarci). Parecchi anni fa, lo psicologo polacco Tomasz Zaleskiewicz ha addirittura dimostrato che maneggiare soldi allontana la paura della morte: confrontando il timore di morire dichiarato da un gruppo di persone a cui erano state fatte contare alcune banconote con quello di altre che avevano contato semplici pezzi di carta, si è visto che i primi temevano meno la morte.
Forse succede perché il denaro allevia la nostra ansia esistenziale in generale, eliminando molte paure legate al futuro, compresa quella di morire. E a dare conforto è avere i soldi, non spenderli.
Inoltre, pensare al denaro ci emoziona così tanto che può paralizzare zone del cervello, come hanno dimostrato alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge (Uk) sottoponendo un gruppo di volontari a risonanza magnetica durante giochi di abilità che richiedevano attenzione e memoria.
Ai volontari era stato detto che riuscendo in quei compiti avrebbero potuto vincere una grossa somma.
Risultato: l’attività delle zone coinvolte nell’attesa della ricompensa “spegneva” le zone del cervello che controllano la cosiddetta memoria di lavoro, fondamentale per svolgere compiti cognitivi complessi. In particolare, era la dopamina prodotta a ostacolare la concentrazione. Di fronte a una bella somma, quindi, la mente può anche andare in tilt.
3. PIRAMIDI DI MONETINE
Ma la scoperta forse più sorprendente che hanno fatto gli psicologi dell’economia in questi anni è che i soldi ci piacciono in sé, come banconote, come monete, come file di cifre sul display, anche se si tratta di oggetti che non hanno alcuna utilità (non si possono mangiare, né scaldano granché se li si brucia).
In un esperimento condotto all’Università di Aarhus (Danimarca), ad alcune persone sono state mostrate le immagini di qualcuno che strappava banconote a metà ed è stato visto che, oltre alle zone coinvolte in sensazioni di disagio, in quei casi si attivava anche una specifica area cerebrale, la circonvoluzione fusiforme sinistra, ovvero la zona che identifica i piccoli oggetti come i coltellini tascabili o le penne stilografiche.
Segno che per noi il denaro è qualcosa di molto concreto e utile in sé, anche prima che venga usato per acquistare qualcosa.
Del resto è questa la prima idea che i bambini hanno del denaro: le prime monetine vengono considerate belle e preziose di per sé, anche se un piccolo di due o tre anni non ha idea di cosa farne. Insomma, quando risparmiano, i bambini molto piccoli lo fanno per collezionare monete, e solo dopo ne imparano l’uso.
Il concetto di denaro è infatti mentalmente complesso: richiede immaginazione, capacità di immedesimarsi nella mente altrui, saper concepire diversi futuri possibili e soprattutto utilizzare la fiducia nei rapporti sociali. Per questo comincia a svilupparsi pienamente solo dopo i 5 anni di età.
4. UN VERO DOLORE
La reazione più forte che abbiamo rispetto al denaro è però quella che si verifica quando sappiamo che lo stiamo perdendo.
In questo caso, gli studi con la risonanza magnetica hanno dimostrato che si tratta di un vero dolore (in particolare si attiva l’insula destra, la zona che si accende quando immaginiamo un dolore fisico in arrivo).
Una sofferenza che cerchiamo in tutti i modi di evitare. È quella che gli economisti chiamano “avversione alla perdita”, un fenomeno indagato con numerosi esperimenti.
Per esempio, se si dà a una persona un biglietto della lotteria e poi le si propone di sostituirlo con un altro in cambio di un piccolo gadget “per il disturbo”, gran parte delle persone lo tiene se ha visto il numero di serie, ma è disposta al cambio se non l’ha visto (e quindi non può venire a sapere se il biglietto a cui ha rinunciato è stato estratto).
L’avversione alla perdita è radicata in profondità nel nostro bagaglio evolutivo: secondo Laurie Santos, psicologa e primatologa dell’Università di Yale (Usa), risale ad almeno 35 milioni di anni fa. E del resto, come ha dimostrato Keith Chen, attualmente docente di economia comportamentale all’Università della California, la provano perfino le scimmie.
Lo studioso ha preso sette cappuccine, quattro femmine e tre maschi, che vivevano tutte insieme nella stessa gabbia e ha insegnato a queste scimmie il valore dei soldi.
Utilizzava dischi metallici di circa 3 cm di diametro, facili da maneggiare perché avevano un buco al centro. Ogni volta che una scimmia ne toccava uno, Chen forniva subito del cibo all’animale e le cappuccine capivano che con le monete si poteva comprare frutta (e ogni frutto aveva un prezzo).
Poi il ricercatore ha introdotto una variante: dava agli animali un grappolo d’uva e poi lanciava una moneta. Le scimmie così imparavano che se quest’ultima cadeva su una faccia ricevevano un secondo grappolo, ma se cadeva sull’altra rimanevano con ciò che avevano.
In un altro gioco, si partiva con due grappoli, ma se la moneta cadeva sul lato sbagliato, uno dei due grappoli veniva tolto dalla gabbia. In termini probabilistici le due situazioni sono analoghe, ma Chen ha notato che le scimmie preferivano di gran lunga il primo gioco. Insomma, proprio come gli umani, di fronte alla possibilità di una perdita preferivano non essere avide ma prudenti.
Eppure, per quanto piacciano al nostro cervello, i soldi non sono tutto nella vita e lo sanno perfino le scimmie cappuccine. Un giorno, quando gli animali erano ormai ben addestrati, Chen ha messo una gran quantità di monete nella loro gabbia. Subito gli animali hanno cominciato ad arraffarne quante più potevano.
E poi si sono precipitati a scambiare le monete con la frutta, ai prezzi stabiliti. Con una eccezione: Chen notò un maschio consegnare una delle sue monete a una femmina, che in cambio si accoppiò con lui (il primo caso di “sesso per soldi” tra le scimmie!). Alla fine dell’accoppiamento la cappuccina portò il suo tesoretto a Chen per avere in cambio la frutta. Dopotutto, se l’era guadagnata.
5. TRAPPOLE DA EVITARE
L’uso del denaro non è sempre facile, anche a causa di alcuni meccanismi cognitivi che possono portare a comportamenti errati.
Spesso si tratta di automatismi istintivi che si sono evoluti anticamente nel cervello, quando i soldi naturalmente non esistevano ancora, e che, per diventare buoni amministratori dei propri averi, bisognerebbe imparare a conoscere. Ecco i più importanti.
- EFFETTO CAPITALIZZAZIONE: tendiamo a valutare le cose che già possediamo più del loro valore di mercato, e non importa se le possediamo da pochissimo tempo. Così, alcuni prodotti vengono offerti in prova proprio perché, una volta arrivati a casa, diventano una proprietà ed è più difficile restituirli.
- EFFETTO FISARMONICA: due prezzi diventano difficili da comparare quando sono molto vicini rispetto a quegli stessi prezzi in una valuta di tipo diverso (per esempio nei primi tempi di introduzione dell’euro la differenza tra 10 e 20mila lire sembrava maggiore di quella tra 5 e 10 euro).
- PENSIERO RELATIVO: vediamo un risparmio come una proporzione del costo totale di un bene piuttosto che come una cifra assoluta. Così cambieremmo quartiere per risparmiare 10 euro per esempio su una ricarica telefonica, ma non faremmo lo stesso per un acquisto importante come un’automobile.
- EFFETTO ANCORAGGIO: ci spinge a valutare quanto è desiderabile qualcosa cercando un punto di riferimento. Ha effetti paradossali: è stato provato che le persone sono disposte a pagare di più in un ristorante che si chiama Studio 97 rispetto a un altro il cui nome è Studio 19. L’effetto ancoraggio è così potente che anche quando le persone ne sono consapevoli è molto difficile allontanarsene.
- AVVERSIONE AGLI ESTREMI: all’interno di una gamma, di solito tendiamo a non comprare né il prodotto più caro né quello più economico. Ma gli esperti di marketing lo sanno, per cui nei negozi un oggetto molto costoso viene esposto accanto al prodotto top, in modo che anch’esso sembri già “di fascia media”. Esistono perfino aziende che per spingere le vendite di un prodotto ne creano appositamente, nella stessa gamma, un altro ancora più costoso.
- EFFETTO PREZZO: più qualcosa costa, più pensiamo che valga. Un esperimento condotto alla Cornell University (Usa) su alcuni studenti invitati a mangiare in un ristorante “all you can eat” ha dimostrato che chi aveva pagato il pasto 8 dollari si sentiva più soddisfatto di chi lo aveva pagato solo 4 dollari. È il principale meccanismo psicologico su cui si basa l’industria del lusso.
- EFFETTO GREGGE: nelle situazioni di incertezza seguiamo chi ci sembra avere un piano o più informazioni di noi. È importante soprattutto nella finanza: alcuni investitori seguono le mosse di altri semplicemente perché questi ultimi sembrano più decisi, ma spesso sbagliano.
- COSTI SOMMERSI: esitiamo a disfarci di un investimento in perdita o a cambiare strategia solo perché abbiamo già speso tempo e denaro in quella direzione. Il fenomeno può agire anche nella vita di tutti giorni, per esempio indurci ad affrontare un nubifragio pur di andare a teatro dopo aver acquistato costosi biglietti, ma a rinunciare senza problemi se invece i biglietti in questione ci sono stati regalati.