La forza del Sole sta nel suo essere “normale”.
Nel senso che, per esempio, non è né troppo grande né troppo piccolo, né troppo caldo né troppo freddo.
Un mix di caratteristiche che lo ha reso la stella ideale perché su un pianeta del suo sistema evolvesse la vita. Cioè noi.
Tutto ha avuto inizio qualcosa come 4,6 miliardi di anni fa, quando in un angolo appartato della nostra galassia, la Via Lattea, si trovava una nube di gas e di polveri. Che cosa ha innescato, in quella nube, la formazione di nuove stelle, Sole compreso?
Il merito potrebbe essere di una minuscola galassia satellite della nostra, chiamata Galassia nana ellittica del Sagittario, che ha il brutto vizio, ogni tanto, di passare attraverso la Via Lattea.
Di questi incontri ravvicinati, un gruppo di ricerca guidato da Tomas Ruiz-Lara dell’Istituto di astrofisica delle Canarie ne ha di recente identificati almeno tre, avvenuti rispettivamente 5,7 miliardi di anni fa, 1,7 e 1 miliardo di anni or sono.
Ognuno di questi eventi ha scatenato la formazione di nuove stelle, e il più remoto, in particolare, potrebbe aver favorito anche la nascita del Sole. Che, bisogna sottolinearlo, è fatto anche con materiale “di scarto”.
La nostra stella infatti non è composta solo da idrogeno ed elio, che si formarono in gran parte all’inizio della storia dell’universo. Al suo interno, guardando bene, si trova traccia, in piccole quantità, di quasi tutti gli elementi chimici della tavola periodica.
Il Sole li ha inglobati quando è nato, raccogliendo il materiale formato all’interno di stelle vissute in precedenza, che poi sono esplose rilasciando ciò che avevano creato al loro interno, a disposizione di nuove generazioni di stelle e di pianeti. L’universo ricicla tutto, al 100%.
1. Fucina nucleare e un ciclo undecennale
Anche nel Sole nascono nuovi elementi chimici. Come tutte le stelle, è un reattore nucleare a fusione di grande potenza, formato in gran parte da idrogeno (70%) e da elio (28%).
Nel suo nucleo si raggiunge una temperatura di circa 15,7 milioni di gradi e una pressione pari 265 miliardi di bar, qualcosa come 250 miliardi di volte quella sulla superficie della Terra.
In queste condizioni estreme, quattro nuclei di idrogeno (cioè protoni) si fondono tra loro formandone uno di elio, secondo un ciclo che viene chiamato protone-protone. Questo ciclo di reazioni è il motore del Sole, e spiega la straordinaria quantità di energia che la nostra stella produce: 384 milioni di miliardi di miliardi di watt ogni secondo.
Circa un milione di volte il consumo complessivo di energia di tutta l’umanità in un anno. Ma per fare questo il Sole si consuma, perché ogni secondo oltre 4 milioni di tonnellate di materia solare vengono convertite appunto in energia, secondo la famosa formula di Einstein E=mc2, dove “m” è la massa che si trasforma e “c” è la velocità della luce.
Quattro milioni di tonnellate al secondo sono una quantità enorme, ma per una stella è pochissimo: da quando si è formato, 4,6 miliardi di anni fa, il Sole ha consumato solo 3 decimillesimi di tutta la sua massa attuale.
La sua relativa parsimonia nel bruciare il proprio combustibile di idrogeno è una delle caratteristiche che lo rendono adatto ad alimentare la vita: i modelli degli astronomi mostrano che il Sole può essere stabile per circa 10 miliardi di anni (e che quindi oggi è circa a metà della propria evoluzione).
Se fosse più massiccio, la sua “aspettativa di vita” diminuirebbe vertiginosamente. Una stella con una massa pari a 1,5 volte quella del Sole vive 3 miliardi di anni, una 3 volte più massiccia 370 milioni di anni, e una con una massa pari a 10 volte quella della nostra stella, si consuma, letteralmente, in 32 milioni di anni.
Un'inezia, su scala astronomica. Quindi, le stelle molto più massicce del Sole non possono garantire ai propri pianeti una stabilità sufficiente perché su di essi la vita abbia il tempo di nascere e di evolvere.
Sulla Terra, le prime forme di vita hanno fatto capolino 1 miliardo di anni dopo la formazione del Sistema solare, e per vedere la comparsa del genere Homo si è dovuto aspettare fino a meno di 2,5 milioni di anni fa, cioè quasi 4,6 miliardi di anni dalla nascita del Sole.
Questo non significa che la nostra stella sia immutabile. Rispetto a quando si ò formata, ha aumentato il proprio diametro del 6%, la temperatura del 5% e la luminosità di ben il 40%. Ma in oltre 4 miliardi di anni; quindi, lentissimamente.
Garantendo un irraggiamento del nostro Pianeta, e quindi un clima, sostanzialmente stabile, al quale la vita ha potuto adattarsi. Ma il Sole cambia perfino sul breve periodo, anche se non ci facciamo caso.
In media ogni 11 anni circa (ma possono variare tra 9 e 14) la sua attività raggiunge un picco, il massimo solare, poi diminuisce, per poi tornare a un nuovo massimo dopo appunto 11 anni dall’inizio del ciclo. Come si manifesta questa attività? Per esempio con le macchie.
Attualmente il Sole è in una lunga fase di minimo, testimoniata dal fatto che nel 2019 la sua superficie non ha mostrato alcuna macchia per ben 274 giorni su 365. Dal 1849, quando sono iniziate le osservazioni regolari del Sole, solo tre anni hanno avuto più giorni senza macchie: il 1878, il 1901 e il 1913.
Ma negli ultimi due mesi il Sole sta mostrando timidi cenni di ripresa: l’inizio del ciclo 25 da quando si è cominciato a contarli. Il prossimo massimo è quindi atteso, secondo gli scienziati del Noaa (National Oceanie and Atmospheric Administration), intorno al 2025.
2. Osservato speciale
L’attività del Sole si manifesta anche con le eruzioni solari, o brillamenti, violente emissioni di materia (sotto forma soprattutto di protoni) e di energia che arrivano fino alla Terra.
I brillamenti sono imprevedibili, ma si intensificano nei massimi solari.
Anche in questo caso di norma non ce ne accorgiamo, ma a volte le eruzioni sono così violente che possono provocare disturbi alle trasmissioni radio, danni all’elettronica dei satelliti in orbita e alle linee elettriche a terra, con conseguenti blackout sul nostro Pianeta.
Un’eruzione particolarmente violenta, nel 1859, produsse aurore polari (anch’esse legate all’attività solare) fino ai Caraibi. Un evento così, ai giorni nostri, in cui tutto dipende dall’energia elettrica, provocherebbe un disastro globale.
Un’idea di quanto potrebbe accadere si è avuta nel 1989, quando un’eruzione molto meno potente di quella del 1859 generò un blackout in Canada che lasciò 6 milioni di persone senza corrente per 9 ore.
Il Sole quindi è fondamentale per la vita, ma va tenuto sotto controllo. Da diversi anni, sonde come Soho (una collaborazione Esa/Nasa) e la più recente Solar Observer dell’Esa osservano la nostra stella 24 ore su 24.
Se dovesse verificarsi un brillamento molto potente avremmo da qualche ora a un paio di giorni per prendere le contromisure necessarie. Questo infatti è il tempo perché le particelle cariche emesse dal Sole percorrano i 150 milioni di chilometri che ci separano da lui.
Per studiare le conseguenze dell’attività solare è nata da qualche tempo una disciplina chiamata space weather, che potremmo tradurre con meteorologia spaziale. Che si pone anche la domanda se l’attività del Sole abbia un effetto sul clima della Terra. Il dibattito sul tema è aperto, e non c’è una risposta definitiva.
Solo qualche indizio: per esempio, tra il XV e il XIX secolo, alcuni periodi di attività solare molto bassa hanno coinciso con i momenti più rigidi della cosiddetta Piccola era glaciale, in cui la temperatura media del Pianeta scese di circa mezzo grado rispetto ai secoli precedenti.
Su un fatto però gli scienziati concordano: il ruolo del Sole nel riscaldamento globale è molto meno importante di quello dell'uomo. Ma anche se il Sole è una stella formidabile, e molto affidabile, non può fare tutto da solo. Nella ricetta cosmica che produce la vita c’è un altro ingrediente fondamentale: un pianeta.
Se non ci fosse stato, alla giusta distanza dal Sole, un pianeta roccioso delle giuste dimensioni, cioè la Terra, forse la vita nel Sistema solare non sarebbe apparsa. Se questo sia un evento probabile o no, è ancora tutto da vedere.
Uno studio recente di due astronomi dell’Università della Columbia Britannica (Canada) afferma che nella nostra galassia vi possano essere fino a 6 miliardi di pianeti simili alla Terra che orbitano attorno a stelle simili al Sole, alla giusta distanza perché vi possa essere acqua liquida.
Ma quelli identificati finora, tra mille incertezze, si contano sulle dita di una mano. Teniamoci stretto il nostro.
3. Nutrito di sangue umano
- Nutrito di sangue umano
E' buio e fa freddo. Chissà se il miracolo si compirà ancora. All’improvviso, il cielo a est comincia a schiarire e un caldo bagliore colora il mondo di rosa.
Tutto si illumina, un altro giorno comincia. L’Homo sapiens può tirare un sospiro di sollievo: il Sole, il suo più potente alleato nella lotta per la sopravvivenza, è sorto di nuovo.
Fin dagli albori della storia dell’umanità, quella palla infuocata ha scandito la vita dei nostri progenitori: l’osservazione del suo movimento apparente intorno alla Terra ha per secoli regolato le loro credenze, i ritmi del lavoro, il susseguirsi delle stagioni nei calendari. A lei dobbiamo persino il Natale, l’aureola sulla testa dei santi e molti altari cristiani rivolti a oriente.
Chi, se non una divinità, avrebbe potuto tanto? Lo diceva persino Dante Alighieri: “Non esiste cosa visibile, in tutto il mondo, più degna del Sole di fungere da simbolo di Dio”.
Ebbe un posto d’onore in quasi tutte le religioni e le mitologie del passato, diventando oggetto di culto già in epoca neolitica, come portatore di vita, luce e prosperità.
Ma, a volte, anche di morte: è il caso del crudele dio azteco del Sole, Huitzilopochtli, che per continuare a splendere doveva essere nutrito con sangue umano.
Non di rado ebbe le sembianze femminili della materna dea ittita Arinniti o della splendente Sòl della mitologia norrena, ma tra le civiltà mediterranee i fedeli preferivano immaginarselo come un giovane aitante. E bello, neanche a dirlo, come il Sole.
A questa serie di fotomodelli, faceva eccezione Ra, che risplendeva nel cielo egizio sfoggiando una inquietante testa di falco. Ma anche se non era bello, il dio del Sole della città di Eliopoli piaceva: era uno che si era letteralmente “fatto da solo”, autogenerandosi dalle acque di Nun, l’Oceano primordiale, per poi dar vita a tutto il creato.
Da allora navigava nel cielo a bordo di Mandjet, la sacra “barca del mattino”, e di notte su Mesektet, la nave reale su cui attraversava il Regno dei Morti, per riportare all’alba, trionfante, la luce del nuovo giorno sulla Terra.
Così facendo, dalla metà del III millennio a. C., aveva scalato in modo inarrestabile la classifica di gradimento delle divinità locali. Tanto che, quando Tebe diventò capitale del regno, venne associato al dio Amon, patrono della città.
Fu un successo. Insieme, le due star del pantheon egizio si trasformarono in una specie di Zeus delle piramidi: la divinità solare e creatrice Amon-Ra. Nella foto sotto, Ra, il dio egizio del Sole che ha testa di falco, sulla barca solare.
- Helios e il fiume oceano
Pur non godendo della stessa considerazione, Helios, l’incarnazione greca del Sole, poteva comunque contare su una fuoriserie, per spostarsi nel cielo: un carro d’oro, tirato da quattro cavalli alati che sbuffavano fuoco dalle narici.
Su questo mezzo, ogni mattina, il figlio dei Titani Teia e Iperione lasciava il suo palazzo a oriente e, sollevandosi sulle acque del fiume Oceano, attraversava la volta celeste verso occidente.
Nottetempo, navigando su una barchetta d’oro, tornava al punto di partenza, pronto a ricominciare l’indomani.
4. Litigio tra dèi e il sole pagano
- Litigio tra dèi
Questa sua esistenza da travet del cosmo si concluse intorno al V secolo a.C., quando venne rimpiazzato sul carro e nel culto dal più versatile e moderno dio Apollo.
Il pensionamento lo sottrasse alle critiche di chi, in quel periodo, metteva in dubbio la sua esistenza: uno fra tutti, il filosofo Anassagora, che rischiò la condanna a morte per empietà per aver scritto che il Sole era una pietra infuocata e che non poteva certo andarsene a spasso nel cielo su un carro.
Con scarsi mezzi ma non senza brillanti intuizioni, gli antichi osservavano da sempre il cielo, il moto dei pianeti e degli astri: molti però preferivano continuare a credere agli dèi e ai più rassicuranti miti. Non capitava solo ai Greci.
Nel VI secolo, per spiegare il fenomeno delle eclissi solari, i testi sacri della religione shintoista giapponese raccontavano del violento litigio fra Amaterasu Omikami (foto sotto), la “grande dea che splende nei cieli”, e suo fratello Susanoo, dio della tempesta.
Quando la dea, indispettita, si rinchiuse in una caverna, la Terra piombò nell’oscurità finché la divinità dell’alba, Ama-no-Uzume, trovò il modo di riportare la luce nel cielo.
Secondo un’altra tradizione, Amaterasu uscì dalla grotta il 21 dicembre, il giorno in cui anche in Giappone si ricorda il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell'anno prima che le giornate ricomincino ad allungarsi.
Si collegava al ciclo solare anche la festa rituale di Beltane, celebrata da alcune popolazioni celtiche in onore di Belanu, “il dio luminoso”, il cui culto risaliva al I millennio a.C. NelXsecolo,durante questo evento, i druidi salutavano tra falò e riti di fertilità la rinascita del dio e l’avvento della “stagione luminosa”.
Era un po’ lo stesso concetto alla base del Natale. No, non quello con Gesù bambino, la mangiatoia, il bue e l’asinelio, ma il dies natalis Soli invicti, il “giorno di nascita del Sole invitto”.
Era stato l’imperatore romano Aureliano (270-275) a consacrare il 25 dicembre alla (ri)nascita di quel dio, che aveva importato a Roma dalla città di Emesa (Siria). L’idea era di unificare sotto le insegne di quell’unico culto tutti i popoli assoggettati dato che in quasi ogni religione del vastissimo impero esisteva un dio con caratteristiche solari.
- Il sole pagano
Il persiano Mitra, il greco Apollo, l’egizio Serapide, il siriano El-Gabal e persino l’agreste Sol indiges, il “Sole progenitore di ogni cosa” venerato dai Romani fin dalla fondazione della loro città, furono così associati al Sol invictus.
Il culto pagano dell’astro dispensatore di vita rimase in auge fino a che l’imperatore Teodosio I non fece del cristianesimo l’unica religione di Stato.
Era il 380: già 50 anni prima, il suo collega Costantino aveva stabilito che in tutto l’impero il 25 dicembre sarebbe stato celebrato il Natale cristiano, non più il Sol invictus. D’altra parte, lo dicevano le Scritture: Gesù è il vero Sole, venuto al mondo per sconfiggere l’oscurità.
Il fatto, però, che in un mosaico del IV secolo della Necropoli Vaticana fosse raffigurato come Helios, con tanto di quadrigae raggi d’oro intorno alla testa (quelli che col tempo si trasformarono in aureola), dà un’idea di quanto la concorrenza pagana fosse forte.
“È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani prima di entrare nella basilica di San Pietro apostolo, [...] si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente”, notava contrariato papa Leone Magno, nel sermone di Natale del 460.
Detto fatto: secondo il noto adagio del “se non puoi batterli unisciti a loro”, per cristianizzare l’inchino la Chiesa dettò nuovi canoni architettonici e per tutto il Medioevo la maggior parte degli altari venne orientata “versus Solem orientem”.
Certo non fu questo il primo caso in cui l’astro bollente regolò la disposizione delle costruzioni. Ben 6 mila anni prima di Cristo, un migliaio abbondante in anticipo sulla realizzazione delle prime piramidi e più di 3mila su quella di Stonehenge (Inghilterra), i nomadi del Sahara tirarono su a Nabta Playa (Egitto) il più antico complesso megalitico oggi noto (foto sotto), allineandolo con le costellazioni e la posizione del Sole durante i solstizi e gli equinozi.
Una grande conquista per chi osservava a occhio nudo i fenomeni celesti, ma solo un punto di partenza per gli scienziati che, dall’inizio del Seicento, grazie ai primi cannocchiali e a strumenti via via più sofisticati, riuscirono ad avvicinarsi sempre di più alla vera sostanza del Sole.
Senza comunque intaccare l’essenza divina di quella palla di fuoco che ogni sera ci incanta al tramonto prima di spegnersi in mare.
5. Proteggersi sempre, bambini più sani, via lo stress e sogni doro
- Proteggersi sempre
Nell’estate post-pandemia, la voglia di stare all’aperto è più forte che negli anni scorsi. Ma con tutte le precauzioni che ancora dobbiamo prendere per evitare la temuta seconda ondata, rischiamo di perdere di vista l’ABC della salute.
Che in questi mesi, significa soprattutto proteggere la pelle dai raggi UV. Con le giuste cautele, infatti, si possono avere soltanto i benefici del Sole, che sono molti più di quanto si creda.
Le precauzioni sono sempre le stesse, ma è bene ricordarle perché ancora in tanti sottovalutano i rischi dei raggi UV.
Prendere il Sole con gradualità, evitando le ore centrali della giornata e proteggendo la pelle con le creme solari, permette di evitare eritemi e scottature causate dai raggi UVB (i più energetici), ma anche l'invecchiamento della pelle e le rughe, favorite invece perlopiù dagli UVA.
Non è soltanto una questione estetica. Le scottature predispongono ai tumori cutanei, come il melanoma, e quelle prese da bambini sono ancora più pericolose. Per questo i più piccoli dovrebbero andare in spiaggia soltanto alla mattina presto, oppure dopo le cinque del pomeriggio.
Un errore comune è poi quello di scegliere una crema non adatta a noi, è di usarla malamente. Il prodotto deve adattarsi al proprio fototipo. Chi ha una pelle chiara, che si scotta facilmente e non si abbronza, dovrebbe optare sempre per la massima protezione.
Inoltre, la crema va messa mezz’ora prima di andare in spiaggia, così da facilitarne l’assorbimento, e l’applicazione va rinnovata ogni due ore, oppure se si suda o dopo i bagni prolungati.
Ed è anche importante non lesinare sulle quantità. Per un adulto di media statura occorrono circa 35 mi di crema (quanto un bicchiere da liquore). Ma chi è molto alto dovrebbe arrivare a 50, è l’indicazione del dermatologo.
- Bambini più sani
Adottare le giuste cautele, però, non significa evitare del tutto il Sole, che se preso nel modo giusto porta molti benefici.
Per esempio, è noto che i raggi UV stimolano la produzione di vitamina D, che fissa il calcio nelle ossa, rendendole più forti e supportando la crescita dei bambini.
Va tuttavia ricordato che per avere il beneficio basta esporsi per pochi minuti al giorno. Sempre nei bambini, un numero crescente di studi dimostra che stare al Sole e all’aperto previene la miopia.
Alcuni ricercatori hanno calcolato che la progressione di questo difetto della vista rallenta fino al 40% in estate, perché si è più esposti a più luce solare e perché, quando si sta fuori, gli occhi possono focalizzarsi su oggetti lontani.
Un’indagine dell’Università di Cambridge (Uk) è giunta a quantificare che per ciascuna ora in più alla settimana che un bambino trascorre all’aria aperta il rischio di diventare miope diminuisce del 2%.
- Via lo stress e sogni doro
Ma il Sole è un balsamo soprattutto per la psiche. I raggi UV stimolano la pelle a produrre endorfine, e le ghiandole surrenali a secernere l’ormone Dhea.
Entrambe queste molecole donano benessere e il Dhea può anche contrastare un eventuale calo del desiderio sessuale.
A riprova dell’effetto antistress e antiansia ci sono anche diversi studi che legano la ridotta esposizione ai raggi solari, tipica dell’inverno, alla depressione stagionale, una vera e propria forma di depressione che, non a caso, colpisce con frequenza maggiore chi vive nei Paesi nordici.
Questa condizione si cura e si previene proprio aumentando la luminosità degli ambienti che si frequentano durante la giornata. A questo scopo, si utilizzano speciali lampade, piuttosto potenti, che emettono una luce bianca.
Dal punto di vista fisiologico, l’effetto si spiega con il fatto che la luce solare fa aumentare la produzione di serotonina, una molecola coinvolta nella trasmissione nervosa, che ha un ruolo importante nella depressione.
Infine, il Sole è un vero toccasana anche contro l’insonnia, perché normalizza il ritmo sonno-veglia, spesso alterato in chi fa fatica a dormire bene. La luce solare stimola una regione cerebrale chiamata nucleo soprachiasmatico: il nostro orologio biologico, che regola tutte le attività che hanno un andamento ciclico legato al giorno e alla notte.
Esporsi al Sole per un paio d’ore al mattino, fra le otto e le dieci, ripristina il ritmo corretto. Gli effetti sono rilevanti e il beneficio si ottiene già dopo pochi giorni.
Per gli insonni, dunque, l’estate rappresenta un’occasione d’oro. Il vero ostacolo sarà alzarsi presto al mattino per andare in spiaggia, dopo aver trascorso la notte a rigirarsi nel letto.