Tutti vogliono essere il nuovo Tiziano Ferro: basta accendere la tv per rendersi conto del successo dei talent show, come il celebre X Factor dedicato al talento canoro.
Ma esiste veramente il fattore X, quel misterioso dono che rende un bravo cantante (o attore, giocatore di scacchi, scrittore) un vero prodigio?
Il tema è dibattuto: già dagli anni Trenta alcuni psicologi sostengono che per arrivare alle vette di qualsiasi abilità sia più utile l’impegno e il tempo passato a esercitarsi che una predisposizione innata.
L’ipotesi è stata riportata in auge negli anni Novanta dallo psicologo svedese K. Anders Ericsson e poi ripresa nel 2008 dal giornalista americano Malcom Gladwell nel suo bestseller “Fuoriclasse. Storia naturale del successo” (Mondadori), dove racconta le vite di personaggi arrivati al successo grazie alla pratica costante.
Per Ericsson il talento è proporzionale al numero di ore passate a studiare o a esercitarsi e per eccellere ne servono circa diecimila.
Era infatti questo il tempo che si era dimostrato necessario ai provetti violinisti di una scuola presso la quale lo psicologo aveva condotto i suoi studi per raggiungere risultati eccellenti.
Chi aveva accumulato “solo” ottomila ore si era classificato al secondo posto, mentre quanti erano fermi a cinquemila vennero definiti solamente bravi.
Il talento è la conseguenza di una speciale predisposizione, della passione o il frutto di ore e ore di pratica? Secondo gli esperti, è un po’ di tutto questo e non solo: c’entra anche l’ottimismo, un’intelligenza vivace e una famiglia di sostegno.
1. Prima e seconda regola: ottimismo e tanti interessi
Basta davvero esercitarsi? Nel 2014, fu effettuato uno studio molto ambizioso da Brooke Macnamara, David Hambrick e Frederick Oswald, rispettivamente delle Università di Princeton, Michigan e Rice (Usa), dopo aver preso in considerazione oltre 80 ricerche condotte su un totale di più di undicimila partecipanti.
Essi sono arrivati a dimostrare che la pratica conta poco. Secondo gli autori dello studio, pubblicato da Psychological Science, questa contribuisce infatti per poco più del 10 per cento, percentuale che sale al 18 nello sport e al 26 nelle abilità cognitive come il gioco degli scacchi.
«L’idea romantica secondo la quale il talento è innato e l’esercizio non serve va abbandonata», precisa Alessandro Antonietti, docente di Psicologia cognitiva applicata all’Università Cattolica di Milano. «Tuttavia la pratica da sola non basta».
- Prima regola: ottimismo
Di mezzo ci sono anche altri fattori: personalità, intelligenza, predisposizioni specifiche, il contesto in cui cresciamo e l’età a cui ci avviciniamo alla pratica.
Come prima cosa, infatti, i talentuosi sono predisposti a essere ottimisti e sicuri di sé: «Valutano la strada che li separa dal successo senza sovrastimare o sottostimare le proprie capacità, accettano le sfide e sanno mantenere i piedi per terra», spiega Fernand Gobet, docente di Psicologia cognitiva presso la University of Liverpool (Regno Unito).
- Seconda regola: tanti interessi
Ovviamente anche l’intelligenza conta, ma non il semplice quoziente: se infatti è vero che tutti i talentuosi sono intelligenti, non tutte le persone intelligenti sono anche talentuose.
Per ottenere eccellenti risultati in una certa pratica occorre amarla e dedicarle tempo, cercando di migliorarsi giorno dopo giorno.
E poi i talentuosi sono multisettoriali: donne e uomini veramente dotati sono ottimi musicisti o sportivi eccezionali, ma sanno essere brillanti anche al di fuori del loro campo.
Diverso è il discorso di alcuni autistici, un tempo chiamati “idioti sapienti”, che mostrano un’intelligenza generale limitata, ma una forma di talento molto specifica, come una memoria prodigiosa o certe abilità matematiche.
Questo però non è vero talento, ma solo la conseguenza di un cervello che funziona in modo anomalo. È anche vero, tuttavia, che le menti leonardesche, capaci di eccellere in ambiti molto diversi, sono molto rare.
Soprattutto oggi. Pensiamo al lavoro: Si dà tanta importanza alla capacità di passare da un’abilità all’altra ma di fatto le aziende cercano ancora oggi competenze iperspecializzate che lasciano poco tempo e possibilità ad altri interessi.
2. Terza e quarta regola: predisposizione e iniziare presto
- Terza regola: predisposizione
Alcuni studiosi hanno cercato anche nella conformazione del cervello e del corpo il segreto del fattore X.
Frank Vidal del Laboratorio di neurobiologia cognitiva dell’Università Aix-Marseille (Francia) spiega che il virtuosismo di Niccolò Paganini, violinista noto per le sue qualità di improvvisatore, era in parte dovuto alla sindrome di Marfan.
L’abnorme mobilità delle articolazioni, sintomo di questa malattia è, infatti, vantaggiosa quando si tratta di spostare, in fretta e in modo autonomo tra loro, le dita sullo strumento.
Tuttavia anche l’esercizio conta: «L’importanza dell’effetto dipende dall’età alla quale il violinista ha iniziato a suonare», fa notare lo studioso in un saggio raccolto da François-Xavier Alario in Essere intelligenti è una malattia? (Einaudi).
Analogo discorso per i geni della matematica: sempre Vidal fa notare che Einstein possedeva una particolare modalità di rappresentare mentalmente i problemi attraverso associazioni di idee prodotte dall’area del cervello chiamata lobo parietale inferiore.
«Il cervello di Einstein presentava una piega anomala che aveva provocato in lui un aumento di quest’area». Ritenere che il talento dello scienziato dipendesse solo da questa anomalia è eccessivo, ma le sue predisposizioni cerebrali, assieme all’intelligenza e all’abnegazione nello studio, hanno avuto un peso determinante nella sua genialità.
- Quarta regola: iniziare presto
Chi prima inizia a praticare ciò per cui si sente portato e ha modo di farlo in un contesto che lo aiuti a esprimersi, è facilitato: «Fino ai 12 anni i bambini mostrano un’iperplasticità cerebrale: le connessioni neuronali sono particolarmente rapide», spiega Gobet.
«Inoltre i bambini talentuosi si differenziano dai coetanei perché hanno attitudini in aree diverse: nell’intelligenza generale, in una specifica attitudine scolastica, nel pensiero creativo».
Il ruolo della famiglia è fondamentale: «Wolfgang Amadeus Mozart e sua sorella Nannerl avevano acquisito presto le capacità tecniche grazie alle lezioni del padre musicista», raccontano gli studiosi.
«Questo però comprese che gli sarebbe convenuto di più far esibire il figlio maschio perché avrebbe suscitato maggiore interesse nel pubblico. La genialità dei bimbi ha un rovescio della medaglia.
La tendenza di alcuni genitori a farne dei piccoli mostri di bravura può essere pericolosa: Il giudizio pubblico può spingere i bambini verso il perfezionismo e quindi a una fragilità dovuta alla differenza tra la maturazione cognitiva ed emotiva». Così un dono può trasformarsi in condanna.
3. Volete eccellere? Ecco i trucchi per riuscirci
- Niente sprechi
Un’energia creativa che tutti possiamo scoprire di avere: questo è il talento.
Contesto sociale e famiglia possono far molto per aiutare il giovane talentuoso a trovare la strada giusta per crescere.
Possono però avere anche un ruolo limitante se non gli forniscono gli stimoli e gli strumenti giusti o lo caricano di eccessive aspettative. Chi usa male il proprio talento è ad esempio chi pensa di conoscersi a fondo e dà per scontate le proprie abilità.
Rischia di sprecarle anche chi si giudica con sicurezza o con eccessiva severità: la conseguenza è infatti quella di arrovellarsi in astrusi ragionamenti per tentare di cogliere l’essenza della propria bravura.
Meglio invece è lasciare che essa si esprima liberamente, dando spazio a istinto ed emozioni. Infine, sostengono gli psicologi, è fondamentale vivere nel presente, più che nel passato: chi si lega eccessivamente agli affetti e ai ricordi non sa guardare avanti verso il futuro.
Gli schemi mentali rigidi sono i primi nemici della creatività: per questo il talento può emergere solo se facciamo spazio a un po’ di sano caos. La confusione infatti non è necessariamente segno di una mente disordinata.
Nel proprio disordine, creativi e talentuosi si trovano a loro agio: «La loro», spiegava diversi anni fa in un’intervista al Corriere della Sera Francesco Rovetto, ordinario presso il dipartimento di Psicologia dell’Università di Pavia, «è una logica creativa che gioca su associazioni, raggruppamenti e memoria visiva».
Il talento però va di pari passo con la capacità di uscire dagli schemi anche quando riguarda abilità non artistiche. Un esempio è il talento matematico: uno studio tutto italiano, condotto da tre studiosi delle Università di Firenze e di Pisa e pubblicato dalla rivista Proceedings of the Royal Society B, mostra infatti che «esiste una correlazione tra i meccanismi che portano a codificare in maniera astratta le quantità numeriche e le strutture di calcolo su cui si basano le competenze matematiche», come dicono gli autori della ricerca Roberto Arrighi, Irene Togoli e David Burr.
In altre parole, i geni della matematica pensano ai numeri usando le stesse funzioni cerebrali con cui immaginano creativamente.
- La connessione con la follia
Nel 2003 uno studio condotto da ricercatori delle Università di Harvard e di Toronto (Canada) arrivò perfino a mostrare una connessione tra talento creativo e pazzia.
Pare infatti che la psiche dei creativi sia caratterizzata da un basso livello di inibizione latente, indicatore che misura la capacità della nostra mente di escludere dalla coscienza gli stimoli secondari rispetto a ciò su cui stiamo ragionando.
In genere, bassi livelli di inibizione latente sono presenti nelle menti di chi è affetto da diverse forme di malattie mentali, come psicosi e schizofrenia.
«Fra le maggiori caratteristiche di queste infermità», spiega lo psicologo maltese Edward De Bono, teorico del cosiddetto pensiero laterale, «c’è proprio quella per cui la mente del malato svolazza da un’idea all’altra come una farfalla».
Non stupisce quindi che alcuni soggetti dotati di grande talento in campi specifici abbiano sofferto di disturbi mentali.
Nel 2001 il grande pubblico conobbe ad esempio la storia dello scienziato americano John Nash grazie al film A beautiful mind diretto da Ron Howard: la vita del genio dei numeri fu infatti caratterizzata dall’alternanza tra periodi di grande genialità e crisi psicotiche, durante le quali era convinto di ricevere messaggi criptati provenienti dagli alieni.
Per alcuni è anche questo il prezzo del talento.
4. La regola aurea del 3 per 10
Douglas Fields degli Institutes of health di Bethesda (Usa) ha illustrato in uno studio di alcuni anni fa che il nostro cervello è in grado di costruire connessioni più forti quando viene stimolato tre volte con un periodo di riposo di dieci minuti tra uno stimolo e l’altro.
Per imparare qualcosa (suonare il pianoforte o parlare una lingua straniera) nel modo più efficace è quindi utile fare pratica tre volte con dieci minuti di intervallo tra una ripetizione e l’altra.
«Applico sempre questo metodo per imparare nella mia vita», sostiene lo studioso. «Per esempio, per padroneggiare un brano musicale difficile sulla chitarra faccio pratica, poi faccio qualcos’altro per dieci minuti, e poi faccio pratica di nuovo».
Molte persone che fanno lavori creativi o di grande impegno psicofisico, come attori o atleti, appena prima di addormentarsi ripercorrono nella loro mente quella che ritengono la loro prestazione migliore.
«Un ampio corpo di ricerche», afferma il formatore americano Daniel Coyle, «sostiene questa idea, legando la visualizzazione al miglioramento della performance, della motivazione, della forza mentale e della fiducia».
Già alcuni anni fa, scienziati della Northwestern University (Usa) avevano dimostrato che alcuni soggetti sottoposti a prove di memoria imparavano più facilmente certe associazioni tra immagini e suoni se questi ultimi erano fatti ascoltare loro poco prima dell’addormentamento.
Allo stesso modo, ripensare alle nostre performance aiuta a memorizzarle meglio, ripercorrendo eventuali errori, ed è un modo per tenere in allenamento il cervello in modo inconscio: «Così», aggiunge Coyle, «spenderà più tempo lavorando per i vostri obiettivi».
Ma siamo tutti artisti? Fare una torta, scrivere un romanzo, cantare, ballare: in un Paese in cui è sempre più difficile trovare un lavoro normale, il talento artistico è oggi il vero protagonista. Almeno in tv, dove i talent show la fanno da padrone.
Basta un dato: la prima puntata dell’edizione 2014 di X Factor, andata in onda a settembre, ha toccato il record di oltre un milione e 190mila spettatori.
Secondo i sociologi, il nostro Paese sembra voler compensare la poca meritocrazia che caratterizza il mondo del lavoro dando spazio a chi ha o ritiene di avere un qualche talento naturale.
Facciamo fatica, fin dalla scuola, ad aiutare i giovani a riconoscere le proprie doti per farle diventare l’arma vincente nella loro realizzazione professionale. La conseguenza è che molti giovani si demotivano o si convincono di dover puntare al successo facile attraverso scorciatoie, illusione che alcuni talent show alimentano.
5. Come potenziare il talento in 5 mosse
Se il talento è in parte innato, c’è comunque spazio per migliorare e dare linfa alle proprie capacità. L’autore e formatore americano Daniel Coyle fornisce in Piccolo manuale del talento (Rizzoli Etas) alcuni consigli per coltivarle, a prescindere dal campo in cui si esprimono.
1. Compratevi un quaderno
Moltissime persone di talento tengono un diario quotidiano delle loro performance.
«La campionessa di tennis Serena Williams, il rapper Eminem e la coreografa Twyla Tharp usano delle scatole da scarpe che riempiono con idee scritte su pezzi di carta», spiega Coyle.
L’importante è registrare le performance per ripercorrerle tempo dopo. Scoprirete così i passi avanti, ma anche gli inevitabili momenti di regressione o di stallo.
In un’intervista rilasciata alla televisione della Svizzera francese, il tennista elvetico Roger Federer, che ha iniziato a giocare a 8 anni, ha raccontato di aver vissuto attorno ai vent’anni dodici mesi senza miglioramenti.
Benché angosciato, aveva intensificato i suoi allenamenti. Senza un diario delle performance sarebbe stato impossibile.
2. Cercate un buon insegnante
«Evitate qualcuno che vi ricordi un cameriere cortese», scrive Coyle. Meglio cercarsi qualcuno che incuta rispetto, ammirazione e brividi. Fondamentale che il nostro mentore ci dia indicazioni brevi e precise: è il modo migliore per esercitarsi nell’abilità in cui vogliamo eccellere.
3. Lavorate da soli
Secondo Coyle, è il modo migliore per individuare il limite delle vostre abilità e sviluppare l’autodisciplina. Uno studio classico sui musicisti ha comparato artisti di livello mondiale e appassionati esperti.
I due gruppi erano simili sotto ogni aspetto della pratica, escluso uno: gli artisti di fama mondiale trascorrevano cinque volte il tempo di pratica a lavorare da soli.
4. Non stancatevi
L’impegno e l’abnegazione sono importanti, ma fino a un certo limite. «L’esaurimento è il nemico», spiega il formatore.
«La fatica rallenta il cervello. Genera errori, diminuisce la concentrazione e conduce a scorciatoie che creano cattive abitudini. Quando l’esaurimento compare, è ora di mollare».
5. Provate a imitare
«Alcuni studi dimostrano», spiega Coyle, «che persino una breve connessione con un modello di ruolo può accrescere la motivazione inconscia. Se vi dicono che condividete il compleanno con un matematico, ciò può aumentare del 62 per cento lo sforzo che siete disponibili a mettere in compiti matematici difficili».
Cercate attorno a voi le persone di talento che vorreste imitare. E osservatele.
«Mettete tra i preferiti di YouTube i video e guardateli prima della pratica, oppure la sera prima di andare a letto». Che il vostro talento sia musicale, artistico o intellettuale, lasciatevi stregare da chi è già arrivato al top, senza per questo sentirvi sminuiti.