Sembra quasi impossibile che un monosillabo sia così difficile da pronunciare.
Eppure non dire di no crea spesso problemi e ci può mettere in situazioni difficili da gestire.
A volte, anche quando è chiaro che dobbiamo dire di no, per una tacita abitudine, per senso di responsabilità o semplicemente perché ci è stato insegnato così, non ci riusciamo e ci ritroviamo poi insoddisfatti, spesso catapultati in situazioni sgradevoli.
Dire di no è più difficile che dire di sì: perché ci fa temere di venire esclusi, ci espone al conflitto, ci fa sentire in colpa e persino maleducati.
Ma se non riusciamo a opporre rifiuti motivati e legittimi finiremo per sentirci svalutati e per covare risentimento nei confronti degli altri; prima o poi “esploderemo”, quando invece dovremmo prendercela solo con noi stessi.
PER APPROFONDIRE:
· Rolf Sellin, Le persone sensibili sanno dire di no. Affrontare le esigenze degli altri senza dimenticare se stessi, Feltrinelli.
1. Paura di rimanere isolati
Il lavoro deve essere consegnato per domani, ma non c’è tempo. È il caso di farlo notare al nostro datore di lavoro?
Meglio abbassare la testa e darci da fare, magari restando in azienda fino a tarda sera. Quante volte accettiamo compromessi perché abbiamo paura di dire che qualcosa non ci sta bene?
È proprio il luogo di lavoro il contesto in cui maggiormente dire di no risulta complicato, anche quando le richieste che vengono dall’alto sono impossibili o ingiuste. A patirne maggiormente le conseguenze, secondo un recente studio americano, sarebbero le donne, ancora oggi divise tra carriera, azienda, famiglia e figli.
Ma non è solo l’autorità a rendere difficile opporci: in uno studio pubblicato nel 2014 dal Personality and Social Psychology Bulletin, Vanessa K. Bohns della University of Waterloo (Canada) aveva chiesto a un gruppo di studenti universitari di scarabocchiare un libro della biblioteca.
Nonostante il comportamento sia riprovevole, ben la metà dei ragazzi aveva accettato. Secondo la ricercatrice, l’incapacità di opporsi a un’azione sbagliata dipenderebbe dal fatto che un rifiuto a una richiesta che viene dall’alto ci fa temere l’espulsione dall’ambiente che frequentiamo.
«Siamo animali sociali», commenta Francesca Baggio, psicoterapeuta e curatrice del volume Assertività e training assertivo (Franco Angeli), «e fin da piccoli abbiamo bisogno di accudimento e di appartenenza a un gruppo».
Un nostro no all’autorità, ma anche ai nostri pari come amici o colleghi, ci fa sentire in pericolo. «Conformarci alle richieste ci tiene al riparo dall’isolamento».
2. Il potere dei manipolatori
Va poi detto che i no fanno paura: hanno un impatto più forte dei sì, nella testa del nostro interlocutore.
Lo dimostrano le neuroscienze: le informazioni negative producono un’attivazione della corteccia cerebrale più ampia e rapida rispetto a quelle positive.
Il motivo è evoluzionistico: il ricordo di qualcosa di negativo ci permette di evitare di ripetere quell’esperienza. Il tutto è complicato dal fatto che chi ci chiede un favore può farlo in un modo al quale è di per sé difficile dire di no.
Nel corso di un esperimento condotto presso l’Università della Provenza (Francia) alcuni ricercatori hanno assegnato a un gruppo di volontari un’attività estremamente ripetitiva come ricopiare dati da un lungo elenco, chiedendo poi un feedback sulla piacevolezza di quel compito: il punteggio medio ottenuto era di solo 2,17 su una scala di 11.
Ripetendo però lo stesso esperimento con altri soggetti a cui veniva detto che avrebbero avuto la possibilità di scegliere se sottoporsi o meno a quel test, il giudizio medio di piacevolezza saliva a 9,17.
Il motivo? Anche se di fatto non ci sottraiamo, la percezione di aver modo di scegliere se accettare o no una richiesta scomoda rende il compito meno spiacevole.
Volete chiedere un favore a un amico ed essere certi che non dica di no? Fategli capire che può rifiutarsi: quasi certamente non lo farà.
3. Facciamo del male agli altri. Piacere a tutti non conviene
Eppure sul lavoro, in famiglia, con il partner e tra amici saper dire di no a ciò che non ci sta bene è importante: ci mette in contatto con i nostri veri bisogni.
Il primo passo è imparare a gestire il conflitto: «Quello che io chiamo il “no conflittuale” è un eccellente regolatore della distanza e della disponibilità», ha detto lo psicologo Paolo Ragusa, autore di Imparare a dire no (Bur) e vicepresidente del Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti: «non si tratta di negarsi, ma di scegliere cosa portare avanti con l’altro e cosa da soli».
L’educazione però non ci aiuta: veniamo cresciuti da genitori e insegnanti che stigmatizzano lo scontro. «Colpevolizzare un bambino dicendogli che litigare è male lo spinge al conformismo».
Ma se acconsentiamo a tutto non facciamo del male solo a noi stessi: «Priviamo il gruppo a cui apparteniamo della nostra individualità e del nostro contributo originale», dice Francesca Baggio.
Molte persone, inoltre, pensano che dire di no porti a essere giudicati egoisti: sono i cosiddetti people pleasers, cioè chi vuole piacere a tutti temendo di perdere la stima altrui.
In una società narcisista come la nostra, in cui ciascuno è alla costante ricerca di conferme, tutto ciò sembra inevitabile: «Il punto è che abbiamo la tendenza a pensare che le persone ci giudichino in continuazione anche se non è così», ha spiegato Bohns.
Purtroppo accondiscendere sempre fa male al nostro equilibrio mentale. Uno studio del 2013 condotto alla Columbia University su 500 persone aveva dimostrato che l’emozione vissuta da chi si rifiuta di dare il proprio aiuto è, nella maggior parte dei casi, il senso di colpa.
Solo in un numero inferiore di casi i soggetti provano sollievo. Se a breve termine dire di sì alle richieste scomode degli altri può essere utile a non creare conflitti, con il tempo le cose cambiano: «Oltre a impedirci di ascoltare le nostre esigenze, dire sempre di sì ci spinge a svalutarci», prosegue Baggio.
«Questo porta a covare rabbia, che prima o poi esplode». Tipicamente si finisce con il colpevolizzare chi avanza pretese su di noi, quando in realtà la colpa è solo nostra: quella di aver concesso troppo spesso agli altri di calpestarci.
4. Chi fatica di più a dire di no?
Fate il lavoro che i vostri genitori volevano per voi perché non siete stati in grado di dire la vostra? Non riuscite a negare un favore a un collega o un amico perché non ce la fate a dire di no?
O ancora, siete tra quelle persone a cui un venditore potrebbe rifilare qualsiasi oggetto inutile solo perché non sapete dire “non mi interessa”?
Secondo gli psicologi sono tre i fattori che rendono difficile saper dire di no.
- PERSONALITÀ
«Generalmente gli introversi hanno più fatica rispetto agli estroversi a dire di no», dicono gli psicoterapeuti. Hanno paura del confitto e preferiscono accondiscendere per evitare di litigare o di scontrarsi. «Inoltre gli introversi hanno minori abilità sociali e relazionali, quindi finiscono con l’adeguarsi».
- ESPERIENZE DI VITA
Chi, per esperienza diretta o per averlo visto negli altri, nella vita ha imparato che opporsi è penalizzante dirà sempre di sì. C’è una tendenza umana alla generalizzazione. Tendiamo infatti a pensare che se qualcosa è andata spesso in un certo modo dovrà essere sempre così anche in futuro.
- CONTESTI
Ci sono situazioni, ad esempio in ambienti gerarchici come il luogo di lavoro, nei quali dire di no è oggettivamente complicato, e anzi può essere più semplice e più opportuno “abbassare la testa”. Chi ha ruoli sociali subalterni preferisce dire di sì a tutto.
5. Come si fa a opporre (bene) un rifiuto
Come fare, di fronte a una richiesta dell’altro, a capire se è il caso di dire di sì o di no? Occorre sintonizzarsi suoi nostri reali bisogni.
Se un collega ci chiede un favore, prima di dire istintivamente sì oppure no potremmo partire da una domanda: «Questa persona ha il diritto di chiederci questo favore?».
Ragionandoci potremmo capire che la sua non è una richiesta legittima e che una nostra risposta positiva sarebbe soltanto frutto della paura di deluderlo.
Ricordiamo comunque che se è importante saper dire di no, non dobbiamo esagerare. Il bastian contrario è l’opposto di chi dice sempre di sì.
Come quest’ultimo ha paura di essere escluso, ma reagisce in modo opposto: crede che opporsi sempre e comunque gli consenta di non passare inosservato.
Ecco allora qualche strategia per imparare a rispondere no nel modo corretto.
1. Siamo diretti nel dare la risposta
Secondo uno studio del Journal of Consumer Research dire “non lo faccio” invece di “non posso” permette di sottrarsi più facilmente e senza scuse agli impegni indesiderati. Dire “non lo faccio”, infatti, comunica convinzione e assertività mentre il verbo “potere” suggerisce minore convinzione.
2. Siamo educati
Ogni rifiuto deve essere posto con fermezza, ma senza durezza: aggiungiamo un “Ti ringrazio, ma...” o un “Mi spiace, ma...”. Così eviteremo un atteggiamento passivo-aggressivo, che potrebbe spingere l’altro a farci sentire in colpa.
3. Motiviamo il nostro rifiuto
Spieghiamo perché non accettiamo: “Non ho modo di farlo perché ho già un altro impegno”, ad esempio.
4. Facciamo delle prove di rifiuto
Facciamo delle prove di rifiuto ipotizzando la reazione dell’altro.
5. Addolciamo il tono di voce e l’espressione
Senza apparire falsi, impariamo a non offendere mentre diciamo di no.